sabato 26 novembre 2011

La Ballata del Ratto Baratto (parte 4/4)




(3 - continua)

Capitolo 4

La vita è così più strana di come la gente possa immaginare, sia che si tratti di persone, cani, gatti, civette, ratti, anguille, coccinelle o bombus terrestris. Il Ratto Baratto riebbe la Topina Dorata, la Felicità e l’Amore. Anzi, ne ebbe (dal suo cuore, almeno) molto più di prima. E allora? Perché la storia non si ferma qui come tutte le storie che si rispettano, con un bel:
…si sposarono, ebbero 4 vispi topini, e vissero felici e contenti.

The End

In effetti il ratto aveva già ordinato un finale siffatto quando… ma andiamo con ordine. Tutti noi abbiamo, sotto sotto, nascosti da qualche parte, un angioletto e un diavoletto. Uno serve all’altro per fare di noi un essere che ne valga il nome. Cosa spinge una tenera mamma a gettarsi nelle fauci della Faina per salvare i suoi piccoli? Cosa spinge il Vampiro ad aprire gli occhi quando cala il sole ed emerge l’oscurità? Cosa fa coprire di peli il lupo mannaro nelle notti di luna piena, e lo spinge a cercare carne e sangue? I loro angeli e i loro diavoli. Fu il suo diavoletto che quella notte svegliò dal sonno il Ratto Baratto e gli fece abbracciare la sua topina per condurla nella campagna, per un baratto. E nel buio fu il suo piccolo angelo che lo chiamò e lo mise di fronte alla sua colpa. Il ratto si guardò attorno rabbrividendo. Per nulla al mondo avrebbe rinunciato alla topina dorata. Per nulla al mondo avrebbe veramente fatto quello che stava per fare. Si riavviò al buco sotto il granaio, in silenzio per non svegliarla. Ma non fece abbastanza in silenzio, la topina si svegliò, ed era nel mezzo della campagna anziché nel giaciglio di quella che credeva essere la propria tana.
Gli parlò con tristezza: «Lo hai rifatto. Mi hai barattata, mi hai abbandonata. Cosa hai avuto, almeno, in cambio?»
Il Ratto Baratto ebbe un sobbalzo (di quelli che hanno i ratti quando qualcuno gli parla all’improvviso di notte…). Cercò con dolcezza gli occhi della topina e le si avvicinò per strofinare il tartufo:
«Perdonami. Ma non ti ho barattata, non l’ho fatto. E ti sto riportando a casa» .
Ma la topina ritirò il piccolo muso. Aggiunse solo: «No. Non ti perdono più. Questa volta è un addio» .
«Non puoi farlo: sai, è il cuore che non te lo permetterà. Prima si riempirà di marmellata, che poi diventerà melassa e…»
«Quello che vale per un ratto non è detto che sia vero anche per un topo. Se tu non sei capace di imbrigliare il cuore, non è detto che non la sia io. Non voglio dar ascolto ad un piccolo stupido cuore, per svegliarmi una notte sola nel bosco, mentre la Civetta mi vola sulla testa con l’acquolina in bocca. Me ne vado, per il bosco da sola, è vero, ma per trovarmi un buco tutto mio, magari al sicuro sotto una Quercia»


La piccola topina color dell’oro si girò e si mise a camminare (morbida e col piccolo codino come sempre, ma con gli occhi molto meno innocenti) da sola verso l’oscurità della notte. Il Ratto Baratto non la seguì.
Tornò invece nel suo piccolo giaciglio nel piccolo buco sotto il granaio, e si accorse che si era già fatto molto freddo. Al mattino il suo cuore era immerso nella marmellata. In capo a una settimana nuotava in una melassa ancora più densa della Nostalgia: il fango della Sofferenza. Camminò e camminò, per cercare la topina e riportarla sotto il granaio. Era certo che il suo non fosse l’unico cuore a soffrire.
Cercò e cercò, ma non la trovò. Tornò nel granaio, cercò quello che era rimasto della pergamena (il solito pezzo di giornale), scrisse un poco di quello che sgorgava dal piccolo cuore, e lo affidò ad un corvo fidato, che volando alto sulle ali la potesse trovare.

