sabato 26 novembre 2011

La Ballata del Ratto Baratto (parte 4/4)




(3 - continua)

Capitolo 4

La vita è così più strana di come la gente possa immaginare, sia che si tratti di persone, cani, gatti, civette, ratti, anguille, coccinelle o bombus terrestris. Il Ratto Baratto riebbe la Topina Dorata, la Felicità e l’Amore. Anzi, ne ebbe (dal suo cuore, almeno) molto più di prima. E allora? Perché la storia non si ferma qui come tutte le storie che si rispettano, con un bel:
…si sposarono, ebbero 4 vispi topini, e vissero felici e contenti.

The End

In effetti il ratto aveva già ordinato un finale siffatto quando… ma andiamo con ordine. Tutti noi abbiamo, sotto sotto, nascosti da qualche parte, un angioletto e un diavoletto. Uno serve all’altro per fare di noi un essere che ne valga il nome. Cosa spinge una tenera mamma a gettarsi nelle fauci della Faina per salvare i suoi piccoli? Cosa spinge il Vampiro ad aprire gli occhi quando cala il sole ed emerge l’oscurità? Cosa fa coprire di peli il lupo mannaro nelle notti di luna piena, e lo spinge a cercare carne e sangue? I loro angeli e i loro diavoli. Fu il suo diavoletto che quella notte svegliò dal sonno il Ratto Baratto e gli fece abbracciare la sua topina per condurla nella campagna, per un baratto. E nel buio fu il suo piccolo angelo che lo chiamò e lo mise di fronte alla sua colpa. Il ratto si guardò attorno rabbrividendo. Per nulla al mondo avrebbe rinunciato alla topina dorata. Per nulla al mondo avrebbe veramente fatto quello che stava per fare. Si riavviò al buco sotto il granaio, in silenzio per non svegliarla. Ma non fece abbastanza in silenzio, la topina si svegliò, ed era nel mezzo della campagna anziché nel giaciglio di quella che credeva essere la propria tana.
Gli parlò con tristezza: «Lo hai rifatto. Mi hai barattata, mi hai abbandonata. Cosa hai avuto, almeno, in cambio?»
Il Ratto Baratto ebbe un sobbalzo (di quelli che hanno i ratti quando qualcuno gli parla all’improvviso di notte…). Cercò con dolcezza gli occhi della topina e le si avvicinò per strofinare il tartufo:
«Perdonami. Ma non ti ho barattata, non l’ho fatto. E ti sto riportando a casa» .
Ma la topina ritirò il piccolo muso. Aggiunse solo: «No. Non ti perdono più. Questa volta è un addio» .
«Non puoi farlo: sai, è il cuore che non te lo permetterà. Prima si riempirà di marmellata, che poi diventerà melassa e…»
«Quello che vale per un ratto non è detto che sia vero anche per un topo. Se tu non sei capace di imbrigliare il cuore, non è detto che non la sia io. Non voglio dar ascolto ad un piccolo stupido cuore, per svegliarmi una notte sola nel bosco, mentre la Civetta mi vola sulla testa con l’acquolina in bocca. Me ne vado, per il bosco da sola, è vero, ma per trovarmi un buco tutto mio, magari al sicuro sotto una Quercia»


La piccola topina color dell’oro si girò e si mise a camminare (morbida e col piccolo codino come sempre, ma con gli occhi molto meno innocenti) da sola verso l’oscurità della notte. Il Ratto Baratto non la seguì.
Tornò invece nel suo piccolo giaciglio nel piccolo buco sotto il granaio, e si accorse che si era già fatto molto freddo. Al mattino il suo cuore era immerso nella marmellata. In capo a una settimana nuotava in una melassa ancora più densa della Nostalgia: il fango della Sofferenza. Camminò e camminò, per cercare la topina e riportarla sotto il granaio. Era certo che il suo non fosse l’unico cuore a soffrire.
Cercò e cercò, ma non la trovò. Tornò nel granaio, cercò quello che era rimasto della pergamena (il solito pezzo di giornale), scrisse un poco di quello che sgorgava dal piccolo cuore, e lo affidò ad un corvo fidato, che volando alto sulle ali la potesse trovare.

«La gente parla di come erano diversi
i giorni che sono passati
di come le cose andassero bene
di come le cose avessero un sapore
nei giorni che sono passati
ma è perché hanno dimenticato
è perché se lo sono immaginato
di come stavano nei giorni che sono passati.
Eppure io so che avevo te
nei giorni che sono passati
e so che ero felice
e darei la vita per riavere
i giorni che sono passati»

Il Corvo trovò la topina dorata e le passò la piccola poesia senza rime. La risposta non venne mai. Venne invece la Notizia che mai il Ratto Baratto sarebbe stato capace di immaginare.
La piccola topina dorata aveva trovato casa e assistenza presso un gatto giù in paese. Un cosa? Già, un grasso, unto, infido, GATTO. Non c’è peggiore incubo per un Ratto Baratto. Così, quatta quatta, era arrivata una nuova lezione, anche se questa volta troppo tardi. La Felicità è un intero. E il Ratto Baratto si sentiva una metà: la metà spaiata di qualche cosa che solo intera aveva significato vivere. Anche quando era stato separato la prima volta dalla sua topina, anche quando non sapeva dove lei fosse, anche quando la stava tradendo nella notte, aveva sempre saputo che da qualche parte, sulla terra o nel cielo, al buio o alla luce c’era l’altra metà. (Ora vedeva con chiarezza che lo aveva saputo perfino prima di incontrare per la prima volta sulla neve la sua topina dorata).
Ma ora lui solo era una metà, mentre lei era la metà di un’altra cosa, di un’altra felicità, di un altro amore. La cui altra metà era un gatto. I conti del mondo non tornavano più. Per quanto si fossero potuti contare e ricontare ratti, topi, mammiferi, animali, esseri viventi, molecole, atomi, stelle, il risultato sarebbe stato sempre e inequivocabilmente uno e uno solo per il Ratto Baratto. Un numero dispari, un numero spaiato, un numero e metà: una metà di troppo per la simmetria dell’Universo. Il ratto si sentiva un pezzo di ricambio per una macchina che non ne aveva alcun bisogno. Non c’era che una cosa da fare. Tornare nella valle, attendere la notte e invocare una Stella Cadente.

Ma non ci fu nessuna stella quella notte, come non ce ne furono per tutto il tempo della neve. Arrivò il disgelo, e ancora il ratto passava ogni notte con il muso alzato a scrutare il cielo. Non ci furono stelle cadenti quella primavera e non ce ne furono quell’estate: non se ne videro neppure nella Notte di San Lorenzo. In realtà il Ratto Baratto non vide più una stella cadere (come non riebbe più la Felicità).



Epilogo

La morale potrebbe essere: questa vita è già abbastanza avara. Non molti hanno la fortuna di incontrare la Felicità, pochi la ritrovano se la gettano. Nessuno può riaverla una terza volta. Se vi sembra una storia troppo malinconica da essere raccontata, sappiate che le parti più tristi vi sono state risparmiate. Per esempio, quel che fece il povero Ratto Baratto quando gli giunse la notizia che la topina si sposava con il gatto di campagna…


Un altro epilogo?

Veramente esiste più di un finale a questa storia. Per esempio c’è quello (intitolato La Triste Storia Della Topina Dorata) in cui il finale è visto dagli occhi della topina. Qui si scopre che in realtà la topina non aveva mai guardato con molta attenzione il Ratto Baratto, tanto da non essersi neppure accorta che fosse un Ratto. Prova che non narro bugie è che non vi aveva visto nessuna differenza con il proprio gatto di paese.
Non c’è niente di strano in tutto questo: spesso i topini (e non solo loro) quando guardano non vedono quello che c’è ma quello che vogliono vedere; e capita che guardando un ratto non vadano oltre le prima tre dita delle zampine e diano per scontato il resto. Ma i nostri sensi sono dispettosi, almeno quanto i cuori. E così capitò che, un brutto giorno per la topina, la Fata dei Ratti decise di mettere fine alle sofferenze del Ratto Baratto.
«Hai peccato di stupidità e ingordigia, e lo hai fatto due volte» gli disse la fatina in sogno (alla fine infatti, sul far del nuovo autunno, il ratto aveva infine rinunciato a scrutare il cielo in cerca di una stella cadente e si era lasciato cadere addormentato) «però hai dimostrato un cuore puro, tenace e fedele al tuo sentimento. Ti perdono, e credo davvero che sarà l’ultima ultima ultima ultima ultima ultimissima volta che ne avrai bisogno» 
Gli passò una mano sul cuore, per pulirlo dalla marmellata che ne traboccava.
Quando il Ratto Baratto si svegliò, davanti ai suoi occhi stava (dolce, tenera, morbida, con gli occhi innocenti e il codino corto) una tenera topina, bianca e lucida come una stella che cade.
E… meraviglia, se ne innamorò all’istante (questa volta sapeva cosa fosse l’Amore e lo riconobbe subito). Fu quando la Topina Dorata lo seppe che i suoi sensi, forse in combutta con il cuoricino (che tutto sommato anche lei aveva, piccino piccino e nascosto dietro lo stomaco) finalmente videro il Ratto Baratto così com’era, così come lo avevano visto forse una volta sola, tanto tanto tanto tanto tempo prima, in mezzo alla neve: aveva graziose orecchie sensibili, morbidi baffetti sensuali, un elegante pelo argenteo, unghie lunghe e curate e, alla fine, un cuore sincero.
Qualche cosa a che fare con il suo gatto di paese? Il suo cuore si riempì all’istante di marmellata densa e malinconica, e fu allora che andò a rileggere le traballanti poesie senza rime di quello che una volta era stato il suo Ratto Baratto. Ma non fu più in grado di ritrovarle, e non ne ebbe mai più altre, perché i mici di paese, si sa, non solo non conoscono le rime, ma non sanno neppure scrivere.

