domenica 27 dicembre 2009

Santo Stefano


Il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, è terra di nessuno.
Ricordo più di un 26 dicembre di tanti anni fa, da solo in Guardia Medica in campagna per 21 ore consecutive. C'era la neve (un paesaggio di commovente bellezza, e più era bello più ti commuovevi a guardarlo da solo) e tutto il Natale era definitivamente finito. I negozi chiusi, i bar chiusi, i ristoranti chiusi. Rischiavi seriamente di restare a digiuno. Gli unici contatti con il genere umano: telefonate di persone che stavano male. Magari perché avevano fatto indigestione. (Triste).

Ricordo invece di una Guardia Medica nella notte di San Valentino. Da solo in pizzeria, fui invitato ad una tavolata di ragazze in festa. Che poi si rivelarono essere infermiere. Quella fu una guardia più divertente della media.

NB: la foto è autentica. Riuscite ad intravvedere il riflesso della targhetta da "medico in visita" sul parabrezza? Provate per un attimo a pensare ai medici di guardia come persone...

giovedì 24 dicembre 2009

snow


“Quella mattina lo svegliò il silenzio… aperse la finestra: la città non c’era più, era stata sostituita da un foglio bianco”. “Andò a lavorare a piedi; i tram erano fermi per la neve. Per strada, aprendosi lui stesso la sua pista, si sentì libero come non s’era mai sentito. Nelle vie cittadine ogni differenza tra marciapiedi e carreggiata era scomparsa, veicoli non ne potevano passare, e Marcovaldo, anche se affondava fino a mezza gamba ad ogni passo e si sentiva infiltrare la neve nelle calze, era diventato padrone di camminare in mezzo alla strada, di calpestare le aiuole, d’attraversare fuori delle linee prescritte, di avanzare a zig-zag. La città nascosta sotto quel mantello chissà se era sempre la stessa o se nella notte l’avevano cambiata con un’altra? Chissà se sotto quei monticelli bianchi c’erano ancora le pompe della benzina, le edicole, le fermate dei tram o se non c’erano che sacchi e sacchi di neve?” (da Marcovaldo, di Italo Calvino)

Venerdì è stata una bellissima nevicata. Una vera, grande nevicata è quanto di più efficace per riavvicinare l'uomo al suo vero io, almeno altrettanto quanto riesce a mettere in crisi la sghemba società industriale in cui ci siamo imprigionati.
Caso ha voluto che proprio la stessa sera in cui ha preso a nevicare anziché andare a dormire con le galline io avessi programmato di uscire con una rappresentanza degli amici che avevo da scapolo; il che mi ha permesso di assistere allo spettacolo incantato del paesaggio notturno imbiancato dalla neve mentre i fiocchi illuminati dalla luce dei lampioni cadevano larghi e fitti. Roba da voler camminare nella neve fino a rimanere intirizziti…
La mattina dopo in città bambini vestiti alla meglio da piccoli sciatori con l’abbigliamento dell’inverno precedente, accompagnati soprattutto dai papà - a casa dal lavoro perché era sabato - sciamavano sulla coltre bianca verso una discesa dietro il Pubblico Passeggio, improvvisata e gratuita pista dove slittini di ogni forma e colore, dalla padella al bob olimpionico, disegnavano le tracce delle discese.
I papà si presentavano e chiacchieravano, i bambini si sfidavano, qualcuno rotolava, faceva a pallate o provava ad organizzare un uomo di neve.
Niente televisione, niente videogames, niente abbonamenti per impianti di risalita, niente centri commerciali, niente marketing. Nessuno vendeva e nessuno comprava. Solo un po' di neve, sole, freddo, discese, capitomboli, sorrisi e piccole grida.
Più tardi, a chi tiene accesa la tv, i tg avrebbero raccontato con voce affranta di un’emergenza gelo, un’emergenza neve, un’emergenza ferrovie (dimenticandosi comunque dell’emergenza mal governo). A me invece la neve piace ancora.

sabato 19 dicembre 2009

uno e Trino


Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
Di tutti i Libri sui Misteri della Creazione il più esauriente e convincente che ho trovato a tutt'oggi è Trino di un giovane Carlo Giulio Altan, 270 tavole di cui avevo una lontana memoria su Linus e che ho ritrovato oggi, forse non a caso, alla vigilia del Santo Natale, ristampato da Gallucci Editore .
Trino, Dio unico e tre (anche se questo fatto tende a confonderlo un po') ha la barba candida, un triangolo sulla testa e un orologio al polso. Ha carta bianca per creare il Mondo e la Vita che poi dovrà amministrare. Quello che finalmente scopriamo è che la Creazione gli è stata commissionata e che ha sei giorni per portarla a termine. Il settimo giorno si riposerà (era stato tentato in un primo momento a fermarsi di giovedì, ma poi ha pensato che non voleva lavorare la domenica).

