mercoledì 23 maggio 2012

Simenon



Il primo romanzo che lessi di Georges Simenon si intitolava Betty e mi fu regalato da una ragazza a cui piacevo che si chiamava appunto Betty. Il secondo, immediatamente dopo, fu La Marie del Porto. Da allora ho probabilmente considerato Simenon il mio scrittore preferito, per la sua straordinaria bella scrittura. Simenon era dotato del talento di una creatività unica: acquistava un quaderno, estraeva la penna stilografica e scriveva un romanzo dalla prima all'ultima parola. In questo modo ne scrisse a centinaia, così numerosi che prima che diventasse famoso fu costretto anche a nascondersi dietro a pseudonimi per poter stampare in contemporanea con più di un editore.
Più che scrivere Simenon dipinge: nonostante uno stile asciutto, essenziale, crudo persino, le sue parole sono fotografie che mostrano vivide immagini. Anziché leggere delle parole al lettore pare di assistere alla proiezione di un film: i paesaggi descritti, con romanticismo anche quando sono poveri o squallidi, le case, le stanze e gli arredamenti, le persone. Persone che vengono ritratte vive, fornite di un carattere e di una storia; persone scrutate, spiate e studiate, per le quali l'autore non fa mistero di antipatia (generalmente per i notabili, gli arroganti ed i potenti) o simpatia (spesso per gli umili e gli ultimi, anche quando sono colpevoli o viziosi). Le storie che narra avanzano con lentezza, eppure fanno scivolare il lettore per l'inarrestabile pendio della bella scrittura, l'affabulazione, il racconto trascinante. I posti stessi, le scenografie, sono vive, che si tratti di Parigi o di paesini della Provenza e/o del mare, al punto che più di una volta ho dovuto intraprendere un viaggio reale per vederli con i miei occhi - come la bella isola di Porquerolles. Così come mi mette una sete reale la descrizione del piacere che i suoi presonaggi traggono da una birra gelata od un Pernod quando pigramente siedono ad un caffè nelll'ombra di una giornata afosa o nel buio di un locale malfamato nella notte.
Sui romanzi di Simenon aleggia spesso (se non sempre) una malinconica aria di ineluttabilità del destino, una tristezza cosmica che tutto pervade a dispetto dell'amore che adopera nelle descrizioni, un'aria di incombente tragedia a cui i protagonisti non provano neppure a sfuggire. I protagonisti sono di frequente un uomo ed una donna, non di rado dei fuggiaschi: lui uomo rassegnato e apatico, lei donna forte ma segnata da un passato squallido e da un futuro incerto. Simenon descrive i suoi personaggi come incidendo le parole nel legno con un punteruolo affilato, e non c'è scampo per ogni debolezza e vizio, che viene implacabilmente scovata e descritta, ma mai però giudicata. È qualche cosa di non dissimile dallo stile di un altro cantore di vite metropolitane che appartiene ad una generazione successiva, il Lou Reed delle canzoni ambientate a New York City.
Tutto di può dire di Simenon tranne che fosse un moralista, ed anzi è proprio la sua apparente indifferenza per la morale dei personaggi a costituire per l'epoca in cui si muove (il novecento) un carattere ribelle. Sotto le ceneri dei suoi racconti vibra anche un erotismo sottile, non esplicito, che denuncia la passione dello scrittore per il corpo femminile (e per il piacere in generale, dalla buona tavola al buon tabacco).
Alla lunga, uno dopo l'altro i suoi romanzi, difficilmente brevi, abitualmente lenti e quasi mai destinati ad un lieto fine, hanno il peccato di ripetersi, e se la bellezza dei più riusciti (fra gli altri Tre camere a Manhattan, Il clan dei Mahé, Le campane di Bicetre…) riconcilia con gli elementi più reiterati, quelli che invece stentano a decollare (ed è evitabile che ce ne siano, nella sua sterminata produzione, per esempio gli insopportabili Cargo o Colpo di Luna) vengono in uggia e mi è capitato di interromperne la lettura, spesso in rotta di collisione con l'insopportabile carattere del protagonista.
Simenon ha anche narrato sé stesso in due autobiografie (Pedigree e Memorie Intime) ma è significativo il fatto che tanto è lucido ed implacabile a sezionare l'umanità dei personaggi nei suoi romanzi, altrettanto si rivela miope e persino molle nel descrivere sé stesso e le sue compagne.