Qualsiasi sia il vostro finale preferito, la morale non cambia: la vita è sempre avara. Non molti hanno la fortuna di incontrare la Felicità, pochi la ritrovano se la buttano.

(fine)

sabato 19 novembre 2011

La Ballata del Ratto Baratto (parte 3/4)



(2 - continua)

Capitolo 3

Passarono i giorni ma il cuoricino del Ratto Baratto non ne voleva sapere di accettare le direttive della testa e dello stomaco. E quel che era peggio è che faceva tanto chiasso da rendere introvabile la Felicità. Il ratto cercò di ritrovarla facendosi leccare pelo e baffi dalla topina corvina, e strofinando spesso il piccolo tartufo al suo. Cercò di ritrovarla moltiplicando i baratti, e si trascinava da una parte all’altra portando montagne di cose, perlopiù inutili come le foglie gialle di quell’autunno, sassolini o ali colorate di farfalle di fine stagione. Scambiò la topina a pelo lungo molto prima di quanto avrebbe immaginato, e la scambiò per pochi grani di granoturco soffiato. La marmellata della Malinconia si trasformò nella melassa della Nostalgia, mentre la Felicità, bisognava ammetterlo, era sparita del tutto, così all’improvviso come era arrivata.
Solo che adesso che il Ratto Baratto la conosceva, si accorse che era impossibile viverne senza. Era diventato svogliato, e assai poco scaltro nei baratti, ragion per cui dimagriva di giorno in giorno. Ma neanche lo stomaco se ne lamentava: sembrava proprio che a comandare tutto adesso fosse lo stupido cuore… Ecco imparata una nuova lezione: così come un giorno aveva saputo che la sensazione strana era la Felicità, oggi, senza che ancora nessuno gliene avesse mai parlato, il Ratto Baratto sapeva che la Felicità era l’Amore.
Strana cosa, l’Amore, se ti apre dei buchi così grossi in un cuore così piccino.
Passò un autunno malinconico e venne un inverno triste. Una notte in cui la luna piena illuminava a giorno i campi gelati attorno alla fattoria, il ratto scambiò un chicco di frumento un po’ ammuffito («ma in parte ancora mangiabile» , si disse, barando con se stesso, perché anche i Ratti Baratti hanno una coscienza e devono farle rapporto) con un pezzetto di pergamena (era un pezzetto bruciacchiato del bordo di una pagina di giornale, uscito dalla stufa di ghisa del fattore, ma il ratto lo chiamò proprio «pergamena») e un carboncino (proveniente dalla stessa stufa: il ratto aveva frugato fra i rifiuti nel bidone vicino alla casa).
La melassa era più densa del solito, e il ratto si sentiva come se il modo migliore per alleggerirsene fosse di metterne un po’ sulla carta.

Così cominciò a scrivere:

«Se io potessi averti,
ancora solamente una volta.
Se io potessi baciarti,
ancora solamente una volta.
Se tu potessi stringermi,
ancora solamente una volta.
Se tu potessi amarmi,
ancora solamente una volta.
Se questa fosse la tua casa,
ancora solamente una notte.
Se noi potessimo essere,
ancora solamente una vita».


Certo non era una grande poesia (i ratti non sanno cosa siano le rime) ma nonostante fosse di melassa pura si accorse che invece di alleggerirsene il cuore ora ne traboccava addirittura. Fuori, nel gelo sotto la luna, immerso nella Nostalgia, incapace di pensare ad un nuovo baratto o anche solo ad una nuova mattina, il Ratto Baratto si accorse che negli occhi gli brillavano riflessi lucenti. Erano forse le lacrime che gli colavano a rivoli dagli occhietti neri lungo il pelo grigio? No: stava nevicando, e gli nevicava addosso, e la melassa gli impediva persino di muoversi per cercarsi un riparo.
«Rimarrò qui e sarà quel che sarà» si disse il ratto.

Quando i larghi fiocchi smisero di cadere, riapparvero la luna e un cielo colmo di stelle all’inverosimile. Quella stessa luna che il Ratto Baratto si era illuso di poter ottenere con un tradimento (ormai lo chiamava così, non più un baratto), e ora sapeva invece d’aver gettato. Il ratto non era più grigio, ma bianco da tanta neve gli si era posata addosso. Scrollò il lungo muso e guardò la vallata innevata, con gli alberi così carichi da sembrare semplici mucchi di neve. Ebbe una stretta al cuore: non era la stessa notte in cui il cielo gli aveva donato la topina dorata? Alzò gli occhi alle stelle e si trovò a sospirare: «Ho sbagliato. Ero solo un povero ratto ignorante, e non sapevo distinguere altro che il pecorino dal grana». «Ma oggi so cosa ho perso: ho perso l’Amore, che mi portava la Felicità. Fa che non sia così per sempre…» 
Nell’alto del cielo una stella sembrò brillare un poco più forte, poi esitare un attimo, quasi spegnersi. Alla fine scivolò una striscia luminosa, più luminosa di ogni altra stella, a solcare per una memorabile frazione di tempo la cupola della notte.
«Una Stella Cadente!»
«Già, una stella cadente» gli fece eco una voce. Era la voce della Fata dei Ratti, che all’improvviso era lì, di fronte a lui, circondata dalla pallida luce calda come di un lampione, avvolta in quel suo manto così candido da sembrare azzurro.

«…e per la seconda volta in un anno» proseguì. «Ci deve essere un motivo ben serio perché sia successo. Vediamo un po’, mio caro Ratto Baratto, dov’è la tua compagna, la topina dorata?»
Il ratto provò una sorta di nodo allo stomaco. Se fosse mai andato a scuola (ma i ratti per loro fortuna a scuola non ci vanno) la situazione gli avrebbe ricordato un’interrogazione di matematica, e si sarebbe guardato attorno in cerca della lavagna.
«La topina non c’è, Fata. L’ho barattata». I baffi gli penzolavano dal muso come fossero piccoli spaghi bagnati.
«L’hai barattata. E con che meravigliosa meraviglia hai barattato la tua compagna, Ratto Baratto?»
«Io… non… non lo ricordo, Fata».
«Hai barattato la tua Compagna, il tuo Amore e la tua Felicità, ma non ricordi neppure con cosa?»


Il ratto arricciò il muso in una smorfia di dispiacere. Le orecchie erano afflosciate come carte di caramella buttate, i baffi ormai scivolavano sulla neve, la coda era così arrotolata sotto la pancia da spuntare davanti al muso. Il Ratto Baratto era l’immagine stessa dell’avvilimento.
Era così avvilito e mogio da essere buffo. E alla Fata (che tentava di mostrare un cipiglio severo, ma era Fata e come tale piuttosto buona) scappò prima un sorriso, poi una risata sincera. Rideva e rideva, e se cercava di trattenersi (dopo tutto era una Fata, no?) scoppiava a ridere ancora più forte, mentre le lacrime le scendevano dagli occhi.
«Vai, Ratto Baratto, torna a casa nel tuo piccolo buco sotto il granaio, ché è una notte troppo fredda per bighellonare. Credo proprio che la tua topina dorata sia là ad aspettarti. E cerca di trovarti un nuovo nome».

(3 - continua)

giovedì 17 novembre 2011

La Ballata del Ratto Baratto (parte 2/4)


(1 - continua)

Capitolo 2

Il Ratto Baratto andava avanti a scambiare croste di pecorino con profumati pezzi di gorgonzola o di robiolina, ma, senza che neppure se ne accorgesse, non gli capitava mai di desiderare di scambiare nel sonno la dolce topina color dell’oro. Sentiva una sensazione sconosciuta venire da un posto nuovo, un poco sopra lo stomaco, da quel cuoricino che gli batteva più distintamente quando lei gli lisciava il pelo, gli leccava i baffi, gli si strofinava sul piccolo tartufo. Sapeva che quella cosa serena e struggente che veniva dal cuore non era né fame, né sazietà, né sonno né attività: era la Felicità. Non gli era mai mancata prima perché non ne aveva mai sentito parlare, né sapeva capire con esattezza perché fosse ora all’improvviso felice. In realtà pensava di esserlo perché la vita è meravigliosa e vale la pena di essere vissuta anche da («specialmente da» pensava) un Ratto Baratto.

«Così come un giorno mi è cresciuto questo bel pelo, e un altro i baffi» pensava, «un giorno, semplicemente, sono divenuto un ratto abbastanza grande per essere felice» .

Certo, c’erano i giorni buoni e quelli cattivi, c’erano angioletti e diavoletti, croste di pane secco e mascarpone fondente, ma sempre il ratto era felice e credeva fermamente che non sarebbe mai potuto essere altrimenti. Mai dire mai (e neppure pensarlo! Non date mai niente per scontato, neanche se siete ratti di campagna!).

