giovedì 5 novembre 2009

Hollywood


Una volta un appassionato di motori fondava la FIAT nella sua officina. Un appassionato di musica troppo stonato per cantare creava una casa discografica e la chiamava “Virgin Records”. Un appassionato di cartoni animati fondava la Disney.
Ai nostri giorni non funziona più così. Non è più un appassionato di musica a decidere di mettere assieme un’etichetta discografica ma se ne occupa un amministratore delegato laureato ad Harvard, che l’anno scorso era a capo di una multinazionale di saponette e l’anno prossimo sarà il CEO di un’azienda telefonica. Lo stesso si può dire per le Major che producono i film di Hollywood (cioè quelli che proietteranno nei nostri cinema e sulle nostre televisioni).
È un meccanismo che spiega tante cose.
La musica ha attraversato gli straordinari anni sessanta e i grandi anni settanta, per poi arenarsi quando la sua distribuzione è diventato mercato per le Multinazionali. Lo stesso può dirsi del cinema, che è passato dai miti degli anni settanta alla foschia di oggi.
Perché? Perché la testa d’uovo che decide non si limita a “registrare” i movimenti artistici che nascono giù in città. No, per lui il pubblico è mercato, e le persone clienti. Esegue ricerche di mercato per scoprire quale musica vuole ascoltare il pubblico, inventa artisti e produttori per creare questa musica, radio per trasmetterla, riviste per parlarne e catene di negozi per venderli.
Quando i dischi non vendono, non gli viene il dubbio di avere sbagliato metodo. Al contrario, crea sistemi di protezione ai dischi (“non vendo perché mi piratano”, pensa); raddoppia i prezzi passando dal LP al CD, e sogna rifarlo inventando un nuovo formato DVD-audio che non una persona all’universo vuole comprare; acquista le stazioni radio e non trasmette altro che i suoi dischi; crea catene di negozi che vendono i suoi dischi; insomma ricorre a tutta l’arroganza del Monopolio.

La stessa sorte è toccata alla settima musa, l’Arte delCinema, che non è più neppure Artigianato ma l’Industria del Cinema. La testa d’uovo indaga quale film possa piacere al “mercato”: il film non nasce più dalla fantasia di uno scrittore, uno sceneggiatore o un regista, ma viene modellato da stampi predefiniti a misura delle indagini di mercato.
C’è spazio solo per tre o quattro modelli prefabbricati a cui adattare la forma del nuovo prodotto e lo sprazzo di fantasia è concesso solo ai primi venti minuti del film.

Sceneggiatura: ho un film su una ragazza madre che fa la lap dance in un night club. Bello spunto, è interessante scavare nelle motivazioni di una ragazza che per sbarcare il lunario balla nuda, e sbirciare la sua vera vita dietro alle apparenze. Macché, cosa avete capito: la ballerina assiste ad un omicidio e l’assassino cercherà di farla fuori, i poliziotti non le danno retta tranne uno a cui a un certo punto tolgono il distintivo. Arrivano nell’ordine: il finale d’azione, il colpo di scena, e il tutti felici appena prima dei titoli di coda.
Sceneggiatura tipo B: è il film sulla mafia italo americana con De Niro o Al Pacino o Joe Pesci.
Tipo C, il complotto politico ai danni (oppure ad opera) del presidente degli Stati Uniti (con Gene Hackman, che fa il Presidente o il Cattivo o il Presidente cattivo).
Tipo D: i due professionisti di New York oppure (in alternativa) di Los Angeles (a NYC lui è George Clooney, ad LA è Richard Gere) che si odiano ma poi si innamorano, poi succede una cosa che lei lo odia, allora lui le fa un “discorso” in pubblico sui buoni sentimenti allora si amano.
Il tipo E , molto in voga fra i teen: c’è un cacciatore di vampiri, oppure un cacciatore di lupi mannari, oppure un cacciatori di alieni, oppure un cacciatore di giapponesi, oppure un cacciatore di terroristi, oppure un cacciatore di nazisti (o se proprio siamo alla frutta un cacciatore di uno psicopatico che prima di uccidere gli telefona per dargli un indizio e poi alla fine vuole uccidere sua moglie che è rimasta in casa da sola) che si sparano e si tagliuzzano per tutto il film fino alla scena finale con il colpo di scena (il cattivo non era morto morto, si rialza ma comunque poi lo ammazzano meglio).

Schemi di film che non mettono a disagio lo spettatore che va al cinema al sabato sera, con parti che non solo ha già visto ma, per maggiore sicurezza, sono recitate anche dagli stessi attori. Così siamo sicuri che anche il pubblico più ritardato capisca.

Non c’è spazio per il cinema alternativo. Se per errore riesce a intrufolarsi con successo un film “diverso” gli si crea un sequel che riprenda le regole d’oro.

E il Cinema Italiano? Ancora più semplice, gli schemi si riducono a due o tre: il format con gli interpreti isterici, già girato per la tv; il film dell’agenzia di viaggi per le vacanze estive ed invernali; la pubblicità del mulino bianco, tagliata a filo per la nomination.

Se c’è “crisi” si lasciano chiudere i cinema indipendenti e si aprono multisala all’interno di centri commerciali, e non si proietta altro: prendere o lasciare.
Stessa logica per la pubblicazione dei DVD: se vuoi vedere “Venga a prendere il caffè da noi” con Tognazzi ti attacchi al tram, però c’è Die Hard da I a IX in omaggio con il videoregistratore.
I film sono già girati anche per essere venduti alle TV, sono sicuro che seguano tempi preconfezionati studiati per gli spazi pubblicitari. Anche per la pubblicità non c’è problema, le riviste di cinema appartengono al distributore, e quotidiani e telegiornali non parleranno che del film (non si chiama barare ma pubblicità redazionale) e delle “polemiche” preconfezionate ad hoc dall’ufficio stampa.


1 commento:

Simone Cavatorta ha detto...

In generale sono d'accordo con te.
Malgrado tutto, però, uno 0,1% di cinema non omologato c'è ancora. Mi vengono in mente i f.lli Coen, Tarantino, Clint Eastwood, lo stesso Woody Allen.
Pure da noi qualcosina si salva, a me per esempio piacciono Sorrentino, Garrone e Zanasi.
Certo, l'età d'oro del cinema americano, quella dei Welles, Ford, Wylder e compagnia bella è finita e non tornerà più, così come quella dei Fellini e Visconti da noi, ma quello è stato il Rinascimento del cinema (come diceva Welles), un'epoca in cui si sono verificate tante circostanze positive e irripetibili, un po' come per la musica nei '60 e '70. Dopo è cambiata l'industria, come hai detto tu, ma a volte mi chiedo anche se non ci sia stato un calo del talento.