domenica 26 febbraio 2012

il linguaggio nel paleolitico


Per non ripetermi troppo sui mie consueti argomenti, per questo post lascio volentieri la parola a Carol.


Ricerca di Storia: 
il linguaggio nel paleolitico. 

Non conosciamo il linguaggio degli uomini del paleolitico, perché siccome non esisteva ancora la scrittura non possiamo sapere come si esprimevano quei nostri antenati. Però io e papà abbiamo compiuto una ricerca ed abbiamo scoperto quali erano le frasi più usate nel loro linguaggio, e quelle che invece non si potevano esprimere.

Le frasi che il linguaggio del paleolitico non era in grado di esprimere:

Non c'è campo
Che numero di scarpe porti? 
Attraversa sulle strisce pedonali
Per me pasta al pomodoro
Non ti scordare l'ombrello
Hai tu le chiavi di casa? 
Ho montato le gomme da neve
Aprite il libro a pagina 12
È il mio film preferito
Che brutta calligrafia! 
Devo studiare storia

ma anche Falso come Giuda, Veloce come un razzo (però era in uso veloce come una lepre), …

Le frasi più frequenti nel linguaggio del paleolitico:

Non colpire con la clava il tuo compagno
Ci sono dei peli nella mia bistecca
Mangiate pure con le mani
Tonto come un Dodo 
Papà, mi racconti ancora la fiaba del mammouth? 
Se non fai il bravo ti mangia lo smilodonte
Che bei lombi

Una barzelletta del paleolitico. Un bambino torna a casa con la pagella scolastica. La mamma guarda la pagella e poi commenta: "Posso capire l'insufficienza in italiano, in fondo il linguaggio è appena stato inventato. Capisco matematica, non abbiamo neanche i numeri. Ma storia! Storia sono solo quattro stupidaggini..."