«La gente parla di come erano diversi
i giorni che sono passati
di come le cose andassero bene
di come le cose avessero un sapore
nei giorni che sono passati
ma è perché hanno dimenticato
è perché se lo sono immaginato
di come stavano nei giorni che sono passati.
Eppure io so che avevo te
nei giorni che sono passati
e so che ero felice
e darei la vita per riavere
i giorni che sono passati»

Il Corvo trovò la topina dorata e le passò la piccola poesia senza rime. La risposta non venne mai. Venne invece la Notizia che mai il Ratto Baratto sarebbe stato capace di immaginare.
La piccola topina dorata aveva trovato casa e assistenza presso un gatto giù in paese. Un cosa? Già, un grasso, unto, infido, GATTO. Non c’è peggiore incubo per un Ratto Baratto. Così, quatta quatta, era arrivata una nuova lezione, anche se questa volta troppo tardi. La Felicità è un intero. E il Ratto Baratto si sentiva una metà: la metà spaiata di qualche cosa che solo intera aveva significato vivere. Anche quando era stato separato la prima volta dalla sua topina, anche quando non sapeva dove lei fosse, anche quando la stava tradendo nella notte, aveva sempre saputo che da qualche parte, sulla terra o nel cielo, al buio o alla luce c’era l’altra metà. (Ora vedeva con chiarezza che lo aveva saputo perfino prima di incontrare per la prima volta sulla neve la sua topina dorata).
Ma ora lui solo era una metà, mentre lei era la metà di un’altra cosa, di un’altra felicità, di un altro amore. La cui altra metà era un gatto. I conti del mondo non tornavano più. Per quanto si fossero potuti contare e ricontare ratti, topi, mammiferi, animali, esseri viventi, molecole, atomi, stelle, il risultato sarebbe stato sempre e inequivocabilmente uno e uno solo per il Ratto Baratto. Un numero dispari, un numero spaiato, un numero e metà: una metà di troppo per la simmetria dell’Universo. Il ratto si sentiva un pezzo di ricambio per una macchina che non ne aveva alcun bisogno. Non c’era che una cosa da fare. Tornare nella valle, attendere la notte e invocare una Stella Cadente.

Ma non ci fu nessuna stella quella notte, come non ce ne furono per tutto il tempo della neve. Arrivò il disgelo, e ancora il ratto passava ogni notte con il muso alzato a scrutare il cielo. Non ci furono stelle cadenti quella primavera e non ce ne furono quell’estate: non se ne videro neppure nella Notte di San Lorenzo. In realtà il Ratto Baratto non vide più una stella cadere (come non riebbe più la Felicità).



Epilogo

La morale potrebbe essere: questa vita è già abbastanza avara. Non molti hanno la fortuna di incontrare la Felicità, pochi la ritrovano se la gettano. Nessuno può riaverla una terza volta. Se vi sembra una storia troppo malinconica da essere raccontata, sappiate che le parti più tristi vi sono state risparmiate. Per esempio, quel che fece il povero Ratto Baratto quando gli giunse la notizia che la topina si sposava con il gatto di campagna…


Un altro epilogo?