Un brutto giorno il Ratto Baratto incontrò una topina d’angora, dal pelo lungo e corvino, come erano del color del corvo nella notte i suoi occhi superbi e la sua lunga coda aristocratica. Il ratto pensò: «questa topina è esattamente quello che fa al caso di un Ratto Baratto con le maiuscole come sono io. È giusto quello che manca ad un ratto felice: quando l’avrò forse riuscirò anche a volare e chissà, forse a barattare l’anguria con la luna nel cielo».

In realtà non capiva esattamente perché il suo cuoricino (appena sopra lo stomaco) invece di gioirne sembrava si fosse riempito di una densa marmellata di malinconia, quella notte che nel sonno portò la topina dorata fuori dalla tana, senza neanche curarsi (o lo fece forse a proposito?) di lasciarla nella calda tana di qualche altro rattino. Il ratto pensò: «Stupido cuore, non capisce il baratto. Non è intelligente come il mio stomaco, che mi suggerisce sempre per il meglio. Ho graziose orecchie sensibili, ho dei morbidi baffetti sensuali, ho un elegante pelo argenteo, unghie lunghe e curate e uno stomaco spazioso» (solo per un pelo non aggiunse la parola «modestia» all’inventario delle qualità…). «Che bisogno c’era di quel cuoricino di cui nemmeno mi ero mai accorto?»

(2 - continua)

martedì 15 novembre 2011

La ballata del Ratto Baratto (parte 1/4)


La ballata del Ratto Baratto
di Gaetano Bottazzi

edizioni del formaggio
tiratura limitata a due copie
10 novembre 1990

«ho visto cadere una stella
e ho desiderato te»


Capitolo 1

il Ratto Baratto era un ratto (molto) sbarazzino. Mangiava formaggio, abitava nei buchi, e aveva l’abitudine di scorrazzare, non visto, a barattare ciò di cui si era stancato con le cose nuove che appartenevano agli altri. Barattava qualche focaccia masticata con un po’ di mollica ancora calda, una castagna ammuffita con del pop corn, noccioli di ciliegia con spagnolette. Magari un soldino bucato con una ciabattina da masticare per prendere sonno, nel suo piccolo buco sotto il granaio.

Ogni tanto non disdegnava la compagnia di qualche topina, ma mai più di un poco: poi nel sonno la portava fuori dalla tana (piano piano per non svegliarla) e la scambiava nel buco di qualche ratto addormentato. A volte con altre dolci rattine, più spesso con gustose croste di gruviera. E così la sua vita scorreva, stagione dopo stagione. Fino a che un giorno, senza preavvisi né presentimenti, accadde che incontrò la Topina Dorata. Era una notte di mezzo inverno, e il ratto, approfittando di una nevicata che aveva un poco riscaldato il gelo dell’aria, se ne andava indaffarato per la vallata lasciando piccole impronte di piccole unghie sulla neve fresca, domandandosi che cosa mai avrebbe potuto scambiare se tutto era nascosto a riposare al caldo di quella coltre uniforme. Il cielo era limpido e il Ratto si fermò a contemplare con desiderio la luna di formaggio che illuminava quel paesaggio rinnovato dalla neve.

«Luna, non dormire sonni tranquilli! Un giorno scambierò anche te, con una fetta di anguria mezza mangiata, e allora che faccia farà la gente affacciandosi dalla finestra di notte!»

Ridacchiò, soprattutto al pensiero della Civetta, che alla luce dell’anguria avrebbe faticato un bel po’ a individuare un topino a passeggio di notte. Fu mentre guardava la fetta di luna e l’immaginava con i piccoli noccioli neri al posto dei crateri, che vide la Stella. Una stella che, prima piccola piccola, invisibile fra i milioni di compagne della notte, fece un guizzo, divenne un poco più luminosa, e in un attimo scivolò in basso, spegnendosi nell’arco di un breve, lunghissimo viaggio. Era una Stella Cadente, e il ratto sapeva che avrebbe potuto chiedere alla Fata dei Ratti di esaudire un desiderio. Il bello è che è proprio così: quando una stella cade (perché ha deciso di barattare la propria bellezza, immortale e immobile nel firmamento, con un guizzo di esaltante follia) si apre per un attimo la porta attraverso cui su in cielo possono udire la nostra voce. Se ne vedete una, potete parlare attraverso quella porta. Se il desiderio è abbastanza puro, ed espresso con l’anima anziché con lo stomaco, vi sarà esaudito veramente.
(Come si può sapere quale parte del corpo ha espresso il desiderio? È molto semplice: se vi capita di avere l’acquolina in bocca, allora è stata lo stomaco. Se vi sentite un prurito sul cuore, allora è stata l’anima… per il futuro non scordatevene, perché è un buon modo di sapere se state facendo la cosa giusta).
Comunque il ratto alzò il tartufo, rizzò le piccole orecchie, tese i baffi tremanti per l’emozione, e disse: «Voglio… vorrei…» (si corresse) «vorrei fare questa notte il più bel baratto della mia vita» e guardò la luna nel cielo. Siccome non succedeva niente aggiunse: «in cambio darò… la vita che ho vissuto fino ad oggi» . Sentì piccoli passi leggeri graffiare la neve dietro di sé. Si girò di scatto (i ratti si girano sempre di scatto, a volte con un buffo salto, se sentono nella notte dei passi alle spalle) e la vide. Dolce come il miele, tenera come l’amore (che il Ratto Baratto non sapeva ancora cosa fosse), morbida come la calda terra arata d’autunno, gli occhi innocenti come la sua anima, un codino corto corto come un cucciolo da accudire: stava muso a muso con la più meravigliosa delle topine dorate che avesse mai saputo immaginare.

(1 - continua)

domenica 13 novembre 2011

Gotham City


C'è una vecchia puntata televisiva di Batman (quello in mutande e con la pancia ed il piccolo Robin) dove Joker acquista i giornali e la TV di Gotham City e a furia di pubblicare notizie false riesce a farsi eleggere sindaco. Il municipio è invaso dalla sua ghenga di banditi che saccheggiano la cosa pubblica, portano via carrettate di denaro e festeggiano negli uffici con ragazze facili, mentre la polizia osserva perplessa e impotente. Dopo qualche dubbio lo stesso sindaco precedente entra a far parte della cerchia del Joker, mentre Batman diventa un nemico pubblico.

giovedì 6 ottobre 2011

wheels for the mind


Ho acquistato il mio primo computer, un Apple IIc, nel 1985. Senza di lui la mia vita non sarebbe stata la stessa.

mercoledì 5 ottobre 2011

pizza da asporto


Nel paese vicino a casa mia, lungo il fiume dove la pianura diventa collina, c’è una piccola pizzeria “da asporto”. È una pizzeria in piena regola, con la pizza sull’insegna luminosa, con il forno a legna, un’ottima pizza e una gestione familiare; lui giovane e cotto dal fuoco impasta davanti al forno, lei giovane e vivace prende gli ordini e sforna le pizze. Non c’è lo spazio per i tavoli, la gente ordina per lo più al telefono e poi viene a ritirare. Piatte, ben cotte e croccanti, le pizze nel tragitto verso casa si raffreddano e prendono un po’ del sapore del cartone, ma rimangono buone quanto basta per avere ogni sera la fila di clienti. In un angolo c’è il frigorifero con la Coca Cola, l’acqua minerale e la birra, bottiglia piccola e bottiglia grande. I clienti parcheggiano le automobili alla meglio lungo il bordo della strada e aspettano avanti al banco gli ultimissimi minuti di cottura.
C’è il papà con in braccio la figlia (perché lui è appena tornato dal lavoro e non si vedono da tutto il giorno) e la madre che si capisce che è il comandante della barca perché quando lui sceglie da bere cerca l’approvazione negli occhi di lei. Magari la bimba ha le trecce o i fiocchetti, il maschietto più grande ha la maglia della squadra da calcio e sta spiegando qualche cosa con molto entusiasmo con la voglia di essere ascoltato, e magari ce n’è anche uno ancora in fasce che non parla ancora, perché di solito sono famiglie giovani e a volta anche carine. Specie lei, che non ha ancora perso la voglia di piacere. Hanno deciso di getto che questa sera si mangia pizza, perché lui è in ritardo o magari invece in anticipo, perché un casino ha impedito di cucinare o perché c’è un piccolo blues della giornata da cancellare con una pizza napoletana ed una birra gelata. Scendono da auto modeste, utilitarie che spesso avrebbero raggiunto il momento di essere cambiate. Ma sono sorridenti perché sono una famiglia, che è una squadra nella società, il nucleo di quello per cui la natura ci ha messo al mondo, la “ragione in cui credere”.
Sono in qualche modo un’isola di sicurezza nel torrente della vita, un Fort Apache di fronte alle difficoltà. Magari sarebbero anche più felici se non ci fossero preoccupazioni sul pagamento del mutuo, se il lavoro fosse più sicuro e meno noioso, se potessero fare una vacanza più lunga e se potessero alzarsi un’ora più tardi al mattino. Le cose andrebbero meglio se l’azienda non delocalizzasse la produzione in Cina e se al governo ci fossero meno ladri.