Non avendo direttive specifiche all'inizio Trino è un po' confuso, senza piano e strategia, e si concentra soprattutto sui pesci. Si intoppa un po' sul granchio, che viene brutto ma insomma, meglio non gli viene, prenderlo così o non se ne fa nulla. Poi diventa sempre più esperto e arrivano la pecora, l'oca, il leopardo, il tacchino, tutte creazioni sempre più efficienti e pratiche (servono a dare la lana, il paté, la pelliccia e l'ultimo va a ruba a Natale, anche se per il resto dell'anno resta fermo in magazzino). Anche se la sua ambizione sarebbe di creare qualcosa a sua immagine e somiglianza…

sabato 12 dicembre 2009

in concerto


Stento a togliere Soft Machine Fourth dallo stereo dell'auto mentre imbocco l'autostrada A21 per raggiungere l'appuntamento con il concerto di Peter Hamill di questa sera. Elton Dean, Hugh Hopper, Mike Ratledge e Robert Wyatt ci stanno dando dentro ed è un peccato interromperli. Ma devo ripassare: non mi sento abbastanza preparato e mi sono registrato un CD con i pezzi che Peter Hammill ha suonato un paio di sera fa a Roma secondo la scaletta gentilmente inviatami dall'ottimo Simone Cavatorta.
Mi sento un po' stanco: ieri sera ho assistito al concerto di un buon gruppo amatoriale di Lodi, che si è esibito in un locale credo dell'Alabama con chili obbligatorio (nel senso che per vederli bisognava mangiare…), e alla mia età i tempi di recupero cominciano ad essere lunghetti. Per fortuna non ho bevuto molto a causa della inquietante presenza di un paio di carabinieri di ronda che si annoiavano facendo avanti ed indietro lungo una deserta statale padana, e non avrei voluto far loro da diversivo. Si sa che in questo folle mondo fuori controllo bere due bicchieri è ormai omologato allo stupro. La band era quella dei Big Sur, bravi a eseguire cover di una lontana west coast anche se con un repertorio poco coraggioso (con un chitarrista solista così dovrebbero suonare i Grateful Dead non gli Eagles). E poi ieri sera erano orfani della cantante Elisa, il che rendeva lo show un po' come ascoltare i Big Brothers senza Janis Joplin…
Questa sera sono diretto a Seriate, nome che mi incute un po' di timore. L'atavico timore di essere assalito dagli Unni all'autogrill. Ed in effetti a quest'ora della sera la periferia moderna attorno al teatro Gavazzeni ha affinità con quella in viveva l'Alex di Arancia Meccanica.
Ma nel teatro è un'altra musica. Arrivo con molto anticipo perché non ho il biglietto (come se si fosse mai sentito un sold out di Peter Hammill). Il pubblico è per la gran parte composto di pacifici ragazzi degli anni sessanta (e cinquanta). Ce n'è uno in tenuta da bancario, non avrà avuto il tempo di passare a casa a cambiarsi. Due cinquantenni eleganti si sono ritrovati qui per una botta di vita: uno ha visto altre volte Hammill in concerto, il suo amico ha invece un vago ricordo dei vinili dei Van Der Graaf. Qualcuno è l'attuale evoluzione di un liceale in eskimo degli anni settanta, con i capelli brizzolati ancora più sul lungo che corto. Bellissime le loro compagne, ancora le stesse dell'epoca, con i capelli argentati e la borsa indiana. Mi sento a mio agio. C'è anche qualche rocker un po' più giovane con maglietta con le scritte e capelli raccolti in coda di cavallo. Qualcuno ha portato la fidanzata giovane e la rassicura: "ma che musica fa?" "vedrai, ti piacerà". Di fianco a me qualche cosa di affine ad una giornalista è molto profumata, ma non è patchouli. Errore. Qualcuno si è dato appuntamento da mezza Italia e si abbraccia commosso. Io sono solo perché il mio socio Camillo mi ha dato buca all'ultima momento. Ma lui non ha dischi di Peter Hammill in casa.
Si intuisce che dietro alle apparenze siamo tutti emozionati. Sappiamo che stiamo per assistere ad un rito, non fosse che per l'importanza che ha avuto la voce di Peter Hammill nella nostra vita. E non sono pochi ad essere convinti che PH sia uno dei geni della musica del nostro secolo.
Negli ultimi minuti non si parla più, siamo tutti seduti in silenzio sulle nostre poltroncine di velluto rosso ad aspettare che lo sciamano arrivi. Sul palco una luce bianca illumina un pianoforte a coda, una chitarra acustica ed un leggio.
Quando entra, all'improvviso, ha davvero qualche cosa di non terreno, Peter, sottile, leggero, in abito di lino azzurro, con un sorriso gentile ed una chioma candida. Ma il concerto lo racconto altrove.