Veramente esiste più di un finale a questa storia. Per esempio c’è quello (intitolato La Triste Storia Della Topina Dorata) in cui il finale è visto dagli occhi della topina. Qui si scopre che in realtà la topina non aveva mai guardato con molta attenzione il Ratto Baratto, tanto da non essersi neppure accorta che fosse un Ratto. Prova che non narro bugie è che non vi aveva visto nessuna differenza con il proprio gatto di paese.
Non c’è niente di strano in tutto questo: spesso i topini (e non solo loro) quando guardano non vedono quello che c’è ma quello che vogliono vedere; e capita che guardando un ratto non vadano oltre le prima tre dita delle zampine e diano per scontato il resto. Ma i nostri sensi sono dispettosi, almeno quanto i cuori. E così capitò che, un brutto giorno per la topina, la Fata dei Ratti decise di mettere fine alle sofferenze del Ratto Baratto.
«Hai peccato di stupidità e ingordigia, e lo hai fatto due volte» gli disse la fatina in sogno (alla fine infatti, sul far del nuovo autunno, il ratto aveva infine rinunciato a scrutare il cielo in cerca di una stella cadente e si era lasciato cadere addormentato) «però hai dimostrato un cuore puro, tenace e fedele al tuo sentimento. Ti perdono, e credo davvero che sarà l’ultima ultima ultima ultima ultima ultimissima volta che ne avrai bisogno» 
Gli passò una mano sul cuore, per pulirlo dalla marmellata che ne traboccava.
Quando il Ratto Baratto si svegliò, davanti ai suoi occhi stava (dolce, tenera, morbida, con gli occhi innocenti e il codino corto) una tenera topina, bianca e lucida come una stella che cade.
E… meraviglia, se ne innamorò all’istante (questa volta sapeva cosa fosse l’Amore e lo riconobbe subito). Fu quando la Topina Dorata lo seppe che i suoi sensi, forse in combutta con il cuoricino (che tutto sommato anche lei aveva, piccino piccino e nascosto dietro lo stomaco) finalmente videro il Ratto Baratto così com’era, così come lo avevano visto forse una volta sola, tanto tanto tanto tanto tempo prima, in mezzo alla neve: aveva graziose orecchie sensibili, morbidi baffetti sensuali, un elegante pelo argenteo, unghie lunghe e curate e, alla fine, un cuore sincero.
Qualche cosa a che fare con il suo gatto di paese? Il suo cuore si riempì all’istante di marmellata densa e malinconica, e fu allora che andò a rileggere le traballanti poesie senza rime di quello che una volta era stato il suo Ratto Baratto. Ma non fu più in grado di ritrovarle, e non ne ebbe mai più altre, perché i mici di paese, si sa, non solo non conoscono le rime, ma non sanno neppure scrivere.

Qualsiasi sia il vostro finale preferito, la morale non cambia: la vita è sempre avara. Non molti hanno la fortuna di incontrare la Felicità, pochi la ritrovano se la buttano.

(fine)

sabato 19 novembre 2011

La Ballata del Ratto Baratto (parte 3/4)



(2 - continua)

Capitolo 3

Passarono i giorni ma il cuoricino del Ratto Baratto non ne voleva sapere di accettare le direttive della testa e dello stomaco. E quel che era peggio è che faceva tanto chiasso da rendere introvabile la Felicità. Il ratto cercò di ritrovarla facendosi leccare pelo e baffi dalla topina corvina, e strofinando spesso il piccolo tartufo al suo. Cercò di ritrovarla moltiplicando i baratti, e si trascinava da una parte all’altra portando montagne di cose, perlopiù inutili come le foglie gialle di quell’autunno, sassolini o ali colorate di farfalle di fine stagione. Scambiò la topina a pelo lungo molto prima di quanto avrebbe immaginato, e la scambiò per pochi grani di granoturco soffiato. La marmellata della Malinconia si trasformò nella melassa della Nostalgia, mentre la Felicità, bisognava ammetterlo, era sparita del tutto, così all’improvviso come era arrivata.
Solo che adesso che il Ratto Baratto la conosceva, si accorse che era impossibile viverne senza. Era diventato svogliato, e assai poco scaltro nei baratti, ragion per cui dimagriva di giorno in giorno. Ma neanche lo stomaco se ne lamentava: sembrava proprio che a comandare tutto adesso fosse lo stupido cuore… Ecco imparata una nuova lezione: così come un giorno aveva saputo che la sensazione strana era la Felicità, oggi, senza che ancora nessuno gliene avesse mai parlato, il Ratto Baratto sapeva che la Felicità era l’Amore.
Strana cosa, l’Amore, se ti apre dei buchi così grossi in un cuore così piccino.
Passò un autunno malinconico e venne un inverno triste. Una notte in cui la luna piena illuminava a giorno i campi gelati attorno alla fattoria, il ratto scambiò un chicco di frumento un po’ ammuffito («ma in parte ancora mangiabile» , si disse, barando con se stesso, perché anche i Ratti Baratti hanno una coscienza e devono farle rapporto) con un pezzetto di pergamena (era un pezzetto bruciacchiato del bordo di una pagina di giornale, uscito dalla stufa di ghisa del fattore, ma il ratto lo chiamò proprio «pergamena») e un carboncino (proveniente dalla stessa stufa: il ratto aveva frugato fra i rifiuti nel bidone vicino alla casa).
La melassa era più densa del solito, e il ratto si sentiva come se il modo migliore per alleggerirsene fosse di metterne un po’ sulla carta.