Se la reputazione di Simenon come uno dei massimi scrittori del novecento si va costruendo solo ai giorni nostri, tanto da noi che in patria, il suo successo commerciale e la sua ricchezza economica (fu uno dei pochi scrittori a diventare smisuratamente ricco, acquistò ville ed addirittura castelli, anche se visse lutti come la morte del fratello nella Legione Straniera e il suicidio della figlia) sono dovuti all'invenzione di una produzione "minore", i libri gialli popolari che hanno come protagonista l'ispettore Maigret, commissario della polizia giudiziaria del Quai des Orfèvres, che nel bel numero di settantacinque ebbero un successo planetario. Scritti in gran fretta, scegliendo i nomi dei protagonisti sull'elenco del telefono ed ideandone la trama senza tante invenzioni, i Maigret costituivano per l'autore un lavoro ben remunerato e sono sempre stati considerati dai lettori opera di un Simenon minore. Eppure mano a mano che accumulo la lettura dei suoi romanzi "importanti" e mi capita di veder crescere la mia insofferenza per la cronica ignavia dei suoi protagonisti, per la loro rassegnazione (una vera e propria ribellione di lettore per storie destinate a tutti i costi all'infelicità), al tempo stesso va aumentando, giallo dopo giallo, il piacere del break rilassante di una delle storie di Maigret, che ho promosso romanzo dopo romanzo dal rango di lettura sotto l'ombrellone a vero e proprio prime time, fino al punto di lasciarmi intuire in alcune delle sue "storielle" meglio narrate, assolutamente la stoffa del capolavoro. Il mio Georges Simenon favorito di oggi, ancora uno dei miei scrittori preferiti, è diventato quello dei lievi gialli di Jules Maigret.
Le storie di Maigret non sono romanzi gialli nel senso tradizionale del termine: non c'è un assassino da smascherare nell'ultima pagina, e se anche c'è è irrilevante. Quello che conta in Maigret non è il punto di arrivo (che non è mai un colpo di scena od un crescendo narrativo) ma il cammino, la deliziosa narrazione che pervade ogni pagina, un'affabulazione irresistibile, la narrazione romantica (generalmente) di una Parigi che fu e che non è più possibile ritrovare nella geografia, fatta di grandi boulevard come di squallide periferie, di giardinetti ombrosi che portano frescura nell'afa dell'estate (è spesso estate nelle storie di Maigret), di desiderabili bistrot in cui sorseggiare senza fretta Pernod, ristoranti da due lire sulla riva del fiume in cui il cameriere è uomo vissuto e affabile ed il menu delizioso e coronato da un cognac o da un calvados. Non c'è solo Parigi ma tutta quanta la Francia: capita che Maigret con qualche espediente letterario sia coinvolto in occasionali trasferte nella provincia, che viene dipinta con immenso amore e la maestria di un pittore fiammingo. Le inchieste del commissario Maigret non sono in definitiva che alibi per descrivere i personaggi, di una totale umanità, personaggi vivi e vividi dove spesso gli ultimi saranno i primi e i potenti e gli arroganti trovano la loro nemesi ed la loro mercé. Primo fra tutti l'irresistibile figura dello stesso commissario Jules Maigret, corpulento, di origine contadine, calmo, tranquillo ma inarrestabile, forte e pericoloso come un rinoceronte, un uomo pacato e misurato che non rinuncia mai ad una birrà o un liquore in più e che non avanza per sterile intelligenza ma per fiuto innato e per la conoscenza e l'osservazione dell'animo umano. E dietro di lui sul palcoscenico piccoli furfanti, prostitute dal cuore grande, piedipiatti un po' tristi, poveretti che cercano senza dar disturbo una propria piccola tana nella vita; così come arcigni e potenti arroganti destinati al giudizio del lettore e del giudice.
Non ho letto tutti i Maigret e spero bene che molti gioielli ancora mi aspettino. Fra quelli che posso suggerire, i miei preferiti sono stati La balera da due soldi, Il Cane Giallo, Maigret si diverte, la prima inchiesta di Maigret, Maigret e la stangona, la ballerina del Gai-Moulin… e voi?

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