martedì 8 dicembre 2009

Ikea istruzioni per l'uso


Una esperienza personale.

step 1: viaggio in A1 sotto la pioggia. Fra camion che si sorpassano e BMW con dispensa di superare i 180 km/h, che Super Mario Kart al confronto è roba da pensionati.

step 2: parcheggio. Imprecazioni blasfeme.

step 3: identificazione del nome del mobile da assemblare.

step 4: ricerca nel magazzino dell’imballaggio che porti il suddetto nome. Il comodo display touch screen segnala il punto preciso dove trovare il pezzo. Nel mio caso il responso è: "chiedere al personale".

Sullo scaffale è appiccicato un avviso: "Attenzione, pezzo pesante. Non esitare a chiedere aiuto al personale".
Detto e fatto: "Scusi, devo caricare questo pezzo"
Risposta: "Faccia pure"

step 5: comoda cassa rapida self service. Responso: "attendere l'assistenza dell’addetto (idiota!)"

step 6: cercare di caricare da solo un pezzo lunghezza TIR su una berlina di classe B. Il simpatico carrello si rifiuta di collaborare allontanandosi sulle sue rotelle. Non c'è modo di bloccarlo neanche con le minacce. La zeppa in legno non è prevista dal catalogo Ikea.

step 7: Super Mario Kart II il ritorno.

step 8: scaricare. Come il punto 5, ma non c'è più il simpatico carrello su cui caricare il pesantissimo imballaggio.

step 9: aprirsi una birra dopo aver consegnato il tutto a domicilio? Macché. Il bello arriva adesso: il montaggio.

step 10: ora del film in prima visione su Sky. Interrompere l'inconsapevole vicino di casa (già in pantofole in procinto di gustarsi la suddetta birra) per chiedere il suo aiuto.

step 11. Notte inoltrata. Rimirare la propria creazione con lo stesso orgoglio con cui Michelangelo ha osservato il David dopo l’ultimo colpo di scalpello.

step 12: i feltrini! Ricordarsi dei feltrini subito dopo aver messo in posizione la scultura, pardon, il mobile. Che pesa come la scultura.
Sono soddisfazioni. Quella atavica scarica di testosterone del maschio che provvede a costruire con le proprie mani la casa della propria famiglia. Probabilmente la stessa che prova anche il passero appena terminato il nido.

step 13: ll giorno dopo. Colpo della strega. Applicare cerotto anti-infiammatorio.