Così cominciò a scrivere:

«Se io potessi averti,
ancora solamente una volta.
Se io potessi baciarti,
ancora solamente una volta.
Se tu potessi stringermi,
ancora solamente una volta.
Se tu potessi amarmi,
ancora solamente una volta.
Se questa fosse la tua casa,
ancora solamente una notte.
Se noi potessimo essere,
ancora solamente una vita».


Certo non era una grande poesia (i ratti non sanno cosa siano le rime) ma nonostante fosse di melassa pura si accorse che invece di alleggerirsene il cuore ora ne traboccava addirittura. Fuori, nel gelo sotto la luna, immerso nella Nostalgia, incapace di pensare ad un nuovo baratto o anche solo ad una nuova mattina, il Ratto Baratto si accorse che negli occhi gli brillavano riflessi lucenti. Erano forse le lacrime che gli colavano a rivoli dagli occhietti neri lungo il pelo grigio? No: stava nevicando, e gli nevicava addosso, e la melassa gli impediva persino di muoversi per cercarsi un riparo.
«Rimarrò qui e sarà quel che sarà» si disse il ratto.

Quando i larghi fiocchi smisero di cadere, riapparvero la luna e un cielo colmo di stelle all’inverosimile. Quella stessa luna che il Ratto Baratto si era illuso di poter ottenere con un tradimento (ormai lo chiamava così, non più un baratto), e ora sapeva invece d’aver gettato. Il ratto non era più grigio, ma bianco da tanta neve gli si era posata addosso. Scrollò il lungo muso e guardò la vallata innevata, con gli alberi così carichi da sembrare semplici mucchi di neve. Ebbe una stretta al cuore: non era la stessa notte in cui il cielo gli aveva donato la topina dorata? Alzò gli occhi alle stelle e si trovò a sospirare: «Ho sbagliato. Ero solo un povero ratto ignorante, e non sapevo distinguere altro che il pecorino dal grana». «Ma oggi so cosa ho perso: ho perso l’Amore, che mi portava la Felicità. Fa che non sia così per sempre…» 
Nell’alto del cielo una stella sembrò brillare un poco più forte, poi esitare un attimo, quasi spegnersi. Alla fine scivolò una striscia luminosa, più luminosa di ogni altra stella, a solcare per una memorabile frazione di tempo la cupola della notte.
«Una Stella Cadente!»
«Già, una stella cadente» gli fece eco una voce. Era la voce della Fata dei Ratti, che all’improvviso era lì, di fronte a lui, circondata dalla pallida luce calda come di un lampione, avvolta in quel suo manto così candido da sembrare azzurro.

«…e per la seconda volta in un anno» proseguì. «Ci deve essere un motivo ben serio perché sia successo. Vediamo un po’, mio caro Ratto Baratto, dov’è la tua compagna, la topina dorata?»
Il ratto provò una sorta di nodo allo stomaco. Se fosse mai andato a scuola (ma i ratti per loro fortuna a scuola non ci vanno) la situazione gli avrebbe ricordato un’interrogazione di matematica, e si sarebbe guardato attorno in cerca della lavagna.
«La topina non c’è, Fata. L’ho barattata». I baffi gli penzolavano dal muso come fossero piccoli spaghi bagnati.
«L’hai barattata. E con che meravigliosa meraviglia hai barattato la tua compagna, Ratto Baratto?»
«Io… non… non lo ricordo, Fata».
«Hai barattato la tua Compagna, il tuo Amore e la tua Felicità, ma non ricordi neppure con cosa?»


Il ratto arricciò il muso in una smorfia di dispiacere. Le orecchie erano afflosciate come carte di caramella buttate, i baffi ormai scivolavano sulla neve, la coda era così arrotolata sotto la pancia da spuntare davanti al muso. Il Ratto Baratto era l’immagine stessa dell’avvilimento.
Era così avvilito e mogio da essere buffo. E alla Fata (che tentava di mostrare un cipiglio severo, ma era Fata e come tale piuttosto buona) scappò prima un sorriso, poi una risata sincera. Rideva e rideva, e se cercava di trattenersi (dopo tutto era una Fata, no?) scoppiava a ridere ancora più forte, mentre le lacrime le scendevano dagli occhi.
«Vai, Ratto Baratto, torna a casa nel tuo piccolo buco sotto il granaio, ché è una notte troppo fredda per bighellonare. Credo proprio che la tua topina dorata sia là ad aspettarti. E cerca di trovarti un nuovo nome».

