giovedì 29 gennaio 2009

i giorni della merla


Le mie feste preferite sono pagane. Perché sono ricorrenze che festeggio nel mio intimo, senza il clamore e il consumismo che circonda le feste “comandate”.

Nella tradizione popolare i tre ultimi giorni di gennaio sono considerati i tre giorni più freddi dell'anno. Dal due di febbraio poi (la festa della Candelora) l'inverno un po' alla volta allenta la sua morsa, fino a regalare qualche giorno di sole attorno a Carnevale e arrendersi alla primavera nel mese di Marzo. Queste tradizioni erano particolarmente vive ai tempi dei nostri nonni, sia perché si viveva assai più a contatto con la natura ed i suoi ritmi, sia perché senza il riscaldamento centralizzato il freddo faceva più impressione.
Ho sentito innumerevoli versioni della storia dei merli, che a volte sono due (marito e moglie, maritati di fresco nel paese di lei vicino al Po) e volte tre (con il piccolo merlottino). Spesso sono storie tristi, di quella crudeltà che hanno i racconti e le ballate popolari d'altri tempi, con i merli che non sopravvivono a questo finale d'inverno. Quando alla fine in febbraio arriva il sole, i merli non ci sono più per accoglierlo.
La versione che preferisco me l'ha raccontata un'amica: c'è questa giovane famiglia di merli, merlo il papà, merla la mamma, merlino il figliolo, e sono tutti e tre di un colore bianco candido come la neve. Vivono su un tetto, nel gelido inverno padano. Il 29 di febbraio il freddo si è fatto così intenso che il papà sposta la famiglia vicino ad un grosso camino fumante, per godere di un po' del suo tepore. Poi si allontana in cerca di cibo. Torna il 31, arriva sul tetto, trova il camino ma sulle prime non riconosce la sua famiglia. Infatti mamma e figlio sono diventati tutti neri per la fuliggine. Racconta la storia che da allora tutti i merli nacquero neri.
In una versione di questa storia letta sul web ho trovato persino la localizzazione precisa del tetto, in Porta Nuova a Milano. Ma io credo piuttosto che si trattasse di un paesino di campagna lungo il Po, di quelli con quattro case lungo la strada imbiancata...

sabato 24 gennaio 2009

bianco e nero


"Siamo l'ultima generazione ad avere ricordi in bianco e nero" (Marrakech Express)

Mentre accompagno a scuola Carolina in una plumbea mattina di gennaio, lei sillaba una scritta che ha letto: "P O L I T E A M A... cosa vuol dire, papà?"
Politeama è il nome di un cinema, che c'era già quando il papà aveva la tua età. Allora non c'era Sky e nemmeno i cartoni animati alla TV (non è vero, una volta alla settimana c'erano Gustavo ed i cartoni importati dai paesi del socialismo reale, ma questo non l'ho raccontato). Perciò la domenica mattina papà e lo zio venivano al cinema Politeama, ad uno spettacolo che proprio per questo si chiamava matiné, a vedere i cartoni di Willy il coyote e Bip Bip... Persino la TV non era a colori, ma piccola ed in bianco e nero. E in TV c'era Raffaella Carrà.