martedì 1 dicembre 2009

fumetti


A sei anni, in occasione della promozione della prima elementare, ebbi in regalo l'abbonamento a Topolino. Sto parlando del Topolino degli anni sessanta, secondo solo a quello dei decenni precedenti. Fu un regalo azzeccatissimo: ho il ricordo di un me piccolo (e bello) seduto su un gradino a leggere queste incredibili storie mentre gli altri bambini perdevano tempo a cercare di colpire con un pallone la porta di un garage.
Amavo le indagini di Topolino, soprattutto quelle un po' dark in cui assieme al suo tonto partner Pippo e al posto dell'inefficiente commissario Basettoni dava la caccia al genio criminale un po' paranormale di Macchia Nera. Oppure le incredibili traversie di un Paperino inviato dal taccagno zio ai quattro angoli del mondo, dal Tibet alle Isole del Capo Verde, e da cui ne ritornava solo grazie alla collaborazione di Qui Quo Qua. Ma i miei personaggi preferiti erano, già allora, gli outsider: lo stonato Paperoga che nel backstage si faceva le canne prima di andare in scena; Nonna Papera e Ciccio che, come scrisse un altro nato nel 57, Claudio Bisio, nel suo trattato Quella Vacca di Nonna Papera, era certamente affetto da cretinismo delle valli; Dinamite Bla, precursore di Un Tranquillo Week-end di Paura; e un incontenibile Sherlock Bondes, (Paper Bond, ndr), un'oca sicuramente interpretata da Peter Sellers, che non si ricorda più nessuno, ma proprio nessuno. Non è che me la sono immaginata dopo aver letto una storia di Paperoga?
Amelia la strega che ammalia, che viveva proprio sul Vesuvio; Maga Magò, Brigitta, Filo Sganga; Paperetta Yè Yè ovvero il 68 che arriva anche a Topolinia; Gastone... Gastone no, non lo potevo soffrire.
A Topolino si affiancò presto nelle mie letture Il Corriere dei Piccoli, una testata storica dei fumetti nata come foglio del Corriere della Sera per i piccoli lettori, ma alla fine degli anni sessanta ancora più storica, perché pubblicava le firme più prestigiose dei fumetti belgi e francesi, vale a dire la migliore scuola di fumetti di tutti i tempi: Lucky Luke, i Puffi (che erano altra cosa dai Puffi della TV, anche dal punto di vista linguistico), Gaston Lagaffe (cosa darei per leggere oggi una storia di Gaston!), Ric Roland, Luc Orient e i suoi incredibili alieni, Michel Vaillant e le straordinarie storie di automobili da corsa (indimenticabile la fiction della 24 ore di Le Mans), Dan Cooper, Bruno Brazil... e naturalmente gli italiani come Hugo Pratt (Corto Maltese), Jacovitti (Cocco Bill e Zorry Kid), Valentina Mela Verde, il cui fratello aveva un Moto Guzzi Dingo Cross come avrei avuto io.

(Fra i fumetti minori, che si compravano d'estate in buste economiche, qualcuno si ricorda di Nonna Abelarda, Tiramolla e Geppo il povero diavolo?)

Il fumetto del "periodo di mezzo", cioè all'epoca della scuola media, fu Alan Ford. C'erano anche i supereroi Marvel: i fantastici quattro, l'uomo ragno e daredevil, ma non mi dicevano molto. Nulla di più di Superman e Batman, che avevo sempre letto solo di sfuggita, magari dal barbiere. Alan Ford non fu un successo istantaneo, dei primi numeri si seppe solo con la forza del passa-parola, fino a diventare alla fine un fenomeno di costume.
Alan Ford era qualche cosa di radicalmente nuovo. Oggi può sembrare ingenuo, ma allora l'atteggiamento politicamente non corretto della rivista, che dipingeva persone straccione e profondamente disoneste (un'immagine fedele dell'Italia), l'umorismo leggero e non calcato, e l'avventura di squadra (del gruppo TNT) erano qualche cosa di non visto prima. E poi chi non si ricorda di Superciuck?

Avvicinandomi ai 14 anni la mia epoca dei fumetti stava per concludersi, anche se mi aspettava ancora un passo importante nella formazione dell'ometto che sarei diventato. Una rivista a fumetti tutta diversa da quelle che avevo letto sino ad allora, qualche cosa che non solo non ti vergognavi di acquistare ma anzi esibivi come dimostrazione di appartenenza ad un certo gruppo culturale. Sto parlando di Linus, la straordinaria rivista diretta da OdB che era antologia di tutto un underground americano a noi inedito, come l'incredibile Lil' Abner o il caustico Doonesbury, e di fumetti "adulti" europei come quelli di Andrea Pazienza ma soprattutto Valentina di Guido Crepax.
Valentina aggiungeva alle pagine dei fumetti un ingrediente a me del tutto nuovo: l'erotismo, che fino ad allora avevo vissuto solo inconsapevolemte (ma con emozione) nelle pubblicità Polistil di Paola Pitagora in hot-pants (con le lunghe gambe avvolte in calze di lana colorata) sulla quarta di copertina di Topolino.
Valentina ed il suo erotismo ci facevano sentire vergini di fronte ad un mondo ricco di promesse che si apriva davanti a noi. Di Valentina siamo stati un po' tutti fidanzati e non credo che nessun autore abbia mai saputo disegnare l'eros in modo altrettanto efficace. Da Valentina ai primi numeri di Playboy il passo fu breve, ma sufficiente ad archiviare il periodo dei fumetti nella mia vita.
Peccato davvero non averli conservati. Perché in mezzo a tanta spazzatura non ristampano quei ricordi come strenna natalizia?