(3 - continua)

giovedì 17 novembre 2011

La Ballata del Ratto Baratto (parte 2/4)


(1 - continua)

Capitolo 2

Il Ratto Baratto andava avanti a scambiare croste di pecorino con profumati pezzi di gorgonzola o di robiolina, ma, senza che neppure se ne accorgesse, non gli capitava mai di desiderare di scambiare nel sonno la dolce topina color dell’oro. Sentiva una sensazione sconosciuta venire da un posto nuovo, un poco sopra lo stomaco, da quel cuoricino che gli batteva più distintamente quando lei gli lisciava il pelo, gli leccava i baffi, gli si strofinava sul piccolo tartufo. Sapeva che quella cosa serena e struggente che veniva dal cuore non era né fame, né sazietà, né sonno né attività: era la Felicità. Non gli era mai mancata prima perché non ne aveva mai sentito parlare, né sapeva capire con esattezza perché fosse ora all’improvviso felice. In realtà pensava di esserlo perché la vita è meravigliosa e vale la pena di essere vissuta anche da («specialmente da» pensava) un Ratto Baratto.

«Così come un giorno mi è cresciuto questo bel pelo, e un altro i baffi» pensava, «un giorno, semplicemente, sono divenuto un ratto abbastanza grande per essere felice» .

Certo, c’erano i giorni buoni e quelli cattivi, c’erano angioletti e diavoletti, croste di pane secco e mascarpone fondente, ma sempre il ratto era felice e credeva fermamente che non sarebbe mai potuto essere altrimenti. Mai dire mai (e neppure pensarlo! Non date mai niente per scontato, neanche se siete ratti di campagna!).

Un brutto giorno il Ratto Baratto incontrò una topina d’angora, dal pelo lungo e corvino, come erano del color del corvo nella notte i suoi occhi superbi e la sua lunga coda aristocratica. Il ratto pensò: «questa topina è esattamente quello che fa al caso di un Ratto Baratto con le maiuscole come sono io. È giusto quello che manca ad un ratto felice: quando l’avrò forse riuscirò anche a volare e chissà, forse a barattare l’anguria con la luna nel cielo».

In realtà non capiva esattamente perché il suo cuoricino (appena sopra lo stomaco) invece di gioirne sembrava si fosse riempito di una densa marmellata di malinconia, quella notte che nel sonno portò la topina dorata fuori dalla tana, senza neanche curarsi (o lo fece forse a proposito?) di lasciarla nella calda tana di qualche altro rattino. Il ratto pensò: «Stupido cuore, non capisce il baratto. Non è intelligente come il mio stomaco, che mi suggerisce sempre per il meglio. Ho graziose orecchie sensibili, ho dei morbidi baffetti sensuali, ho un elegante pelo argenteo, unghie lunghe e curate e uno stomaco spazioso» (solo per un pelo non aggiunse la parola «modestia» all’inventario delle qualità…). «Che bisogno c’era di quel cuoricino di cui nemmeno mi ero mai accorto?»

(2 - continua)

martedì 15 novembre 2011

La ballata del Ratto Baratto (parte 1/4)


La ballata del Ratto Baratto
di Gaetano Bottazzi

edizioni del formaggio
tiratura limitata a due copie
10 novembre 1990

«ho visto cadere una stella
e ho desiderato te»


Capitolo 1

il Ratto Baratto era un ratto (molto) sbarazzino. Mangiava formaggio, abitava nei buchi, e aveva l’abitudine di scorrazzare, non visto, a barattare ciò di cui si era stancato con le cose nuove che appartenevano agli altri. Barattava qualche focaccia masticata con un po’ di mollica ancora calda, una castagna ammuffita con del pop corn, noccioli di ciliegia con spagnolette. Magari un soldino bucato con una ciabattina da masticare per prendere sonno, nel suo piccolo buco sotto il granaio.