Io a prendere la pizza ci vado da solo perché Carolina è l’unica bambina al mondo che ha deciso che la pizza non le piace, e quando siamo assieme preferisce che sia io a cucinare in casa mentre lei apparecchia la tavola con cura tutta femminile. Però anche da solo mi piace guardare le squadre delle famiglie che arrivano, mi piace ascoltare la cosa che la bambina in braccio ha da raccontare al papà, mi piace se lui e lei hanno una piccola tenerezza nel tornare in auto. E penso a come mi sia impossibile capire chi a questo amore semplice preferisce rinunciare, per sete di potere, per fame di denaro, per bisogno di lusso, perché vuole l’amante di rappresentanza, la sportiva di moda, la borsa della boutique che costa più dello stipendio di un operaio, perché vuole andare nella spiaggia esclusiva in Versilia e si brucia la vita tirando cocaina, cercando di fottere gli altri, facendosi il sangue cattivo, in un girone di amanti, puttane, puttanieri, falsità e tradimenti.

Che poi chi lo sa, che delusione sarebbe seguire la storia della famigliola di lì a dieci anni, per scoprire come le speranze siano andate disilluse, come il bambino con i riccioli sia diventato un drogato o che qualcuno ha tradito, aprendo la porta di Fort Apache e lasciando entrare il nemico.
Però nel crepuscolo mi piace parcheggiare vicino a quella pizzeria e curiosare in quel minuto della vita degli altri. È un film, quello della gente comune, che preferisco decisamente a quelli dei supereroi.

mercoledì 14 settembre 2011

una motociclette per Blue


"... solo i figli di papà potevano sperare di possedere sia una due che una quattro ruote, e la scelta era ovvia: io ebbi una Fiat 500 blu usata che imparai a guidare e infine assorbito dagli studi universitari ed alle ristrettezze degli studenti, alla due ruote non pensai più. Non mi tornò in mente neppure quando neolaureato in medicina, l’esercito mi offrì il mio primo lavoro, “sottotenente medico di complemento”, e mi elargì il mio primo stipendio. Checché se ne possa pensare, quello con la divisa fu l’anno più bello della mia vita, e la cosa vale anche per molti colleghi che ebbero la ventura di servire per un anno come giovani ufficiali. Io ero di servizio alla caserma di Pagano, il distretto militare nella Milano degli anni ottanta, la “Milano da bere”, quella bella ed ottimista uscita dai cupi anni di piombo e inconsapevole di ficcarsi nelle secche della seconda repubblica della Lega, dei post craxisti, Berlusconi e la Moratti. Avevo una Golf Diesel bianca, uno stipendio fisso di 1.250.000 lire al mese, il primo amore (quello che non si scorda più) proprio a Milano e un futuro tutto da vivere. Bruciavo dalla voglia di professare la medicina, ma se avessi avuto sentore di quali compromessi e amarezze elargisce la vita lavorativa vera non avrei lasciato il mio nido a Milano e la bella divisa con la stelletta. Comunque, per non divagare, nonostante lo stipendio, la bella città ed il tempo libero, non mi venne in mente che avrei potuto cercare in qualche garage una Honda Four usata o magari l’ultima delle Moto Morini..."

prosegue su motocicletteblog.it


mercoledì 10 agosto 2011

Notte di San Lorenzo


«I've seen a shooting star,
and I thought of you» (Bob Dylan)

«ho visto cadere una stella
e ho desiderato te» (Il Ratto Baratto)

Il desiderio fa parte della natura umana. Vedere cadere una stella mi da diritto ad esprimere un desiderio. Sin da bambino, allora il dieci di agosto si era al mare in Versilia, mi si diceva: "hai visto una stella cadente? Esprimi un desiderio". La notte di San Lorenzo è un rito, e sono i riti e le ricorrenze che rendono l’anno più interessante. Nel passato ho caricato in auto amici, fidanzate, famiglia, per raggiungere la collina dove il cielo è più pulito e nero per godere dello spettacolo del cielo stellato che in città non si può vedere.

Una notte, quando ero giovane e bello, stavo dormendo in una sperduta sede di Guardia Medica, sull’Appennino fra la pianura padana ed il Mar Ligure. All’improvviso senza una ragione al mondo, apro gli occhi: la piccola finestra è aperta e nell’oscurità il cielo appare blu. Non ho neanche il tempo di rendermi conto che non sto dormendo quando vedo per un istante, nitida e precisa, la scia luminosa una stella cadente tagliare da una parte all’altra proprio quel minuscolo pezzetto di cielo. Davvero ho visto una stella cadente? Mi sono svegliato esattamente nel momento preciso in cui cadeva una stella? Ancora oggi io credo di averla vista per davvero, di non essermela sognata e di avere, suggestionato, in realtà aperto gli occhi solo dopo. Il pensiero corre al primo amore, finito da poco per correre più libero e leggero lungo la vita che ho davanti. Nella notte perso che mi manca, che vorrei poterla abbracciare ancora e ‘desidero’ che lei sia di nuovo mia. Il giorno dopo le telefono, la cerco, la raggiungo, ed evidentemente il primo amore non era ancora del tutto esaurito per nessuno dei due. (È per lei che anni dopo ho scritto Il Ratto Baratto).

Sono passati anni. 

Sto viaggiando in auto nella notte, con un amore nuovo, di ritorno da una pizzeria in collina. Realizzo che è il dieci di agosto, e infilo l’auto in una stradina fra i campi. Un vento furioso agita l’erba e ci colpisce il viso con ondate di aria calda. Il cielo è limpido e pulito più che mai e sembra una volta di stelle. Stelle che cadono che sembrano fuochi d’artificio. Potrebbero non realizzarsi i desideri espressi in una notte magica come quella? Desidero di avere una famiglia tutta mia e desidero di avere dei figli. Non c’è nulla di particolarmente irrealizzabile in un desiderio così, ma ho pensato spesso a quella notte quando ho avuto una moglie ed una figlia (no, non con lo stesso amore di quella notte). Ci ho pensato ogni volta che ho portato la mia famiglia sulla collina nella notte di San Lorenzo.

Poi, ad un certo punto, la famiglia si è dissolta. L’anello inaspettatamente difettoso è saltato e la catena si è spezzata. Oggi ho una figlia ma non ho più una famiglia. Immagino di non poter recriminare nulla a quelle stelle: il desiderio dopo tutto era stato realizzato. Sono stato con mia figlia sulla collina: c’era un profumo di buono, una tiepida aria estiva ed una vista delle luci nella pianura che sembrava di essere a Los Angeles sulle Hollywood Hills. Ma il cielo era così nuvoloso che si intuiva a malapena la luna. Neanche una stella.
Questa sera è nuovamente, una volta di più, la Notte di San Lorenzo.

“Tonight I'll be on that hill 'cause I can't stop,
I'll be on that hill with everything I got,
Lives on the line where dreams are found and lost,
I'll be there on time and I'll pay the cost,
For wanting things that can only be found
In the darkness on the edge of town”

"Questa notte sarò su quella collina perché non posso fermarmi, sarò su quella collina con tutto ciò che ho, vite sul confine dove i sogni si trovano e si perdono, sarò là per tempo per pagare il prezzo di volere cose che possono essere trovate solo nell’oscurità ai bordi della città” (Bruce Springsteen, 1978)

mercoledì 18 maggio 2011

era una notte buia e tempestosa



Michele aveva perso le sue biglie. Io, da qualche anno, ho perso la mia felicità. A scopo simbolico potrei dire dal giorno del mio cinquantesimo compleanno. Non l’avrei pensato davvero quella sera: guardavo il sole tramontare nell’oceano, da una spiaggia di sabbia, dove sotto il riparo di un gazebo in legno mangiavo scampi alla griglia pescati di fresco. Questo per dire che non puoi mai dire, nella vita. Ma non mi sono perso d’animo: conto ancora di ritrovarla, con gli interessi maturati.
Intanto ho acquistato un MacBook Air (quello che avevo me lo hanno portato via i ladri, dalla mansarda). Ci ho caricato un programma, Scrivener, e ho scritto quattro titoli. Di libri. Da scrivere. In qualche modo più o meno incastrati l’uno nell’altro, o quasi.
Non so se riuscirò a scrivere il primo, ma ho intenzione di provarci. So cosa raccontare ed ho anche trovato uno stile (da copiare) per farlo.
Nel frattempo immagino che non aggiornerò il blog, o magari di rado. Però ci sono, sto battendo sui tasti del portatile. Aspettatemi.

martedì 19 aprile 2011

Jack Spavaldo


Un racconto apocrifo vuole che Jack lo Spavaldo si sia incontrato oggi con la Volpe, sua nemesi e in definitiva il compimento stesso del senso della propria vita. Narrano che Jack abbia emesso un sordo brontolio di minaccia da far agghiacciare il sangue, e che abbia offerto la spavalda fronte al nemico senza mai piegare di lato di un solo grado, sia pur indietreggiando nel contempo sensibilmente ma irrevocabilmente, fino a trovarsi a distanza di sicurezza dalla fiera. Non si prenda questo atteggiamento per cialtroneria, ma piuttosto per sottile strategia dettata dall’infallibile istinto. Pare infatti che i Jack Russell attacchino sì l'infida volpe in campo aperto, ma mai quando il plotone sia inferiore di numero alla mezza dozzina…

lunedì 28 febbraio 2011

sesso (capitolo primo)


