domenica 6 febbraio 2022

Mare

 

Mi avessero detto, quando frequentavo il Liceo, che sarei vissuto e morto in Pianura Padana, mi sarei fatto una risata. Io, io di Los Angeles, io di New York, io di Londra, vivere e morire fra la nebbia fitta e l’afa stagnante della provincia, proprio non avrei dato retta. Non mi conoscete. 

Opportunità di fuggire ne ho avute, ma sono restato qui senza neanche rendermene conto, come il Pozzetto di io sono fotogenico. 

Sui banchi del Liceo fantasticavo di fare il regista a Roma

Volevo iscrivermi al DAMS a Bologna, probabilmente feci bene a lasciar perdere, ma Bologna mi è rimasta nel cuore. Città dalla faccia amica, easy, bella, rotonda, accogliente. E neanche lontana dalla Romagna della piadina e del fritto misto. 

Ho vissuto più di un decennio a Parma, dove sono diventato medico. Certo, anche Parma è in Pianura Padana, ma è una piccola graziosa capitale, la Capitale del Ducato, dove ancora ci si tramanda il ricordo del buon governo di Maria Luisa. Parma è una piccola Parigi: avrei perlomeno potuto continuare a vivere lungo le sponde della sua piccola Senna. 

A Milano vissi l’anno forse più bello della mia vita, complice l’eta. L’anno della grande nevicata, il primo amore, il primo stipendio, la golf bianca diesel. Ufficiale medico; certo, a rinnovare la ferma, magari poi mi trasferivano a Codroipo... 

Ho avuto la moglie americana, del Midwest. L’America è bella, ma non hanno bisogno di un altro provinciale; ne hanno abbastanza per conto loro. 

Cosa stavo pensando quando mi sono iscritto alle liste della medicina generale a Piacenza? Non avrei potuto fare il Medico di Famiglia in Versilia? Il mare ti cambia la qualità della vita. Sole, profumo, cappuccio e bombolone, schiacciatine, vongole e branzino. 

A Piacenza abbiamo le Valli, è vero: l’Appennino ligure, e il tosco-emiliano non lontano. Ma, diciamocelo, per quanto bello l’Appennino non è le Alpi. 

Le mie Alpi sono, per imprinting, la Val Susa e le relative Alpi francesi. Sarei diventato un maestro di sci e un ortopedico. Ma otto mesi d’inverno all’anno, oggi non li sopporterei. Forse scendendo un po’ più a valle, a Torino, incastonata fra le Alpi, che d’inverno luccicano al sole come una corona. 

Torino l’ho sempre portata nel cuore, fin da quando da bambino ci arrivavo in treno. E ancora oggi, che passeggio lungo il Po del Valentino, pranzo in un ristorante al quadrilatero romano e cerco Mastroianni con la Jacqueline Bisset al Gran Balon. 

Vivere, ormai è andata così. Ma il mio autunno, quello lo voglio spendere al mare, senza neanche un cappotto. 



venerdì 14 gennaio 2022

Figurine #2

 


Nel 1964 frequentavo la prima elementare. Un pomeriggio ero a casa, a letto con la febbre, e un compagno di classe venne a trovarmi, in visita di cortesia. 

Evidentemente allora non era tenuto in così gran conto il concetto di malattia infettiva; i bambini venivano portati persino in ospedale in visita ai parenti ammalati. 

L’amico non solo venne, ma non era neppure a mani vuote. Aveva un album delle figurine dei calciatori, di cui non avevo ancora mai sentito parlare (delle figurine. Dei calciatori non so) e un mazzo di figurine “doppie”, che mi regalava. In realtà ne aveva addirittura due, uno destinato a mio fratello, più piccolo di un anno. 

Non ricordo chi fosse quel compagno, ma fu un bel gesto. Ricordo il profumo della colla, la lattina di Coccoina con la piccola scansia per il pennello. Ricordo me e mio fratello intenti a uno dei momenti più divertenti della nostra vita, quello di trovare lo spazio giusto nella squadra giusta ad ognuno di quei mitici calciatori degli anni sessanta. 