Ogni tanto non disdegnava la compagnia di qualche topina, ma mai più di un poco: poi nel sonno la portava fuori dalla tana (piano piano per non svegliarla) e la scambiava nel buco di qualche ratto addormentato. A volte con altre dolci rattine, più spesso con gustose croste di gruviera. E così la sua vita scorreva, stagione dopo stagione. Fino a che un giorno, senza preavvisi né presentimenti, accadde che incontrò la Topina Dorata. Era una notte di mezzo inverno, e il ratto, approfittando di una nevicata che aveva un poco riscaldato il gelo dell’aria, se ne andava indaffarato per la vallata lasciando piccole impronte di piccole unghie sulla neve fresca, domandandosi che cosa mai avrebbe potuto scambiare se tutto era nascosto a riposare al caldo di quella coltre uniforme. Il cielo era limpido e il Ratto si fermò a contemplare con desiderio la luna di formaggio che illuminava quel paesaggio rinnovato dalla neve.

«Luna, non dormire sonni tranquilli! Un giorno scambierò anche te, con una fetta di anguria mezza mangiata, e allora che faccia farà la gente affacciandosi dalla finestra di notte!»

Ridacchiò, soprattutto al pensiero della Civetta, che alla luce dell’anguria avrebbe faticato un bel po’ a individuare un topino a passeggio di notte. Fu mentre guardava la fetta di luna e l’immaginava con i piccoli noccioli neri al posto dei crateri, che vide la Stella. Una stella che, prima piccola piccola, invisibile fra i milioni di compagne della notte, fece un guizzo, divenne un poco più luminosa, e in un attimo scivolò in basso, spegnendosi nell’arco di un breve, lunghissimo viaggio. Era una Stella Cadente, e il ratto sapeva che avrebbe potuto chiedere alla Fata dei Ratti di esaudire un desiderio. Il bello è che è proprio così: quando una stella cade (perché ha deciso di barattare la propria bellezza, immortale e immobile nel firmamento, con un guizzo di esaltante follia) si apre per un attimo la porta attraverso cui su in cielo possono udire la nostra voce. Se ne vedete una, potete parlare attraverso quella porta. Se il desiderio è abbastanza puro, ed espresso con l’anima anziché con lo stomaco, vi sarà esaudito veramente.
(Come si può sapere quale parte del corpo ha espresso il desiderio? È molto semplice: se vi capita di avere l’acquolina in bocca, allora è stata lo stomaco. Se vi sentite un prurito sul cuore, allora è stata l’anima… per il futuro non scordatevene, perché è un buon modo di sapere se state facendo la cosa giusta).
Comunque il ratto alzò il tartufo, rizzò le piccole orecchie, tese i baffi tremanti per l’emozione, e disse: «Voglio… vorrei…» (si corresse) «vorrei fare questa notte il più bel baratto della mia vita» e guardò la luna nel cielo. Siccome non succedeva niente aggiunse: «in cambio darò… la vita che ho vissuto fino ad oggi» . Sentì piccoli passi leggeri graffiare la neve dietro di sé. Si girò di scatto (i ratti si girano sempre di scatto, a volte con un buffo salto, se sentono nella notte dei passi alle spalle) e la vide. Dolce come il miele, tenera come l’amore (che il Ratto Baratto non sapeva ancora cosa fosse), morbida come la calda terra arata d’autunno, gli occhi innocenti come la sua anima, un codino corto corto come un cucciolo da accudire: stava muso a muso con la più meravigliosa delle topine dorate che avesse mai saputo immaginare.

(1 - continua)

domenica 13 novembre 2011

Gotham City


C'è una vecchia puntata televisiva di Batman (quello in mutande e con la pancia ed il piccolo Robin) dove Joker acquista i giornali e la TV di Gotham City e a furia di pubblicare notizie false riesce a farsi eleggere sindaco. Il municipio è invaso dalla sua ghenga di banditi che saccheggiano la cosa pubblica, portano via carrettate di denaro e festeggiano negli uffici con ragazze facili, mentre la polizia osserva perplessa e impotente. Dopo qualche dubbio lo stesso sindaco precedente entra a far parte della cerchia del Joker, mentre Batman diventa un nemico pubblico.