Questo Sesso è una cosa complicata, soprattutto per il fatto che essendoci dentro fino al collo, abbiamo una visione limitata del suo orizzonte. Possiamo descrivere con una certa obiettività il comportamento sessuale del moscerino della frutta, ma quando arriviamo al comportamento nostro è tutto un altro paio di maniche.
Premessa essenziale per parlare seriamente di Sesso è chiarire il luogo comune che vuole che all’uomo piaccia far sesso come “un animale”. Gli animali non fanno Sesso: gli animali si accoppiano al fine di riprodursi. Nel mondo animale la femmina si accoppia quando è fertile, cioè durante l’estro (e il maschio, va da sè, si adegua). Gli animali non provano attrazione fisica reciproca in periodi diversi da quello della fertilità; quando la femmina ovula percepisce l’onda ormonale ed emette segnali di qualche tipo (visivi, olfattivi…) che irresistibilmente richiamano i maschi della sua specie, con modalità del tutto differente fra animale ed animale: per esempio la gatta la da a tutti i gatti, mentre per animali rissosi come i rinoceronti è questione di chi vince la lotta a cornate fra i maschi, o per gli elefanti è un privilegio del capobranco. Badate che per il maschio l’accoppiamento è un richiamo irresistibile, che neutralizza persino all’istinto di sopravvivenza, ma è limitato a quel preciso istante. Ed in nessun caso il rapporto sessuale stesso è oggetto di fantasia o di particolare elaborazione. Si tratta di portare il seme maschile a contatto dell’ovulo femminile, sic et simpliciter.
Per gli umani è tutta un’altra storia: né la femmina né il maschio sono al corrente dell’attimo in cui la femmina è fertile, che è un momento limitato a poco più di 24 ore nell’arco del mese lunare. Diciamo, considerata anche la durata dello spermatozoo oltre che quella dell’ovulo, decisamente meno di trenta giorni in un anno solare, cioè su 365. Non solo il maschio e la femmina di uomo non sanno quando l’accoppiamento è fertile, ma nella maggior parte dei casi se lo sapessero si asterrebbero dal praticarlo proprio quel giorno...
La spiegazione del nostro singolare comportamento sessuale viene dai nostri geni, cioè, in altri termini, è stato determinato dal nostro percorso evolutivo. Ora in Italia l’”evoluzione” a scuola non si studia (si sa, da noi siamo ancora creazionisti, e mi meraviglio che sia stata accettata in linea di massima quella cosa del sole e dei pianeti) e al di fuori dei medici e forse dei biologi nessuno ha un’idea chiara di cosa l’evoluzione in effetti sia. Senza dedicare un altro post al riguardo, basterà chiarire che non c’è nulla di finalizzato nel percorso evolutivo. Non si tratta, come molti immaginano, di un percorso a forma di piramide dove una volontà superiore (madre natura?) elabora un progetto partito come ameba e che si trova ad essere perfezionato nell’essere umano, come pensavano i nazisti. Nè tanto meno l’evoluzione ha la forma opposta, ad albero e foglie, dove da una semplice forma di vita si giunge ad un massimo di differenziazione. La via evolutiva assomiglia piuttosto ad un nastro, un tapis roulant: l’evoluzione consiste semplicemente nell’adattare le forme di vita a quella che si definisce una nicchia ecologica, cioè ad uno spazio esistente in un preciso momento in un preciso ambiente. Due specie diverse non condividono la stessa nicchia ecologica. Quando succede, la meno adatta è destinata ad estinguersi, come i marsupiali in Australia all’arrivo dei mammiferi. Non c’è un disegno dietro a questo adattamento; semplicemente le specie presenti in un certo momento (anche ora, per esempio) sono i discendenti di specie che hanno avuto le caratteristiche adeguate da permettere loro generare abbastanza figli da non estinguersi.
Prolificare non è di per sè una cosa buona o cattiva. Semplicemente, per dirla alla Monsieur de La Palisse, noi siamo i figli di chi ha generato.
Per esemplificare: poniamo che si ci fossero uomini che temevano il buio ed altri che ne erano indifferenti, se non attratti. I primi non erano né meglio né peggio dei secondi, e non si sono divertiti né più né meno degli altri. Non ci sono discorsi etici al riguardo: semplicemente chi aveva paura del buio, di notte stava al riparo nelle grotte, magari protetto dalla luce dei fuochi, e perciò è stato mangiato meno dai leoni, ha avuto più possibilità di riprodursi e noi oggi siamo i discendenti di chi era intimorito ieri dal buio. O dai serpenti. O di chi faceva pazzie per avere un rapporto sessuale con un essere umano del sesso opposto.
Chiusa la parentesi evolutiva, resta da chiarire perché gli umani facciano Sesso mentre gli altri animali si limitino a riprodursi. La spiegazione sta nella complessità delle mente umana; il nostro atout evolutivo è l’intelligenza, ma l’intelligenza per svilupparsi ha bisogno di molto tempo. Diciamo che fino ai sedici anni il cucciolo d’uomo è piuttosto indifeso ed ha bisogno delle cure di una famiglia per potersi sviluppare, al contrario di altri animali dove la dipendenza dai genitori dura minuti, giorni o al massimo un anno. Una famiglia composta da un padre che insemina la madre e poi l’abbandona gravida al suo destino, ha conosciuto un successo evolutivo più scadente di quella dove un maschio andava a cacciare ed invece di tener per sè il pur scarso bottino, lo portava a casa per nutrire la femmina e la prole. Gli esseri umani di oggi sono i figli secondo tipo familiare descritto, e ne hanno ereditato i geni ed il comportamento. Dal punto di vista evolutivo era necessario che qualche cosa invogliasse però il maschio a questo comportamento, in apparenza svantaggioso in tempi brevi - e si sa che i tempi brevi hanno sempre il loro fascino, prendi ad esempio il piacere che traggono i fumatori dalla sigaretta.
In evoluzione non vengono creati software (comportamenti) ed hardware (organi) dal nulla, ma si modificano attrezzature pre-esistenti. Per esempio: la nostra mandibola, che abbiamo ereditato dai nonni rettili, è derivata dalle branchie dei pesci. A noi non servivano branchie, ma una mandibola per masticare ci faceva comodo. Allo stesso modo l’evoluzione si è inventata (per modo di dire) il Sesso, mutuandolo dall’accoppiamento sessuale.
Cos’è questo Sesso? Il desiderio irresistibile di accoppiarsi svincolato da quello di riprodursi, con tutto il teatro che ne deriva, dalle dimensioni del pene alla durata, apparentemente inutile, dell’atto. Con l’invenzione del Sesso, il maschio umano non andava più in cerca di passera disponibile di tanto in tanto, ma la cercava ogni giorno alla sua compagna. Che non gliela forniva ogni 28 giorni (meno i periodi di gravidanza ed allattamento, che in natura fanno tre anni), ma un tantino più spesso. Dal momento che, come ho spiegato sopra, non c’è un disegno né un fine dietro questi progetti ma si tratta semplicemente del frutto di innumerevoli “casi”, questa deriva del sesso dall’accoppiamento ha portato a una notevole differenziazione di comportamenti, di gusti e di preferenze nel nostro appetito sessuale. È noto che i gusti sessuali sono estremamente variegati, e ciò che piace ad uno non è quello che piace ad un altro. Ricordo di un amico che nell’adolescenza andava in cerca di film pornografici “con le mutande” (in sessuologia questo comportamento si chiama feticismo). Era l’unico fra tutti noi e nessuno scambiava cassette con lui. Nemmeno in cucina ci sono altrettanti gusti come nel caso del sesso: feticismo, esibizionismo, voyeurismo, gerontofilia, sado-masochismo, urolagnia, coprofilia... (de gustibus). In sessuologia una volta una attrazione diversa da quella della pura penetrazione era definita “spostamento dell’oggetto sessuale”. Persino il seno, lo dico per amor di tesi, avrebbe potuto essere uno spostamento rispetto all’attenzione verso i genitali (al limite). Il sesso orale non era considerato in civiltà precedenti, e quello anale è da sempre stato considerato contro natura.
Questo è tutto per quanto riguarda le basi scientifiche. Ad un prossimo post la descrizione di cosa fanno gli umani per inventarsi qualche modo di accoppiarsi. Per le domande, il Professore risponde nei commenti.