Quell’anno al campionato di calcio arrivò al primo posto la squadra dell’Inter, che vinse il campionato per quattro anni di seguito, oltre a vincere in quel 1964 anche la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale. Inevitabile che fra i ragazzi del 1957 la gran parte decidesse di tifare l’ Inter. Mio fratello scelse invece la Juventus, perché era la squadra di mio padre (che era presidente di una squadra amatoriale di terza categoria). A conti fatti avrà avuto più soddisfazioni calcistiche lui.

Non mi appassionai mai al calcio. Naturalmente a scuola partecipavo alle trattative “celò, celò, manca!” con i compagni, ma di calcio vero, niente. Se si giocava in cortile con la palla, c’era sempre qualche befana pronta ad affacciarsi al balcone per farci smettere. 

Penso di aver visto solo due partite allo stadio, entrambe noiose. Un Inter-Juve a San Siro, zero a zero, neanche un gol, ed una umiliante Piacenza-Vicenza, dove la squadra della mia città subì una quantità di gol ad opera di Paolo Rossi. Gol che io nemmeno vidi perché passeggiavo annoiato fra gli spalti. Alla TV ricordo Italia-Messico in bianco e nero; era estate, ero al mare a Forte dei Marmi, pomeriggio e bandiera tricolore cucita dalla sarta, soffrimmo e perdemmo. Ma anche un’Italia-Germania 4 a 3, la partita del secolo, avevo 12 anni. 

Mano a mano che dall’Inter sparivano gli eroi delle mie figurine (Sarti, Burgnich, Facchetti, Mazzola, Suarez, Boninsegna...) persi ogni residuo interesse anche per la squadra. Al massimo si compilava la schedina a due colonne il sabato. 


Al Liceo, per qualche curiosa coincidenza, in classe erano tutti come me: a nessuno fregava un fico secco del calcio, anzi, proprio dello sport. Niente Giochi della Gioventù, niente discussioni sulle partite. Ascoltavamo invece Pop Off e Alto Gradimento alla radio, e organizzammo una gita in treno per vederci, mezza classe, Ultimo Tango a Parigi al cinema (e una delegazione più ristretta, la settimana dopo rifece il tragitto per Quel Gran Pezzo dell’Ubalda). Erano tempi in cui ci interessavano più Carmelo Bene ed Edvige Fenech della Nazionale di calcio. 

Una volta ci misero con le spalle al muro, costringendoci a presentare una squadra per una partita del campionato scolastico. Noi della III E dello Scientifico contro una classe dell’Itis. Loro avevano la maglia regolamentare, credo blu, noi non ricordo, forse sì (il nostro colore era il granata, come il grande Torino) ma più probabilmente no. 

Scegliemmo di malavoglia il ruolo, io presi il portiere, perché non avevo voglia di correre. Lasciai entrare in rete 13 pallonate - riuscivo a scansarmi appena per tempo da quelle cannonate (di cuoio) a tutta forza. Qualcuno salvò l’onore con il gol della bandiera, ma non ricordo chi fu. Onore a te. Uscimmo così subito e senza rimpianti da quel torneo, per non presentarci mai più su un campo di calcio. 


Sono appassionato di due ruote, e anche d’automobili di quegli anni, ma non mi è mai passato per la mente di subirmi la telecronaca di un moto GP. Ho goduto invece più di una volta della proiezione del film Le Mans con Steve McQueen. 

Dello sport mi piace il lato romantico, non quello competitivo. Gianni Brera e le sue epiche narrazione di mitici giocatori, e di Giri d’Italia in rosa. La Mille Miglia, Enzo Ferrari, la 24 ore di Le Mans, le storie dei giorni di gloria delle grandi squadre, il fascino delle divise di una volta: quella granata, la nerazzurra, Genoa, Samp, Fiorentina, Palermo, Spal, Lanerossi... Insomma, la storia. 


mercoledì 17 marzo 2021

Aspettando la Primavera

 


Quando mia figlia andava all’asilo, l’asilo era proprio di fronte a casa nostra. Ci eravamo inventati un gioco: ci raccontavamo quanto sarebbe stata lunga la strada per arrivarci, e che cosa avremmo incontrato sul nostro cammino. Ponti, valli, monti. Le sette colline fatate, le sette cascate. Fiumi, laghi, mari. Avremmo certamente dovuto procurarci una barca. Ogni mattina, uscendo, ci raccontavamo cosa avremmo dovuto superare per arrivare. Era un gioco divertente, ma molto breve, perché l’asilo compariva subito davanti ai nostri nasi. 