domenica 19 febbraio 2012

gone country #2





Mi sono reso conto di essere diventato country un paio di stagioni dopo essermi trasferito a vivere in campagna. Stavo guidando una domenica mattina verso il paese, i finestrini erano abbassati e lasciavano entrare un tiepido profumo d'autunno. Lascio cadere l'occhio sul tachimetro per accorgermi che sto procedendo a 60 chilometri all'ora. Cazzo, ero veramente diventato country! Di quelli che alla domenica mattina fanno un giro sulla piazza del paese che mi ricorda la Provenza: macellaio, panettiere e poi un caffé al bar, quello con la barista formosa non quello dei turisti, e magari anche quattro chiacchiere con un amico ed una fetta di crostata. Il country lo distingui subito: ha una camicia tecnica, magari rossa di flanella, jeans Levi's e scarpe gialle Timberland. Indossa accessori marchiati Columbia, North Sails o alla peggio Decatlon. È completamente diverso dal redneck. Il redneck è nato in campagna, da una famiglia nata in campagna. In italiano redneck suonerebbe villico, o villano, ma per essere politically correct useremo il termine campagnolo. Qualcosa fra Dinamite Bla ed Un Tranquillo Weekend di Paura. Invece il country nasce cittadino, ma siccome ama la primavera, il profumo di erba tagliata e la neve d'inverno si è spostato alla fine a vivere in campagna, di solito in un rustico riadattato, anche se cercava una casa colonica, una piccola fattoria che esiste solo nei film sui vigneron francesi. 
Il country d.o.c. sogna il chiantishire, ma nel mio caso si è accontentato del trebbiashire. Il country ed il redneck sono due personaggi all'antitesi, al limite del compatibile. Anzi, a pensarci hanno varcato quella linea. Il country degli anni novanta guidava una Volvo Polar rossa. Oggi non ha proprio una auto dedicata, va bene qualsiasi station-wagon purché abbastanza stagionata (e con un adesivo apple sul lunotto) oppure un fuoristrada che non sia in odore di SUV. Personalmente mi piacerebbe un Mercedes GLK in tinta opaca, ma non credo di potermela permettere. Il redneck degli anni novanta guidava una Opel, perché era l'auto di una certa dimensione venduta al prezzo più basso. Oggi guida rigidamente macchine cinesi, spesso SUV ingombranti come trattori che guida pure alla velocità di un trattore, cioè raramente sopra i 30 km/h. Veramente il cucciolo di redneck guida minuscole utilitarie settate da rally tipo Peugeot 105, sempre a tutta manetta rispettando solo due regole: mai rallentare in paese e mai mettere una freccia prima di curvare. Ma quando raggiunge l'età adulta anche lui toglie il piede dall'acceleratore e si mette a guidare osservando i campi ai bordi della strada come se fosse in bicicletta. Bicicletta che peraltro il redneck autentico schifa nel modo più assoluto. Il redneck non toglie mai il culo dal sedile dell'auto a meno di appoggiarlo su quello del Massey Ferguson, ma mai e poi mai lo appoggerebbe sul sellino della bicicletta che era l'unico mezzo di trasporto del nonno povero. Il redneck arriva nella piazza del paese in auto, piazza che a nessun sindaco redneck verrebbe in mente di chiudere al traffico. Lascia il suv cinese con il motore diesel acceso di fianco al giornalaio per comprare il giornale locale, quello con la pagina dei morti, e poi riparte rigorosamente in auto per raggiungere il caffè a una distanza di trenta metri.
Al contrario il country snobba l'auto. Adora usarla per caricare qualche cosa di voluminoso nel bagagliaio, il massimo è la raccolta differenziata per la discarica, ma il country adora la bicicletta, magari non quella nera del nonno del redneck ma una color verde acqua della Bianchi o una bici da corsa o meglio ancora una mountain bike. Al country piace andare in bicicletta al paese distante cinque chilometri per comprare il pane, e colpirebbe con un bazooka i suv cinesi parcheggiati in paese lungo il bordo della strada.