mercoledì 21 gennaio 2009

fitness


Ho un fisico che non si allena. Nel senso che non mi è mai successa quella cosa che la prima settimana fai fatica, dopo un mese ti senti in forma e dopo un anno sei un campione. Non sono mai stato una grande “sportivo”, di quelli che appena arrivano ad una spiaggia si mettono a giocare a calcio e si informano su tutti i tornei in programma. Io ho sempre preferito la meditazione e la lettura. E, da scapolo, la ricerca di compagnia.
Non ho neanche avuto una di quelle famiglie che da bambino ci tiene al fatto che tu porti a casa una coppa. Ricordo di essermi iscritto alla maratona non competitiva Bobbio-Penice, tredici chilometri di salita per un dislivello di almeno settecento metri. È stata una faticata al di la di quanto avessi immaginato, ma l’immagine che mi è rimasta impressa è mia madre che negli ultimi due chilometri, quando come Fantozzi avevo ormai visioni mistiche, mi gridava dal finestrino dell’auto: “basta, smetti, sali in auto!”. Deprimente, lo giuro. Da ragazzo ho fatto una sola partita di calcio, la mia classe del liceo contro qualcun altro. Avevo scelto di stare in porta perché ad occhio e croce mi pareva meno faticoso. Abbiamo perso 13 a 1, ma chi si sarebbe sognato di fermare un pallone di cuoio calciato a tutta forza da pochi metri? Da adolescente ho anche fatto parte di un team di “quattro con” di canottaggio, sport notoriamente molto duro. L’allenatore passava tutto il tempo a cercare di convincermi a fare il timoniere. Ho giocato a baseball in una squadra della mia città. L’avevo scelto per via del fatto che leggevo Linus, e Charlie Brown era un pessimo giocatore di baseball. Io anche. Anni dopo ho avuto modo di assistere negli USA all’allenamento scientifico con cui tirano su i ragazzini fin dalla prima elementare. Da noi niente, non ti spiegavano neanche le regole, era tutto un riscaldamento, correre attorno al campo e perdere le partite. Il mio ruolo era esterno destro, che giocato in una squadra di dilettanti è deprimente. Significa che passi gran parte del tempo a guardare la partita dai bordi del campo come uno spettatore non pagante e poi, quando alla fine ti distrai e guardi gli spalti, la palla arriva finalmente proprio a campanile su di te e ti rimbalza vicino, mentre tutti ruggiscono di rabbia e tu ricordi che stavi giocando una partita.
Poi un po’ di equitazione, ma era soprattutto il cavallo a fare esercizio. Sci alpino, ero bravino, però si fa più affidamento sulla forza di gravità che la forza fisica. In palestra andavo a fare qualche manubrio per i bicipiti al sabato pomeriggio, tanto per avere i muscoli un pochino gonfi al sabato sera. Poi magari era un problema persino aprire lo sportello dell’auto.
Non mi diverto a nuotare, ma per colpa di un mal di schiena recidivante qualche anno fa mi sono deciso a frequentare una piscina. All’inizio era faticoso, non mi divertivo per niente e l’unica cosa che potevo fare era contare le (poche) vasche. Ma pensavo “si sa, dopo un mese si comincia ad andare meglio”. Dopo un mese facevo la stessa fatica. Allora ho pensato che di mesi ce ne volessero tre per apprezzare i risultati di un allenamento costante. Ma dopo tre mesi continuavo a fare la stessa fatica, così come dopo sei mesi e lo stesso dopo nove. Intanto dovevo trovare il tempo di andare in piscina tre volte alla settimana, entrare nell’acqua fredda e convincermi a nuotare per mille metri. Dopo dieci mesi mi è tornato il mal di schiena e ho chiuso con il nuoto. Da allora non ho fatto più di dieci vasche. In tutto. Sì perché il problema è che non riesco a migliorare, ma purtroppo riesco a peggiorare quando non faccio niente. Un allenamento al contrario. Quando di recente ho ripreso ad arrampicare in palestra ho scoperto di non riuscire più nemmeno a fare quelle “vie” che un paio di anni fa mi riuscivano facili.
Ma, avete sentito i telegiornali, per Natale gli italiani sono ingrassati di media due chili a testa. Ecco, io questa media l’ho sostenuta con molto altruismo. Per cui mi sono deciso a ripresentarmi, come tanti, alle porte della Palestra. Questa volta non farò sala pesi, o programmi d’allenamento su cyclette e tapis roulant, perché so che non durerei una settimana nella noia della sala. Mi iscriverò ad uno di quei corsi aerobici collettivi dove hai appuntamenti e orari da rispettare e istruttori che si informano sulle tue assenze. Una volta questi corsi si chiamavano di “aerobica”, ed avevo un amico che non se ne perdeva uno: si metteva in fondo ad una sala gremita di ragazze con tute neanche aderenti -- ginecologiche, e vi assicuro che è uno spettacolo ai limiti della legalità. Ma i tempi procedono rapidi e ora ci sono corsi di pilates, di aero dance, di cardio step e di cardio latino. Corsi di fat burning (non daranno fuoco ai clienti sovrappeso?), di GAG (significa glutei, addominali e gambe, per gli altri muscoli rivolgersi al corso successivo), di hip hop, di capoeira, di emotional balance.
Io, dopo un colloquio con il mio personal trainer avrei scelto fitboxe, tone e spinning. Vi saprò dire, ma non ci conto molto. Ho un fisico che non si allena.