In Marzo avevamo fatto un’aggiunta. Uscendo di casa, ci chiedevamo se la Primavera fosse arrivata. 

Uscivamo, annusavamo l’aria speranzosi, ma no, ogni mattina l’aria era quella fredda e asettica dell’inverno. 

Ogni mattina uscivamo:

«Sarà arrivata la Primavera?»

«Annusiamo!»

«No, ancora non c’è. Si sarà attardata per strada. Magari, addirittura, si sarà persa!»


Fino a che, una mattina, annusando, ci sorprendemmo: l’aria era tiepida e profumata, sapeva di fiori, di sole e di felicità. 

La Primavera alla fine era arrivata. All’improvviso. 

sabato 25 maggio 2019

ho visto cose...


Ciascuno di noi si sente in qualche modo legato ad un proprio nucleo familiare. Alle madre, ovviamente, ed al padre, al ricordo dei nonni, dello zio Mario. La nostra famiglia. I più vanitosi si spingono a ricercarne le origini indietro di generazioni, per ostentare lombi nobili ed esibire origini centenarie.
Ho una notizia per voi.
La vostra famiglia, che è la nostra famiglia, ha 4.000.000.000 di anni. I nostri avi, i tuoi avi, tanto sono antichi. La cosa bella è che noi ne abbiamo memoria, la memoria genetica. Il che sta a significare in qualche modo che quegli avi siamo, o siamo stati, noi stessi.  Highlander di quattro miliardi di anni.
Contadini romani, o forse legionari, o magari patrizi: noi lo siamo stati. Ma ancora prima, eravamo pastori etruschi. E prima di quello, si viveva in Asia o in Africa.
Quando ti senti sopraffare dalla vista della maestosità del Sahara, beh, non è la prima volta che tu lo vedi.
Molto a lungo abbiamo vagato nella palude della preistoria. Ogni volta che una giornata assolata di primavera ci inebria con il suo profumo, o un temporale ci intimorisce e ci suggerisce di restare a casa a poltrire sul divano, noi ricordiamo i ricordi di quella lontana vita vissuta.
Siamo stati Sapiens, ma prima ancora Erectus, e - già ce lo hanno detto - anche una scimmia su un ramo. Abbiamo vivi dentro di noi i ricordi di quella scimmia, quando al mattino al bar non sappiamo resistere ad una dolce brioche o quando sobbalziamo perché ci pare di aver scorto un serpente.
Ma siamo stati ben altro prima di quella scimmia, e lo ricordiamo bene. Un piccolo mammifero atterrito che cerca di farsi invisibile fra le radici, tentando di non farsi annusare da un raptor. Noi abbiamo visto il mondo attraverso i suoi occhi: Jurassic Park non ci ha mostrato nulla che non avessimo già visto.
Persino quel serpente che ci ha atterrito: ebbene sì, tu stesso sei stato un rettile, e ne porti la memoria. Le tue pupille non erano tonde, e strisciavi pigro e inconsapevole alla ricerca di un raggio di sole per riscaldarti.
Quell’atavico giorno di pioggia in cui uno strano pesce ha compiuto i primi centimetri sulla battigia, eri lì.
E dunque, ancora prima, si nuotava nel vasto oceano, persino prima della deriva dei continenti, ai tempi della Pangea. Non vi riesce di mettere a fuoco un ricordo tanto lontano, ma chissà, forse mentre scendete pochi metri sotto la superficie dell’acqua tiepida illuminata dai raggi del sole, un solletico profondo alla radice della vostra mente rievoca una sensazione antica.
Eri vivo molto prima di possedere una spina dorsale e prima di avere una mente.
Sei stato addirittura un microscopico batterio monocellulare, di quelli che stermini quando chiedi al dottore la ricetta dell’Augmentin. Era il nonno, eri tu.