lunedì 21 febbraio 2011

l'amante di propria moglie


Non sarebbe bello essere l’amante di propria moglie? A dispetto di tutto ciò che, nelle umane stagioni dell’amore, congiura contro questa possibilità? Da adolescenti sperimentiamo il sesso ed i sentimenti. Da giovani adulti conosciamo il Primo Amore (quello che non si dimentica più) ed il Grande Amore. Infine facciamo la conoscenza di nostra moglie (o, naturalmente, di nostro marito). Matrimonio, figli, quotidianità, vacanze al mare ed ai monti, automobile familiare, il lavoro, il mutuo, cose anche apprezzabilissime ma che declinano male con la passione e l’innamoramento. Non a caso uno scrittore italiano di successo una ventina d’anni fa distingueva con decisione l’Innamoramento dall’Amore. Dei due l’Amore è più importante, più nobile, più completo, più duraturo, più grande. Però, diciamocelo, l’Innamoramento è più divertente.
Ogni padre o madre di famiglia finisce per adottare una propria strategia per coniugare matrimonio ed innamoramento. La più frequente è di ignorarlo. Ignorare una parte di sé, quella che è servita alla natura per proseguire la specie e che ora non è più di utilità. Si può sostituire con altro: la passione per la montagna, per la bicicletta, per la moto, per la musica, per la cucina... Non si spiegherebbe altrimenti perché la gente possa dedicarsi ad attività straordinariamente noiose come il gioco del golf (che non gode neppure della tradizione letteraria bucolica di alternative come il gioco delle bocce): chi giocherebbe a golf se potesse invece fare l’amore?
La famiglia senza sesso e senza passione continua a navigare, spesso con meno scossoni e per acque più tranquille. Durante la settimana si lavora, nel week-end si va di hobby, si tirano su i figli e si va al mare in Versilia. Ma poi succede che uno nella passione ci cade dentro per caso; uno sguardo, un’occasione, un corteggiamento. Un’occasione così propizia da non potersi ignorare.
Difficilmente è passione vera; è più facile che sia un surrogato, una imitazione, una proiezione di quello che è stato e che si temeva non potesse essere più. Alla fine è un gioco di ruolo. Ecco che la noia viene rotta da un appuntamento rubato, da una telefonata sopra i toni, da un sms galeotto, da un po’ di sesso vissuto con appetito. Magari persino da un fine settimana “altrove” dalla propria routine, in un altro tempo spazio che per quanto imperfetto ci da l’eco dell’emozione di essere ancora vivi, capaci di amare e soprattutto di essere amati. Anche se poi a conti fatti amore non è (quasi) mai.
Stuzzica l’idea di vivere un amore segreto per vivacizzare la routine metropolitana? Perché non essere l’amante della propria moglie? Mandare a lei, nel bel mezzo di una mattinata di noia lavorativa, un sms erotico. Incontrarsi all’intervallo di pranzo per coccolarsi. Prendere un appuntamento segreto per una cena fuori città, senza amici e senza figli. Scappare in moto al venerdì per un week-end giapponese, di quelli tutti passati a far l’amore in un letto ed uscire sì e no per nutrirsi. Spogliarsi assieme su una spiaggia per nudisti al sole del mediterraneo.
Per fare si potrebbe fare, e sarebbe anche tanto più comodo (essere l'amante della moglie propria invece di quella di un altro...).

(pubblicato la prima volta il 18 maggio 2008. Foto di Mauro Ferrari)

lunedì 14 febbraio 2011

l'infedele


(Ho pubblicato per la prima volta il post sugli innamorati il giorno di San Valentino del 2008. Mi ci sono voluti tre anni per dargli un seguito).

Ci sono animali la cui relazione amorosa dura il fugace tempo dell’accoppiamento, ed altri che al contrario si legano a formare una una famiglia che dura per la vita intera. L’homo sapiens appartiene (o apparteneva?) a questa seconda categoria: dal periodo dell’adolescenza, speso a sperimentare le relazioni verso il sesso opposto, passa attraverso l’innamoramento a cercare un partner con cui creare una famiglia, avere dei bimbi, crescerli ed infine invecchiare assieme. Nella sua applicazione pratica questo modello presenta difficoltà da subito, fin dalla fase in cui innamorandoci di una persona ci accorgiamo con stupore che lei non è innamorata di noi. Quale sia il meccanismo che fa scattare il nostro interesse emotivo ed erotico per l’altro è per noi un mistero, e forse è anche giusto che sia così; però è davvero un vero peccato che la gioia totale che proviamo imbarcandoci in una storia d’amore ci tocchi così di rado, mentre al contrario la delusione ci è dispensata a piene mani.
Trovare la persona che ci ricambi, quella che ci fa battere il cuore ed il cui cuore batte per noi, è lungo, difficile e ad alcuni non riesce mai. Perciò una volta trovato l’amore dovremmo mostrarcene grati tanto al cielo quanto al partner, ma quasi sempre non è così. Esauriti i giorni della luna di miele, della passione bruciante, dell’innamoramento, quelli in cui la voce e la vista dell’amato ci fanno sussultare, quei giorni quando non smetteremmo mai di baciarci, la relazione prende la via più tranquilla e solida dell’amore stabile e quotidiano.
È qui che entra in gioco l’infedeltà.
Certo, una persona può essere assolutamente infedele fin dall’inizio, da fidanzato, e in questa fase può esserne anche più tollerato dal partner, perché si sa che il fidanzamento comporta obblighi meno esclusivi del matrimonio. L’innamorato che scopre l’infedeltà del fidanzato è più portato al perdono, perché immagina di dover raddoppiare gli sforzi per conquistarlo, o comunque perché si lascia cullare dall’eterna illusione di vederlo cambiare in futuro.
Read my lips: tanto prima tanto meglio! Ringraziate il cielo di aver scoperto che amate un’infedele e lasciatelo all’istatnte, ora che siete in tempo, perché delle due l’una: o non vi ama o è un’infedele seriale. Non solo non cambierà ma potete essere certi che vi rovinerà la vita.
Il grosso danno l’infedeltà lo provoca quando si manifesta all’interno del matrimonio. Si dicono molte cose negative sul matrimonio, del tipo che è la tomba dell’amore o che è una prigione, un inferno rosa (© Mogol) ma in realtà sposare la persona giusta è una cosa meravigliosa. Passati i giorni della caccia sotto il vento e la pioggia, in questo mondo avaro di felicità, due persone che si amano (più i loro figli) possono cercare di costruirsi con le proprie mani nella propria tana un Privato Paradiso in terra. Ma difficilmente un matrimonio sopravvive ad una infedeltà, e siccome l’infedeltà viene scoperta sempre, scegliere di essere infedeli significa scegliere di restare soli. Purtroppo lo stesso vale per la vittima dell’infedeltà, che di scegliere non ha avuto nessuna possibilità.
Diciamo la verità, l’emozione ed il sesso piacciono a tutti, e nessuno conferisce ad una propria scappatella occasionale lo stesso peso che da a un’infedeltà subita. Molti uomini non considerano nemmeno infedeltà un rapporto sessuale a pagamento, perché è una cosa che non coinvolge la sfera dei sentimenti; la teoria è che se non togli al partner neanche un grammo di amore, uno sfogo extra non lo priva di nulla. A meno che non stiamo parlando di un puttaniere che ama esercitare il sesso mercenario al posto di quello coniugale. Credo che molti uomini tollererebbero anche che la moglie avesse un rapporto sessuale con un uomo pagato (immaginate la situazione di un addio al celibato molto spinto) se fosse assolutamente occasionale.

Essere infedeli comporta una certa dose di predisposizione alla falsità e all’inganno; per molti di noi essere infedele sarebbe considerato un lavoro troppo stressante. Innanzi tutto per trovarsi nella situazione di tradire bisogna un po’ cercarsela, mostrando disponibilità con l'atteggiamento e cercando le occasioni per mettersi in tentazione.
L’infedele per sbaglio, assolutamente occasionale, è quello a cui capita una grossa occasione a cui è davvero difficile dire di no. Per esempio un uomo a cui una collega di lavoro molto avvenente faccia una proposta assolutamente esplicita. Oppure una donna che si ritrova abilmente corteggiata da qualcuno che, per amore o per sport, smuova di nuovo in lei, dopo anni di routine familiare, le corde della sensibilità femminile: il piacere di piacere, di sentirsi bella e desiderata. L’infedele occasionale è assolutamente in guai grossi: non sa mentire e non è capace di gestire una situazione clandestina, né vuole davvero farlo. Nella migliore delle ipotesi si farà scoprire fino dal primo appuntamento, pagando cara una situazione stressante che gli ha fornito ben poche gratificazioni. Nella peggiore (ma forse anche no) finisce che si innamora davvero dell’amante e manda a rotoli il proprio matrimonio. Più che una infedeltà in questo caso si tratta di un errore: un matrimonio sbagliato - e sono in tanti a entrare in questa categoria.
L’occasione dell’infedeltà è più frequente per certe categorie di lavoro, per esempio per chi viaggia molto per lavoro, chi è spesso fuori casa lavorando fianco a fianco di colleghi abituali, chi si trova spesso in riunioni di lavoro fuori città. Le difese si abbassano, la situazione è propizia, l’occasione è a portata di mano, anzi, di stanza. Si sa che le convention negli alberghi si trasformano spesso in baccanali notturni ancor più delle gite scolastiche degli adolescenti.

C’è una seconda categoria di infedele, che però è rara. È il forzato del sesso; è la persona ipersessuale, spesso maschile, che vive ogni situazione della giornata in chiave di desiderio di accoppiamento. Ce ne sono meno di quanti lo millantino, e spesso non sono veri infedeli: spesso l’ipersessualità è vissuta dalla coppia, che finisce per scegliere di vivere l’erotismo in modo allargato. Sono gli scambisti, quelli che frequentano club particolari e insospettabili orge. Non configura infedeltà perché l’infedeltà comporta il tradimento, cioè il compiere un’azione a insaputa del partner e a suo danno.