lunedì 19 gennaio 2009

calzoni di lana


Non fanno più pantaloni invernali. 
Una volta d'inverno c'erano i calzoni di lana. Di lana più o meno nobile, più o meno morbida, ma comunque bei calzoni caldi. Adesso i calzoni sono griffati. Significa che costano perché hanno un marchio di moda, ma che sono prodotti in Cina e valgono 1 dollaro l'uno, cifra che comprende i tessuti, la manifattura ed il viaggio. E sono in cotone, come i calzoni che mettiamo a ferragosto, uguali che di ci siano cinque gradi sottozero o trentasette...
Devo essere l'unico ad avvertire questo problema perché non ho trovato calzoni caldi nei negozi di moda e non ne ho trovati neppure nei negozi sportivi, a meno di voler girare in città con i calzoni da sci... credo che metterò la calzamaglia come faceva mio nonno. Tanto non se ne accorgerà nessuno...

venerdì 16 gennaio 2009

Moda is a four letter word


Sotto casa mia hanno aperto un negozietto di scarpe economiche. Vendono scarpe di tutte le fogge a prezzi che variano fra i 15 e i 30 euro. La fila dei clienti inizia al mattino prima dell'apertura, e quand'è sera, un'ora dopo la chiusura, c'è ancora gente che spinge la porta. Questo è ovviamente un segnale importante di come la gente faccia fatica a pagare le cifre che l'euro richiede per acquistare vestiti, scarpe e quant'altro, nella rete di distribuzione “normale“. Spendere 250 euro per un paio di scarpe significa ovviamente sborsare mezzo milione delle vecchie lire, una cifra che non solo non è banale, ma che tante famiglie non possono permettersi. 
Il rovescio della medaglia del negozietto è, naturalmente, che le scarpe sono di bassa qualità. Si risparmia sui materiali, si risparmia sulla manifattura, e le scarpe dopo una stagione sono da buttare. Ora, la notizia è che anche per fare le scarpe (e i vestiti) griffati da 250 euro si risparmia sui materiali e sulla manifattura, ed anche quelle scarpe dopo una stagione sono da buttare. Non c'è nessuna differenza. 
Una volta, quando i vestiti erano di sartoria, la differenza fra un abito costoso ed uno povero era la qualità del tessuto, la lana, le cuciture, l'abilità del sarto. La differenza era evidente. La firma del sarto era il suggello di tanto lavoro.
Oggi accade esattamente il contrario. La firma è diventata un modo per vendere roba scadente a prezzi esorbitanti. Gli abiti non vengono più prodotti in Italia, ma in Cina o in Romania. I jeans che arrivano dalla Cina costano un dollaro l'uno, prezzo che comprende il tessuto, la paga dell'operaio che lo ha realizzato, i vari passaggi di mano fino alla frontiera, qualche tassa locale, il viaggio fino all'Italia. Arrivato qui il nome di qualche stilista sponsorizzato dalla TV gli fa lievitare il prezzo fino a 100 o anche 200 e persino 300 euro. 
Qualche tempo fa era stato intercettato dalla Guardia di Finanza un carico di questi jeans venduti direttamente dai cinesi a un distributore diverso, per venderli a basso prezzo. Il reato non era quello di vendere merce scadente o falsificata, ma di usare una firma senza possederne i diritti. I jeans, naturalmente, erano gli stessi. 
Questo discorso mi viene alla mente ogni volta che mi si inceppa una cerniera lampo di bassa qualità o che un abito viene rovinato da un lavaggio. Non c'è un giubbotto per quanto la firma sia prestigiosa la cui zip non si inceppi. 
Proviamo a fare un confronto con gli abiti tecnici, quelli che si usano per andare in moto o per scalare le montagne. Una cerniera lampo che si inceppa fa la differenza fra la vita e la morte. Gli abiti tecnici sono costosi perché sono preparati in modo meticoloso, con materiali come Goretex o Cordura che migliorano la qualità della nostra vita, con cuciture che all'occorrenza possono essere usate per aggrapparci la nostra corda in una discesa d'emergenza. La firma non diventa il motivo del prezzo, ma la certificazione della qualità. 
Purtroppo nel nostro Bel Paese le nostre competenze, glorificate dai mass media, non sono tecniche, tecnologiche, innovative, all'avanguardia. Le nostre scuole non ci preparano al futuro e le nostre leggi non promuovono ricerca e innovazione. Questa non è la strada per il futuro.