E quel giorno glorioso di bufera, di tempesta e fulmini che qualche proteina, qualche aminoacido si è raggrumato per prendere vita, quel giorno voi c’eravate. Perché quel giorno voi siete nati. Prima non si esisteva. Da quel giorno, sì.

martedì 23 aprile 2019

il mio gemello


Nei suoi romanzi, lo scrittore Sandrone Dazieri racconta di un investigatore, il Gorilla, che soffre di una singolare forma di personalità multipla: quando si addormenta, si risveglia il suo alter ego, il Socio. I due condividono lo stesso corpo, ma sono due persone differenti, con due diversi caratteri, e destinate a non incontrarsi mai. Quando ancora faceva buoni film, la parte del Gorilla è stata recitata al cinema da Claudio Bisio, ne La Cura del Gorilla
Anche Corrado Guzzanti ha raccontato una storia di personalità multiple nella serie TV Dov’è Mario, il doppio di uno scrittore elegant chic in declino che nel sonno si trasforma in Bizio Capocetti, comico coatto romano volgare e senza scrupoli. 

Nel mio piccolo, anch’io ho un gemello. Un serio professionista, uno stimato medico. L’ “altro” è Blue, cronista rock, motociclista, ribelle romantico. 
A differenza del Gorilla, però, i due gemelli non possono approfittare del sonno l’uno dell’altro ma condividono lo stesso tempo. Così ognuno consuma un po’ della vita dell’altro. 
Il dottore è quello che paga i conti e mantieni entrambi, così tende ad avere un diritto di priorità sul tempo. Blue scrive, viaggia, ascolta musica, ma solo nel tempo libero del medico. 
Gli anni passano, il tramonto è ormai più vicino dell’alba, e Blue scalpita: c’è ancora molto da vedere e molto da scrivere, ma sempre meno tempo per farlo. 

lunedì 3 settembre 2018

la felicità è il cammino


C'è questa parola che mi piace, ed è TAO. So che Tao in cinese significa sentiero e che è un concetto della filosofia buddista ma io non conosco il buddismo perché sono poco attratto dalle religioni, per cui posso solo raccontare cosa la parola Tao significhi per me. Io vedo il Tao come una corrente, oppure come un puzzle da comporre. Quando una persona segue la propria corrente è coerente con il proprio Tao ed è inserita al proprio posto nel puzzle dell'Universo. Seguire il proprio Tao significa realizzarsi e dunque raggiungere la felicità. È come quando ti accarezzano i capelli (o il pelo, se sei un cane).
Molti non seguono il proprio Tao perché non lo conoscono, cioè non si conoscono. Importano modelli dall'esterno, dalla società, dalla TV, da una persona forte che li circonda (il padre che vuole per te il posto in banca, la madre da cui non ti rendi indipendente, un amico da imitare…) e non stanno a guardarsi dentro.
Quando ero adolescente c'era quelli che dicevano: "scopri chi sei". Era una frase che mi faceva incazzare: cosa significava mai chi sono? Io ero io, facevo le cose che andavano fatte, seguivo le mode, mi mettevo le scarpe a punta e gli occhiali rayban e mi lasciavo crescere i capelli, seguivo gli amici, non capivo cosa significasse quel mantra. A guardarmi indietro, quelli del Liceo sono stati gli anni più confusi della mia vita. Anni in cui non sapevo appunto chi fossi, in cui non avevo una identità. Mi muovevo a caso ed ero obbligato a studiare nozioni inutili insegnate da chi nella vita non aveva mai fatto altro che quello.
Ho iniziato a trovare me stesso subito dopo, all'Università, vivendo fuori casa, fuori dalla famiglia, assieme ad altri amici, studiando quello che mi piaceva studiare e scoprendo me stesso attraverso le cose che mi piacciono: scrivere, ascoltare la musica, guardare le cose belle, che siano dipinti, case, paesaggi o belle ragazze. Ho scoperto l'amore, per esempio, e quello sicuramente era coerente con il mio Tao.
Non che trovare il proprio posto nell'Universo diventi cosa facile se solo ti conosci. Per esempio l'amore può tradirti e tu non puoi farci niente. Puoi perdere il lavoro, può morirti una persona cara, insomma, viaggiare lungo il proprio Tao non è una cosa automatica. Un ostacolo che allontana le persone dal proprio sentiero è immaginare la propria realizzazione come un traguardo. Questo è un concetto molto cristiano: subisci una vita di soprusi e di ingiustizie, ma tu più ne prendi più sei contento, senza volerne a chi abusa di te e a chi ti impedisce di essere felice e senza ribellarti alle regole che ti costruiscono attorno una gabbia, perché il premio è nel posto dove sei diretto. Che non è neppure in questa vita: è oltre, il paradiso del puro, dove gli ultimi saranno i primi, il riposo del guerriero. È facile vendere una cosa che non esiste, più difficile è comprarla: non conosco tanta gente che aspetta impaziente il momento di trapassare a "miglior" vita.
No, la felicità non sta nel traguardo né in un'obbiettivo, la felicità è nel sentiero, nel cammino, è lungo ogni passo della strada. La felicità è vivere giorno dopo giorno, non una settimana all'anno nella destinazione di un volo charter.
Non che il sentiero sia tracciato con chiarezza, così come non sempre noi vogliamo assecondare la corrente che ci trascina lungo la via, ma per qualche motivo ci ostiniamo a nuotare controcorrente con infelicità.
Se mi consentite di continuare ad utilizzare per metafora parole che non conosco veramente, il nostro timone per seguire il sentiero è il nostro carattere, il nostro yin ed il nostro yang. Lasciarsi sopraffare dall'una o dall'altra emozione, da tentazioni sbagliate, dall'odio, dal rancore, dall'orgoglio, dal desiderio incontrollato (i nonni ne avevano stilato un elenco: accidia, ira, superbia, avarizia, invidia, lussuria), gira il nostro timone troppo a destra o sinistra e ci porta dove non vorremmo, lungo strade che non sono le nostre. Scrivevo nel racconto "Il Ratto Baratto" (caspita, mi autocito!): Come si può sapere quale parte del corpo ha espresso il desiderio? È molto semplice: se vi capita di avere l’acquolina in bocca, allora è stata lo stomaco. Se vi sentite un prurito sul cuore, allora è stata l’anima… per il futuro non scordatevene, perché è un buon modo di sapere se state facendo la cosa giusta.