Il vero nemico del matrimonio e del genere umano è l’infedele seriale. L’infedele seriale è un cyborg, un replicante che in apparenza assomiglia in ogni dettaglio ad un essere umano, ma che tale non è. Si mescola agli esseri umani, ne mima il comportamento e le emozioni, compreso l’amore e genericamente i valori, ma è un inganno. L’infedele seriale non si sente davvero uguale alle altre persone: al pari del suo collega il serial killer, non è capace di empatia, simpatia per le altre persone, a cui spesso si sente inferiore e quindi in credito e perciò in diritto di predare. Non è capace di entrare nella mente e nei sentimenti di chi lo circonda, ed il suo amare non è mai molto più di un mimetismo acquisito con l’esperienza.
L’infedele seriale è di norma arrivista, arrogante, sempre assolutamente falso e fasullo, perché per lui “la verità” è solo uno dei modi di relazionarsi agli altri per ottenerne qualche cosa e non un valore etico da rispettare. È edonista, cerca il piacere anche se spesso è davvero incapace di afferrarlo e magari arriva ad aiutarsi con additivi, come la cocaina, la droga edonistica per eccellenza. La donna ninfomane per esempio è frequentemente anorgasmica e (se non rientra nella categoria degli scambisti) infedele. L’infedele seriale è un professionista della menzogna, del trucco e dell’inganno, conosce ogni trucco, dal telefono silenzioso all’impegno di lavoro, e non si fa prendere in castagna con una ricevuta o uno scontrino dimenticati nelle tasche. L’infedele seriale non ama davvero. Anche se è capace di assemblare storie parallele che possono durare mesi o anni, nel momento in cui viene scoperto non trasforma il rapporto adulterino in una vera storia d’amore, a dispetto delle parole che ha speso in abbondanza nell’inganno del suo corteggiamento (talk is cheap: parlare non costa nulla). Il rapporto clandestino cessa di esistere nel momento stesso in cui si espone alla luce del sole.
Ulteriore prova dell’incoerenza sociale dell’infedele seriale è la gelosia. Le persone più gelose che ho conosciuto erano anche infallibilmente infedeli e profondamente insicure. Una persona normale riterrebbe un equo indennizzo il fatto che il coniuge tradito tradisca a sua volta, e magari ne sarebbe anche sollevato. Non sono infrequenti i matrimoni di lunga data che si basano su una doppia infedeltà non concordata ma in definitiva non indagata e tanto meno ostacolata.
Nell'equilibrio dell’Universo il contraltare dell’infedele è il coniuge tradito. Esistono partner naturalmente predisposti ad essere traditi. Intanto se è vero che l’infedeltà riguarda il sessanta per cento delle relazioni, e che sono più i matrimoni destinati a naufragare che quelli a durare per tutta la vita, il modo più sicuro di esporsi al tradimento è… sposarsi. Dovrebbero mettere tabelloni elettronici sul sagrato della chiesa come quelli in autostrada: “due matrimoni su tre finiscono in cacca” oppure “due sposi su tre tradiranno il coniuge”. O ancora: "un giorno il coniuge vi odierà".
Il coniuge tradito può essere il più passivo dei due, o quello più innamorato o il più disposto a tollerare per paura di perdere il partner. Sospetta ma non verifica e di fronte all’evidenza prende per buone le bugie del traditore, quando non se ne fa addirittura colpevolizzare a danno della propria autostima, in una spirale negativa a cui solo la vecchiaia sessuale del partner porrà termine. Può anche essere che il tradito sia il coniuge “dominante”, quando è così arrogante e abbagliato dal proprio ego da trascurare i bisogni del partner e non prendere neppure in considerazione la possibilità di essere tradito - e dunque come tale un non geloso, fino al devastante momento della verità.

Tradimento è la parola più brutta del vocabolario, perché significa che la persona che più dovrebbe amarci è quella che ci fa più male al mondo. Un nemico infido che dorme senza rimorso di fianco alla sua vittima inconsapevole. Ed è anche la parola che fa più danno, perché la maggior parte dei matrimoni non sopravvive al tradimento. Il tradimento distrugge, che è il contrario di costruire, e se costruire necessita tempo, amore, dedizione, impegno e tanta fortuna, a distruggere ci si mette un attimo.
Il traditore rinuncia più o meno consapevolmente alla gioia dell’Amore, del vivere assieme e dell’invecchiare assieme per barattarlo con un futuro vuoto, di un po’ di sesso di contrabbando e molta solitudine.

giovedì 10 febbraio 2011

A Good Man Is Hard To Find


Sono una vittima del rock & roll. Nel senso che sono cresciuto a rock & roll, 45 giri e buoni sentimenti. Le canzoni rock cantano l’amore puro, la passione, il desiderio. Sguazzano fra cuori spezzati e amori finiti ma non contemplano il tradimento, la falsità, l’imbroglio, la cattiveria. Ho sempre vissuto i miei amori con rock & roll. La poesia e magari le lacrime di una canzone di Roy Orbison o degli Everly Brothers. L’imbroglio non te l'aspetti, ti prende di sorpresa senza che tu sappia reagire. Ho cercato una canzone che ne parlasse, quello che ho trovato è questo:


‎"Hey Joe dove te ne vai con quella pistola in mano
Vado a sparare alla mia donna
Perché l'ho sorpresa farsela con un altro uomo
Sto andando a sparare alla mia donna proprio ora
Per poi scappar giù al sud verso il Messico
Dove posso essere libero
Dove nessuno mi metterà una corda attorno al collo..."

(Billy Roberts)


E qualcosa rimane, fra le pagine chiare, fra le pagine scure,
e cancello il tuo nome dalla mia facciata
e confondo i miei alibi e le tue ragioni.
Chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente
ma lo zingaro è un trucco.
Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo
e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro.
Colora i tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo,
li puoi nascondere o giocare come vuoi

(Francesco De Gregori)


Lei disse “le cose cambiano”
io risposi “ma io mi sento lo stesso
non capisco come un amore invece di crescere possa sparire”
lei disse “le cose cambiano
e ‘per sempre’ è una promessa a cui nessun amore può sopravvivere"
così baby ho smesso di provarci
perché posso essere lento a capire, ma non sono cieco...

ora lei mi dice “ti amo ancora e tu una volta urlavi il mio nome”
io dico “non è colpa di nessuno, ma tu lo sai bene che le cose cambiano…”

(Dwight Yoakam)


“più avanti lungo la strada
qualcuno ti farà il male che tu hai fatto a me
più avanti lungo la strada
baby, aspetta e vedrai
adesso ridi ma un giorno piangerai
più avanti lungo la strada
vedrai che non sono bugie,
più avanti lungo la strada
mi rimpiangerai”

(da Bobby Blue Bland)


Sapevo che un giorno avresti ripensato a me e a te
ti saresti dimenticata delle cose cattive
e avresti pensato a quanto abbiamo riso assieme
avresti desiderato tornare a casa
beh, dolcezza, non è per cattiveria o nient’altro
che io sto cantando questa canzone
è che nessuno sa dove vada a finire l’amore
ma quando è andato, è andato
perché quando sei solo, sei solo…

(Bruce Springsteen)


Lei spegne la TV e se ne va a letto senza una parola
pensando a come tutto è stato sprecato
e come sono stati buttati i loro sogni…
…e un uomo giusto è difficile da trovare

(Bruce Springsteen)


Nessuno mi aveva mai fatto del male
prima di te,
sei la donna che dormiva al mio fianco
non mi hai detto che le cose erano cambiate
non mi hai detto di non amarmi più
mi hai tradito
e mi hai mentito
e non me ne hai chiesto perdono
hai lasciato che me ne andassi
senza chiedermi di restare,
non ci hai nemmeno provato
credevi di sostituirmi
ma l’amore è difficile da trovare
persino un uomo che ti tenga caldo il letto
dopo aver finito di far l’amore
è difficile da trovare


lunedì 7 febbraio 2011

l'amante


Gli amici con l’amante li riconosci subito. All’inizio sembra abbia bevuto un calice alla fonte dell’eterna giovinezza. Sono energici, galvanizzati, effervescenti, abbronzati, si comprano camicie alla moda, scarpe che costano mezzo stipendio, se possono un’auto sportiva. Sono ammiccanti, ti guardano come se avessero capito il senso della vita, si lasciano andare a lezioni magistrali sul sesso.
Rincretiniscono, recuperano i sotterfugi del liceo per bigiare la scuola o nascondere la pagella. Inventano scuse puerili per uscire di casa, per chiudersi in bagno a telefonare, per simulare week-end di lavoro; sono trasparenti nelle loro menzogne come un bimbo che ruba la marmellata.
La fase up dura lo spazio di qualche settimana. Come una candela che brucia da entrambi i lati, o un atleta dopato, gli anni ricadono sulle spalle come in un cartone animato. Prima c’è la fidanzata che chiede di più. Già perché l’amico, preso dalla necessità di raggiungere il traguardo della prima copula, si era dimenticato di spiegare che in fondo quello che cercava non era molto di più di un extra di sesso. Poi c’è la moglie che lo scopre (perché l’amante si scopre), con l’inevitabile accompagnamento di spiegazioni, avvocati, assegno di mantenimento, i figli, il monolocale arredato in affitto. E infine giunge la scoperta cardinale: tutta questa fatica non ha portato al risultato di avere un’amante, ma due mogli al posto di una!
Il colore dell’amico passa da abbronzato a cereo, tornano a galla le rughe, il lavoro va a rotoli, la “nuova” moglie è più gelosa e soffocante dell’altra, i soldi non bastano più.

Gli amici con l’amante li riconosci subito: quando li incontri per strada quegli ex ragazzoni che uscivano gioiosi a giocare a calcetto per magari poi andare a vedere una ballerina, ora scuotono la testa seri e guardano lontano con l’occhio triste...
PS: una moglie è più brava a gestire un amante. Intanto non sceglie un ventenne o un ballerino russo, ma un uomo sposato, con nessun interesse a creare terremoti. In secondo luogo, cos’ha da perdere? Solo un marito noioso. O almeno così crede.

(pubblicato per la prima volta il 14 dicembre 2006)

lunedì 31 gennaio 2011

la parola amore


I met a girl and we ran away
I swore I'd make her happy every day
And how I made her cry
Two faces have I

ho conosciuto una ragazza e siamo scappati assieme
ho giurato di farla felice ogni giorno
e quanto l’ho fatta piangere...