mercoledì 14 gennaio 2009

Gennaio


L'inverno è bello da Santa Lucia a Natale. Poi diventa noioso. Già Capodanno non lo capisco molto: che ci sarà da festeggiare in un altro anno che se ne va? E poi, diciamocelo, far finire l'anno il 31 di dicembre e iniziarlo al 1 gennaio ha poco senso: sono due giorni assolutamente identici! L'anno nuovo, quello vero, inizia il primo giorno di settembre, finisce l'ultimo di luglio ed è sospeso in agosto. Comunque Gennaio è l'unico mese ingodibile dell'anno. Freddo e buio, a meno che non nevichi, che c'è di bello in gennaio? Almeno fino ai giorni della merla (per tradizione i tre giorni più freddi dell'anno), dopo di che comincia a crescere la speranza di sole e la voglia di primavera. 
Scriverò del calendario e delle sue feste (quelle vere, non la “festa della repubblica” o “l'immacolata concezione”...) in un prossimo post. Per il momento: sciarpa, berretto di lana e tanta, tanta pazienza...

mercoledì 7 gennaio 2009

evoluzione


Ho letto questa frase su internet: "Ecouter tomber la pluie quand on est au chaud dans son lit"

Siccome non parlo ancora francese (anzi, non lo capisco, perché in Francia in realtà parlo, ma come Abatantuono), ho infilato la frase nel traduttore automatico del Mac, che mi ha sorpreso con una ottima traduzione:

"Ascoltare cadere la pioggia quando si è al calore nel proprio letto"

Vedrete che questi cosi andranno a lavorare al posto nostro. (Speriamo presto).

lunedì 5 gennaio 2009

Buon Anno


Il nuovo anno: sapete che sarà bellissimo?
Innanzi tutto nevicherà un sacco, così in febbraio ci troveremo tutti sulle piste da sci, e poi in baita a mangiare polenta. Poi arriverà presto la primavera, così potremo tirare fuori presto la moto dal garage e riprendere con il turismo a due ruote. La buona notizia per chi la moto non ce l’ha è che potrà... comprarla. Anche a rate, per non incidere sul bilancio familiare. 
Il traffico in città diminuirà perché arriveranno bus ecologici belli e comodi, e invece che enormi dormitori nasceranno quartieri differenziati e pieni di vita, come a Londra e Parigi.  
Anche agli italiani verrà voglia di lavorare anziché farsi mantenere, e (forse) ci stancheremo di farci governare da mafiosi e non permetteremo più che usino la politica per mettersi in tasca i soldi della gente per vivere come nobili alla corte di Versailles. 
Venderemo Trenitalia alle Ferrovie Svizzere, non si farà l’Alta Velocità, ma finalmente faremo la Bassa Velocità, con treni puliti, comodi e puntali, e le stazioni torneranno ad essere la porta di ingresso delle nostre città anziché quei luridi tabernacoli di immondizia e disadattati -- che ai politici che frega, tanto loro viaggiano su auto blu e aerei gratis...
La TV ci sarà ancora, ma non trasmetterà niente dopo le 22, così leggeremo dei libri o parleremo ai nostri figli, o ci incontreremo ancora nei cortili e nelle “osterie” a raccontarci le cose nostre e non dei “VIP”... o leggeremo i blog.
Non raddrizzeremo più le strade per costruire tangenziali e guard rail, ma ripianteremo i cipressi sui bordi e faremo tante piste ciclabili.
Insomma, un anno bellissimo; forse persino Carolina avrà finalmente il fratellino che ha chiesto e io potrò regalargli un trenino. 

Se avete qualche desiderio da aggiungere fatelo, ma prima dell’arrivo della befana, che poi non si fa più in tempo a realizzarlo... AUGURI!