A volte credo di essere sulla strada giusta, a volte mi domando se non l'abbia persa. Ora vivo in campagna, l'ho sempre desiderato e ne sono felice. Credo di essermi sempre immaginato vivere in una casa colonica, con una moglie che amo, due bimbi, qualche animale ed una giardinetta (è il modo con cui una volta si chiamavano le station wagon, ai tempi di quelle americane con il legno sulle portiere). In campagna ci abito, di animali ho Jack (che più animale di lui...), la bimba è meravigliosa, amare ho amato e sono stato amato, ma ho sbagliato spesso e ora mi ritrovo solo. Ogni tanto credo di innamorarmi ma invece… "era un calesse". Amo la musica, amo scrivere e credo di avere abbastanza materiale da poter realizzare anche quello, amo muovermi in moto. La solitudine quella non mi appartiene, ma insomma si vede che il mio cammino sta attraversando quella regione. Spero si intrecci presto con un altro sentiero.

Paths that cross… 

AddendumQueste parole, un po' solitarie, le scrivevo nella primavera di 6 anni fa, quando, senza saperlo, ero alla vigilia di un grande cambiamento. Due grandi amori dopo, e dopo tanti avvenimenti, soprattutto felici quando non addirittura straordinari, mi ritrovo da capo. A cercare il mio TAO. Forse quello che non avevo capito è che il cammino si percorre in due, non da soli, e per farlo è necessario prestare ascolto anche alle esigenze ed ai bisogni dell'altro, del compagno.