Nalla campagna sono persino apparsi, sia pur nei posti più scomodi e improbabili, anche i bidoni della raccolta differenziata. Quello blu della plastica, il giallo della carta e quello marrone del vetro, ma mai tutti e tre assieme, solo due alla volta. Puoi mettere carta e plastica, ma per il vetro devi fare ancora un paio di chilometri; oppure vetro e carta, ma di plastica non se ne parla. La regola è mai tutta la differenziata assieme; tanto il redneck non la userebbe comunque. Il redneck si serve solo del bidone nero dell'indifferenziata, raccogliendo la pattumiera rigorosamente in sacchetti di plastica che da quando sono fuori legge acquista sottobanco dal droghiere. A volte lascia dei cartoni voluminosi ai piedi del raccoglitore della carta, ma mai dentro e soprattutto mai e poi mai userebbe il bidoncino della frazione umida, che gli ricorda troppo dolorosamente quando il nonno buttava l'immondizia sul mucchio del letame (allora la carta non si buttava e la plastica era di la da venire). In campagna sono apparse anche le isole ecologiche, cioè le discariche, ma sono frequentate solo dalle station del country. Le lavatrici arrugginite il redneck le lancia in certe scarpate appositamente segnalate da cartelli con la scritta "vietato gettare i rifiuti".
Il redneck una volta abitava in casette coloniche scomparse o vendute al country per il restauro. In proprio ha provveduto prima a sostituire i poco pratici serramenti in legno colorati in calde tinte verdi con cornici in ottone che resiste meglio agli spifferi, poi ha acquistato una villetta a schiera costruita sulla collinetta erbosa. La collinetta avvolge una cantina dove la famiglia del redneck vive come gli hobbit, mentre la casa che spunta da sopra come un fungo funge da mausoleo per i posteri. In campagna sopravvivono ancora negozietti familiari dove vendono merce a chilometri zero, ma come gli animali selvatici vengono mano a mano costretti a migrare verso la spopolata montagna per essere sostituiti dai piccoli supermercati in franchising dove si preparano i formaggi ed i salumi sottovuoto per i turisti di Milano. Anche se il sogno nel cassetto di ogni giunta comunale redneck è un vero centro commerciale come nelle periferie della città, un ipercoop con tanto di parcheggio asfaltato e carrelli all'esterno. Dove abito io, in un angolo di paradiso terrestre fra la Val Trebbia e la Val Luretta, la giunta ha già deliberato per due volte la costruzione di un simile ecomostro al posto di deprimenti campi coltivati e boschetti, e solo il veto della regione ha impedito che le ruspe si mettessero davvero al lavoro. Maledetti verdi, sempre contrari ad ogni progresso.
Sentivo due anziani redneck chiacchierare all'osteria, sui vantaggi dei viadotti che permettono di sorvolare gli Appennini senza nemmeno vederli per arrivare al mare in auto in sessanta minuti. Loro a Genova ci erano stati al massimo per il servizio militare, ma erano entusiasti del fatto che asfaltassero delle strade e raddrizzassero delle curve per arrivare il prima possibile evitando "il viaggio".
Il redneck non ama la campagna, ne ha le palle piene. Il suo sogno è trasferirsi nel centro residenziale alla periferia della città, quello che non è servito che da un autobus all'ora ma a lui non importa tanto si sposterebbe comunque in auto cercando parcheggio lungo i marciapiedi ai confini della ztl. Mentre il cittadino si trasferisce in campagna a fare il country ed il centro storico viene occupato dagli emigrati sudamericani.
Sia il country che il redneck posseggono un cane. Dalla razza del cane country puoi capire quanti anni ha. All'inizio il country aveva un pastore tedesco, poi per un fuggevole attimo è stata la volta del dalmata, subito sostituito dal labrador color champagne, a lungo il vero cane country per eccellenza. Poi il beagle, il jack russell, che però scava i buchi nel giardino e scappa, e ora è piuttosto di moda adottare un cagnolino del canile. Il punto di ritrovo del country cinofilo è il poliambulatorio veterinario il sabato mattina. Per il redneck il cane è rigorosamente un bracco da caccia che vive in un recinto oppure un meticcio da pagliaio che vive alla catena. Se in campagna capita di imbattersi in un doberman o un dogo, è del turista. Perché qui in campagna il redneck ed il country non sono le uniche specie umane, ma ci vive anche il turista, specie d'estate e nel week-end. È milanese, frequenta bar approntati appositamente che si distinguono dall'osteria per la lavagnetta all'esterno con la scritta happy hour, e fa la spesa in spacci alimentari dove preparano il cibo in buste sotto vuoto. Ama la campagna, il golf e la piscina del bed & breakfast.