La parola più equivocata di tutto il vocabolario è di certo “amore”. La usa l’innamorato per esprimere il suo sentimento alla compagna (compagno), per significarle che le vuole donare cose belle: la felicità e tutto se stesso. Ma non è vero: l’innamorato non vuole dare niente, quello che vuole è in realtà ricevere. Vuole ricevere amore, fedeltà, passione, sesso... vuole ricevere le attenzioni dell’altro, il respiro dell’altro fino a possederlo in esclusiva.
Se non riceve tutte in continuazione queste cose, o se crede di non riceverle, quello che l’innamorato effettivamente da è rabbia, litigi, frustrazione, lacrime, gelosia...
Questo non è amore. È passione, è desiderio, è una tempesta ormonale: è ghermire, accoppiarsi, inseminare, riprodursi ma non è amare.

Amore è quello che prova il genitore per il figlio. Non è un contratto, non è negoziato, non è uno scambio. Il genitore ama il figlio completamente, totalmente, con tutta la propria vita, che per lui darebbe, e solo perché esiste ed è suo figlio. Qualsiasi cosa un figlio possa fare o dire, in qualsiasi modo possa ferire o rinnegare, un genitore non può fare a meno di amarlo. Questo è dare amore.
Una madre che da la vita per il figlio è un atto di amore, un fidanzato che accoltella la fidanzata perché lei non lo vuole più non lo è.
Purtroppo non nasciamo con l'amore dentro, già pronto, ma abbiamo la necessità che qualcuno ce lo insegni. Chi non ha mai ricevuto amore non ha imparato a darne. I bambini che hanno sofferto durante l'infanzia di mancanza di amore (o peggio) sono a rischio di far soffrire a loro volta i loro figli, in una spirale maledetta (che per fortuna talvolta prevede una redenzione). I figli di coppie separate hanno più difficoltà a realizzare un matrimonio stabile che i figli di coppie felici e fedeli.

La passione passa. L’amore no.
Non voglio dire che l’uomo e la donna non si possano amare, anzi. Innanzi tutto anche la passione è un sentimento straordinario, specie se gestito da un minimo di intelligenza. Anche sentimenti instabili e rischiosi come la passione e il desiderio possono trasformarsi (non senza lavorarci su) in qualche cosa di più solido che si può definire “amore”.
Ho visto vedovi e vedove inconsolabili. Però di solito si consolano.
Ho visto cuori spezzati cristallizzati nel rimpiangere il primo amore, il Grande Amore, fino a quando magari nella vita non lo reincontrano e si sentono un po’ delusi, da quello che alla fine è solo un essere umano.
Ho visto innamorati amarsi senza limiti. E poi odiarsi senza limiti (divorziando).

L’innamoramento è una esperienza magica, il matrimonio può essere una cosa bellissima, l’amore per il prossimo è un sentimento che ci realizza, l’amore per Dio è un sentimento superiore. È bello nutrire amore per la montagna, per la musica, per la moto, per il teatro, per il cinema... ma non possiamo chiamare tutte queste cose con lo stesso nome; usiamo qualche termine più appropriato o inventiamoci qualche neologismo:
“affetto, bene, attaccamento, amicizia, tenerezza, calore, dolcezza, attenzione, cura, presenza, vicinanza, attrazione, desiderio, passione, innamoramento, predilezione, aspirazione, interesse, devozione, ardore, trasporto, adorazione, brama, carità, generosità, solidarietà, benevolenza...”

(pubblicato per la prima volta il 25 dicembre 2006)

giovedì 27 gennaio 2011

mi piace non mi piace

mi piace: semplicità, poesia quotidiana, natura, bellezza, musica, famiglia, generosità, etica, intelligenza
non mi piace: disonestà, malafede, menzogne, avidità, infedeltà (seriale), villaggi turistici, full inclusive, discoteche, cocainomani, sepolcri imbiancati, furbi

mi piace: le persone
non mi piace: la folla

mi piace: chi è allegro
non mi piace: chi si sente in dovere di essere spiritoso sempre

mi piace: chi non è imbarazzato dal silenzio
non mi piace: chi non è capace di stare in silenzio

mi piace: chi parla con il cuore , chi ragiona con il cuore
non mi piace: chi si nasconde dietro una maschera da così tanto tempo da aver perso le tracce di sé stesso, chi ragiona con lo stomaco

mi piace: le persone di talento
non mi piace: i leccaculo

mi piace: gli affabulatori
non mi piace: le barzellette

mi piace: bere bene
non mi piace: chi ordina champagne ma non lo distingue dall'ortrugo

mi piace: Stanley Kubrick, Woody Allen, Hayao Miyazaki, il cinema europeo (francese, inglese, spagnolo)
non mi piace: la TV, Steven Spielberg, Hollywood

mi piace: girare il mondo in moto, spostarmi a piedi
non mi piace: la velocità, il casello a casello

mi piace: le strade americane, le strade provinciali, i passi alpini
non mi piace: tangenziali, autostrade, guardrail

mi piace: la montagna, il silenzio, il profumo delle mucche al pascolo
non mi piace: il cemento degli impianti da sci, le tangenziali che ti portano in fretta in villeggiatura

mi piace: il mare fuori stagione, le spiagge nascoste, il mercato del pesce
non mi piace: i porti turistici

mi piace: la letteratura romantica mitteleuropea, George Simenon, Piero Chiara
non mi piace: i libri prefabbricati americani

mi piace: Beatles e Rolling Stones
non mi piace: U2

mi piace: radio libere
non mi piace: radio private

mi piace: i concerti nei club
non mi piace: il karaoke, gli stadi

mi piace: il profumo delle motociclette, il profumo della miscela
non mi piace: la puzza del diesel

mi piace: le moto bicilindriche
non mi piace: le moto giapponesi (di oggi)

mi piace: una cena intima
non mi piace: le tavolate

mi piace: un sorriso, un bacio improvviso, un abbraccio che mia figlia non riesce a trattenere
non mi piace: il broncio

mi piace: gli occhi dolci, gli occhi sinceri, le ragazze morbide
non mi piace: le vamp, le donne aggressive

mi piace: i baci lunghi, le mani nei capelli, i week-end giapponesi (quando non ti alzi dal letto per tre giorni), il cunnilingus
non mi piace: i massaggi a pagamento

mi piace: le cameriere
non mi piace: le ministre ballerine

mi piace: il peso della trapunta d'inverno
non mi piace: dormire solo

mi piace: l’eleganza del corpo
non mi piace: i gioielli

mi piace: il corpo nudo
non mi piace: lingerie

mi piace: invecchiare con la donna che amo
non mi piace: invecchiare

mi piace: i tatuaggi colorati
non mi piace: i tatuaggi tribali

mi piace: petanque, pastis
non mi piace: golf

mi piacerebbe: la pipa
non mi piace: il sigaro

mi piace: Apple
non mi piace: Apple

mi piacerebbe: lavorare scrivendo
non mi piace: lavorare sopportando la gente

martedì 18 gennaio 2011

tomorrow never knows


Dove soffierà il vento domani nessuno lo sa
dove andrà il tuo dolce sorriso domani nessuno lo sa...
(bruce springsteen)

Il tempo corre rapido, e le cose cambiano. Non dovremmo affezionarci troppo alle cose, per adattarci meglio al nuovo che avanza. Dovremmo vivere senza memoria, come gli esseri viventi più elementari, oppure crogiolarci nei ricordi che custodiamo gelosamente nello scrigno del nostro cuore? Oppure dovremmo essere un po’ cinici, come quelli che dicono che il bello è nel cambiamento, o peggio come quelli che alla felicità neanche ci puntano?
Ci sono stati momenti nella mia vita in cui ho avuto un’epifania, un istante di lucida consapevolezza della precarietà del presente; in cui ho pensato: “il presente non esiste, è un’illusione…”. Forse accade nei momenti in cui per un attimo le cose sembrano essere perfette, ma forse nemmeno.
Mi affacciavo ai trent’anni, stavo passeggiando con l’amato Reif, il mio cane lupo, in una tiepida serata di primavera. Mentre mi sembra di essere felice un lampo di consapevolezza mi attraversa la mente: “sono giovane, Reif è vivo, i miei genitori sono vivi, amo la mia fidanzata. Arriverà necessariamente il momento in cui tutto questo non sarà più vero”.
Dissolvenza al bianco. Nuova scena. Lungo Ticino, darsena del Naviglio Grande. Sono abbracciato alla donna che amo (non è la stessa di prima), guardiamo assieme il cielo che si fa rosso. È una scena bucolica: c’è un pescatore, una barchetta, i rumori della città sono lontani, attutiti. Mi appare in sottotitolo la scritta: “quanti tramonti vedrò ancora abbracciato? Cento, dieci, uno?” Se ci pensi, alla fine quante volte ti è successo in passato? Dissolvenza. Sto passeggiando in un centro città affollato ed addobbato per le feste natalizie, in mezzo ad una folla in cerca di regali; sto preparandomi per il Natale in famiglia. Improvvisamente mi domando: “e se il Natale in famiglia dovesse finire? Se mi ritrovassi da solo a viverlo in un appartamento vuoto? O in un appartamento nuovo, un'altra casa?” (evidentemente il subcosciente stava cercando di farmi interpretare segnali evidenti che preferivo ignorare).

C’è un posto dove finiscono le cose perdute?

PS: (ri)leggi anche: l'isola che non c'è...