It takes one for the running
but two for the road

si scappa da soli 
ma la strada si percorre in due

sabato 25 agosto 2018

Empatia


L’empatia è la capacità di sentirci uguali agli altri. Di avvertire che le persone che ci circondano sono esseri umani come noi, che provano emozioni ed hanno bisogni come i nostri. L’empatia è la capacità naturale di metterci nei panni dell’altro.
Esistono (molte) persone che non hanno la capacità di provare empatia più di quanto un daltonico possa distinguere il colore rosso dal verde.
Il contrario dell'empatia è l’egoismo. L'egoista è un'isola in un mare di estranei. L’egoista si sente in credito nei confronti degli altri esseri umani e non è a disagio nel procurare un danno al prossimo, a meno di rischiare di essere scoperto e di doverne pagare il prezzo.
Tutti si è umani, si sbaglia e ci si pente, ma l’egoista si pente di essere stato colto in fallo, non di aver agito “contro”. Se io rubo il portafogli ad un’altra persona, dimostro di non essere capace di empatia, perché il mio gesto non mi provoca il disagio che proverei se il portafogli lo avessero rubato a me.
Se sono infedele al partner, non riesco ad immaginare come mi sentirei se fosse stato lui a tradire me.

L’empatia è la dote più importante da cercare nella persona con cui desideriamo condividere la vita, persino più dell’attrazione, della passione e dell’intesa, perché l’amore vero è empatico.

“L’amore è questa cosa qui, facile facile: rendere felice chi ami” (Diego De Silva)

Sul dichiarare: “Io ti amo”, sulla parola amore, si consuma un equivoco. Perché le persone dicono “ti amo” ma pensano “amami!”. Dicono “ti amo” ma pensano “dammi il tuo amore, la tua attenzione, dammi te stesso”.
Mentre l’amore dovrebbe essere dichiarato attraverso il dare, diviene invece una pretesa di avere.
È dunque facile far credere di amare in un giorno di sole, ma spesso ne rimane a disposizione poco quando piove. L'egoismo è uno dei motivi per cui le coppie (sposate, o anche no) non durano: perché i coniugi amano più sé stessi del compagno. L'egoista fa soffrire.
Far soffrire per amore è una contraddizione. Può pensare di amare chi fa soffrire l’amato? Come si può addirittura arrivare ad uccidere per amore?

Diceva Salomon Burke (un soul man di classe ed anche un pastore di anime): Se non ne sei sicuro, se non te ne senti all’altezza, se non lo senti, non dire “ti amo”. L'altra persona potrebbe crederci. Dì piuttosto “mi piaci”. Dì “ti desidero”. Perché amore è dare, non pretendere. Amore è aggiustare, non distruggere. Amore è restare, non fuggire. Amore è stare dalla stessa parte, non tradire.

L’amore realizza uno stato naturale dell’essere umano: quello di creare una coppia. L’uomo realizza (o realizzava) una coppia per la vita, all’interno della società, per affrontarla in due, nel bene e nel male. L'amore è più stabile, maturo e definitivo dell’innamoramento, che lo precede ed è invece passione e desiderio.
Ad amare si impara, fin dall’infanzia, ed ad amare si insegna. Il partner che non comprende il bisogno dell’altro, la sua necessità di aiuto, che è incapace di perdonare, non è empatico con l’amato ed in realtà non lo ama.
C’è un’altra frase, significativa  e bella, che ho letto su un muro (non ne ho identificato l’autore, ma ho scoperto che è piuttosto nota):

“Siamo persone 
facciamo errori, ce ne scusiamo 
diamo una seconda possibilità
ci abbracciamo
perdoniamo
noi amiamo”

Questa è empatia.

Ci vorrebbe un test, un esame del sangue, in grado di predire se l’altro ci amerà ancora quando ne avremo bisogno. Che ci avvisi se la persona ci amerà al momento di dimostrarcelo.

Anche l’amore può finire. Il dramma della vita è che nulla è per sempre: la giovinezza, i figli, i momenti  felici, i genitori…

“Il tempo prende, il tempo da” (questa è di Guccini).

Perciò l’amore va aiutato, non va dato per scontato; va coltivato con cura come un giardino delicato. Il partner va corteggiato sempre, anche dopo anni. Non dobbiamo mai smettere di essergli riconoscenti e di farglielo sentire (perché nessuno è telepatico). Un matrimonio dove non ci si parla, e non ci si ascolta, è una pianta senza linfa. Un compagno ignorato come se fosse un mobile di casa, un brutto giorno potrebbe non esserci più.