mercoledì 15 febbraio 2012

amore, non amore


Sostenere che di una persona ci si innamora dell'anima, della sua essenza, significherebbe barare. Perché non è la mente a mediare l'attrazione amorosa, quanto un misterioso e atavico richiamo la cui natura è tanto oscura quanto imprevedibile. Quando scatta l'attrazione per un'altra persona ancora non la conosciamo abbastanza e di certo non ne conosciamo l'intimità. Semplicemente scatta un interruttore che ci accende ad uno stato nascente ricco di emozioni, di desiderio, di energia, di struggimento, di nuove priorità. E di corteggiamento.
Non è un processo né volontario né scelto: per quanto possiamo stimare una persona e persino ritenerla ideale, non c'è verso di poterci innamorare a forza. Ci si può legare per interesse (interesse persino nobile ma più spesso ignobile), ma per interesse non ci si innamora. Certo ci sono dongiovanni (e seduttrici) che per piacere di conquista simulano l'innamoramento ma si tratta per l'appunto di una commedia, di una sciarada, non di uno stato reale. Il dongiovanni è innamorato solo di sè stesso e incapace di coniugarsi al plurale.
Lo stato nascente è una stato ancora personale, che cioè riguarda il singolo: ci sentiamo attratti, languidi e portati al corteggiamento, ma non c'è nessuna garanzia che l'altro ci ricambierà del medesimo desiderio. Se in effetti non siamo ricambiati e l'oggetto della nostra attrazione resta indifferente (quando non ostile), ci troviamo a dover soffocare più o meno rapidamente o lentamente e con più o meno successo lo stato nascente per tornare in stand-by, di nuovo disponibili ai maneggi di Cupido. Non essere capaci di spegnere il desiderio per una persona che non ci ricambia può costituire una specie di errore comportamentale, quello che è alla base dell'atteggiamento degli stalker - anche se non mancano aneddoti (rari) su corteggiamenti andati in porto contro ogni previsione ("chi la dura la vince"). Di solito chi ha avuto più esperienze amorose e tende ad avere più successo in amore, con più facilità si ritira di fronte all'insuccesso; mentre chi è timido o inesperto è più prono a cristallizzare il proprio desiderio in un amore platonico.
Se il nostro stato nascente è ricambiato accendendo un desiderio nella persona che corteggiamo, entriamo nel campo dell'amore attraverso la porta dell'innamoramento. L'innamoramento non è più uno stato confinato al singolo ma partecipa di una serie di interazioni non solo fra i due partner ma persino con l'ambiente, la società nella quale gli innamorati vivono (per esempio i genitori, i figli, eventuali partner pre-esistenti, barriere geografiche o sociali…). Questa magica esperienza dell'amore, la più dolce, la "luna di miele", è un momento magico, che non capita troppo spesso di vivere, un momento di profondo appagamento, di gioia, di energia, di fantasia, di benessere che costituisce un tesoro personale che tendiamo nel tempo a ricordare e a rimpiangere. Giorni magici in cui la sensibilità si acuisce, la sensualità esplode, la fantasia e l'energia prendono il sopravvento.
Nel corso della luna di miele la figura ideale del partner, all'inizio fatta non di materia ma di pura astrazione, comincia a sovrapporsi in un lungo processo di dissolvenza alla persona reale in carne ed ossa, quella vera che già esisteva prima che noi la incontrassimo, quella con la sua storia personale, con il suo preciso carattere, con i propri problemi e la propria personale interazione con l'ambiente che lo circonda.
Scrive acutamente lo scrittore Andrea De Carlo nel romanzo Tecniche di Seduzione: "Non è incredibile come quando ti innamori di una donna ti sembra che lei viva d'aria, senza peso e senza fatica, senza nemmeno bisogno di mangiare, alimentata solo dalle sue qualità sorprendenti? Sei così pieno di entusiasmo che dedichi tutte le tue energie a renderla una parte permanente della tua vita, e non ti rendi conto di come in questo modo aiuti il suo peso a venire fuori. Vengono fuori le sue malattie psicosomatiche e vengono fuori i suoi genitori, vengono fuori i suoi difetti fisici e i suoi difetti di carattere e le sue richieste…" 
Ed ancora: "siamo noi che cerchiamo di fermare le cose che ci piacciono, renderle più permanenti e sicure possibili, sottrarle ai pericoli del tempo e delle trasformazioni e dei cambiamenti d'umore. Ed è anche bella l'idea che due persone possano vivere insieme sicure e fiduciose, senza i sospetti e i giochi di contrappeso e i ricatti e le lusinghe…" 
In questo processo la persona ideale che ha acceso i nostri sensi si trasforma nella persona reale di cui ci troviamo ad essere innamorati. Forse è in questo processo che consiste la trasformazione dell'innamoramento in amore. L'operazione può andare liscia, anzi può essere una bella trasformazione; può darsi che quell'aspetto fisico che ci aveva attratti (c'è sempre una forte fisicità fra le regole, per quanto ignote, dell'attrazione), magari quel sorriso, quello sguardo, o perché no quel seno arrogante, trovino una completa soddisfazione nella materia di cui è fatto il partner. Che gli indizi di simpatia, di vivacità, di creatività, di intelletto (o anche di stupidità: uno stupido può ben essere attratto da un suo simile) si rivelino prove di un carattere davvero stimolante. Come può succedere il contrario, che la realtà sia diversa dalle nostre (o dalle sue) aspettative, e che parti del carattere della persona ci risultino fastidiose o addirittura incompatibili. Questo può fare crollare il castello di carte e traformare il miele in fiele (o più banalmente in noia) o può portarci a creare false aspettative, come quella classica di chi si è così affezionato alla propria storia d'amore da volersi illudersi di riuscire nel tempo a "cambiare" il partner. Si dice sia una prerogativa più femminile quella di cercare di cambiare l'uomo, salvo rinfacciargli, una volta riuscita nell'impresa, di "essere cambiato". Effettivamente le persone possono cambiare, ma di solito in peggio…
La natura sembra aver previsto un'età in cui sintonizzare due persone è più semplice e naturale, ed è la giovinezza, quella in cui si formano le prime coppie. La maturità, al contrario, porta con sè l'esperienza di amori perduti e di conseguenza la consapevolezza dell'importanza dell'amore, della gratitudine che si deve al partner e della necessità di valorizzarlo e non di sottomertelo, ma anche la difficoltà a mutare abitudini ormai inveterate e di accettare una persona in qualche modo troppo diversa da noi.


Innamorarsi è bellissimo, disinnamorarsi è deludente.