Quanto sono belle le coppie che si amano? E quanto squallore, quanto dolore e quante prospettive di delusione e solitudine si aprono davanti ad una coppia che si separa?



Ma l’innamoramento è un meccanismo imperfetto, ed anche all’amore può capitare di essere sostituito nel nostro cuore da un nuovo amore (non è il caso del traditore seriale, che ogni volta continua ad essere innamorato solo di sé stesso). Del compagno ci si può annoiare e Cupido ci può fuorviare con un coup de foudre ben assestato - ma in questo caso l’errore di valutazione è dietro l’angolo, giusto a pochi passi dal rimpianto. Il tempo che passa può renderci sfuocata la vista e farci confondere l'amore con il batticuore di un’esperienza dal sapore giovanile. Vale la pena di perdere l'amore di una vita per un momento di batticuore? O, invertendo le parti, di perderlo per non saper perdonare un errore?

Ma se anche l’amore può finire, l’empatia no. Non tratterò con disprezzo il compagno che non amo più, e soffrirò per la sua sofferenza. Non lo tratterò con l’impazienza di un oggetto di cui liberarmi in fretta nel cassonetto dei rifiuti ingombranti.
E saper distinguere l’amore che è finito da quello che è scemato per abitudine, può fare la differenza per la nostra felicità futura, perché possiamo lavorare per rinvigorirlo o trasformarlo. La vita è breve e le opportunità sono meno di quelle su cui contiamo.

Come ci cambia la vita incrociare la vita con un compagno (un partner, un socio, un amico…) empatico oppure uno egoista?
Il primo ci accompagnerà, ci sarà d’aiuto, ci renderà felici. Il secondo, prima o poi si manifesterà nemico, come una sposa davanti al giudice nel giorno del divorzio.

martedì 21 agosto 2018

Addio


Otto anni fa entravi nella mia vita, in punta di piedi. Con grazia e leggerezza ti sei presa cura prima del mio lavoro, poi di me. Giorno dopo giorno, sei diventata il mio punto di riferimento e mi hai dato serenità. Poi ci siamo innamorati e l’amore si è trasformato in passione.
In tre anni di intesa profonda sei diventata la donna più importante e l'amore più grande della mia vita. Io e te siamo stati felici ovunque. L’intesa fra di noi era un dono raro. Nelle nostre tante fotografie, i nostri occhi brillano sempre di felicità.
Io ti dicevo: “ti amo” e tu mi rispondevi: “io di più, per sempre”.
Perciò ci siamo scelti come compagni per la vita. Fidanzamento e convivenza non ti bastavano: chi si ama si promette amore eterno e vuole camminare assieme nella vita.

Ci siamo sposati in autunno.

Il matrimonio non è tutto una luna di miele. “Nel buono e nel cattivo” era la formula usata una volta. Si incontrano le difficoltà e si superano con l’amore. È questo il bello di essere assieme anziché soli: superare le difficoltà tenendosi per mano.
Ci eravamo promessi amore eterno, ma già questa mattina ci siamo separati.

Ho due finali per questa storia, scegli quello che preferisci, puoi prenderli anche entrambi.

Il primo è che ti ho persa. Sono immensamente triste per noi e per il nostro progetto di vita. Io avevo creduto in te, nel nostro legame speciale, nel nostro matrimonio, nel vivere e invecchiare assieme. Ma io credo nell'amore: ho cercato il vero amore per tutta la vita.
Il secondo finale è che forse ti eri smarrita ed avevi sbagliato strada. Seguendo me, avevi preso una strada non tua. Il matrimonio, ti sei resa conto, non era dove volevi essere, non era il porto al riparo dalla vita che avevi immaginato. Non è la tua vocazione né la tua destinazione. Oggi sei libera di cercare in autonomia la tua via. Ed io riprendere la mia. Entrambi con un handicap: io l'età ed il cuore spezzato. Tu i tuoi fantasmi.



Questa notte il nostro letto è freddo 
mi sento perduto nell'oscurità del nostro amore 
Dio abbia pietà dell'uomo 
che dubita di ciò di cui dovrebbe essere sicuro

(Bruce Springsteen)