venerdì 29 aprile 2016

Poker


In tutta la vita non sono mai stato un giocatore d’azzardo. Mi piace spendere i soldi, ma detesto buttarli, e a perderli non mi diverto per niente. Per capirci, l’unica città degli Stati Uniti che non mi piace è Las Vegas.
Ciò nonostante da ragazzi, nei film western ci affascinava il poker, con le sue regole ed i suoi meccanismi. Nei giorni dell’Università, io e un paio di amici facemmo conoscenza di un figlio di papà, un tipo strafottente e non troppo sveglio, con cui prendemmo l’abitudine di giocare un tavolo di poker settimanale. Era gradasso, impaziente ed arrogante, doti ideali per perdere soldi. Era divertente passare una serata fra amici a giocare a carte alla buona, e alla fine avere tutti regolarmente in tasca qualche biglietto da 10.000 lire per bere alla sua salute.
Fino a che una sera portò un amico. Fummo troppo ingenui per realizzare che dilettanti come noi non avrebbero dovuto giocare a soldi con uno sconosciuto. O forse a vincere facile ci eravamo convinti di essere capaci. Quella sera, un poco alla volta, quasi senza che ce ne accorgessimo, ci trovammo tutti sotto, chi più, chi meno. Io ero un giocatore prudente, non volevo perdere troppo e tendevo ad uscire ogni volta che avevo in mano carte deboli, ma ciò nonostante a fine serata avevo perso 50.000 lire. Non era molto, ma abbastanza per sentirmi triste e incazzato al pensiero delle cose che avrei potuto comprare con i soldi perduti, per esempio dischi.
Poi qualche cosa successe.
Alla fine di quella serata tutta storta, a quella che si sarebbe rivelata la penultima mano mi trovai in mano un full. Mi riuscì di non cancellare dal viso l’espressione infelice, mi mossi bene, e fui aiutato dal fatto che almeno in due  si trovavano in mano carte buone. Con quell’unico giro mi ritrovai in tasca nuovamente tutti i biglietti perduti.
Finalmente mi rilassai e tornai a divertirmi, allegro e ciarliero. Che serata era stata, dopo tutto. Non vedevo l’ora che si dichiarasse chiusa, e mi ripromisi di non mettermi più in gioco fino alla fine - ma com’è noto, sarebbe stato scorretto chiamarsi fuori subito dopo un giro vincente.
La dea bendata aveva i suoi piani. Alla mano successiva mi trovai in mano un poker, forse, anzi di sicuro, l’unico della mia vita. Non potevo crederci, ed al tempo stesso ero un fascio di adrenalina. Mi impegnai a ricavare il massimo da quel gran colpo di fortuna. D’istinto, scelsi la strategia vincente: invece di cercare di simulare indifferenza, proseguii a recitare la parte del gradasso che avevo inaugurato dopo il full. Con mia sorpresa, tutti quanti senza eccezioni si mostravano convinti che stessi bluffando, ed in maniera maldestra anche. Sembravo proprio un principiante su di giri per aver vinto una mano. Io continuavo a rilanciare, ed in due, un amico e lo sconosciuto, accettarono il gioco, o per meglio dire mi misero in mezzo. Io rilanciavo, loro ricaricavano. Non potevo credere alla mia fortuna. Eravamo al di fuori di ogni nostra abitudine, le regole non dette e non stabilite che limitavano le puntate a valori compatibili con il nostro gioco. L’atmosfera era cambiata del tutto rispetto alle nostre solite partite.
In breve sul tavolo c’erano tutti i soldi dei nostri portafogli, e sono sicuro che se ne avessimo avuti altri avremmo messo anche quelli. L’adrenalina scorreva, e soprattutto pareva essersi formata una complicità generale per leggermi il bluff e vedermi scornato. Non mi venne da pensare neppure per un attimo che qualcuno potesse avere delle carte migliori delle mie. Solo non potevo credere che continuassero a ricaricare i miei rilanci.
Tutte le banconote di cui disponevamo erano sul tavolo; non ricordo quanto, ma erano decisamente più di quante ne avremmo mai giocate a mente lucida. Era il mio turno di mettere le carte sul tavolo, denunciando finalmente, secondo la certezza di tutti, il mio bluff.
Lo feci appoggiando le carte una per una, a formare un tris più la carta spaiata, come facevano nei film di cowboy da cui avevamo imparato il gioco. L’amico che aveva visto non riuscì a trattenersi dal calare d’un botto le sue, lasciandosi andare ad una gran risata liberatoria, convinto della vittoria del suo full sul mio tris. Lo sconosciuto aspettò di vedere, l’unico a mantenersi impassibile. Calai sul tavolo l’ultima carta assieme a tutta la mia adrenalina, infilandola tra le altre a completare il poker. Un’esplosione avrebbe fatto meno effetto; quel che accadde fu in effetti che saltò il tavolo dalla sorpresa. Lo sconosciuto infilò le sue carte nel mazzo. Non volle rivelare a nessun costo il suo gioco. Tutte le banconote sul tappeto erano le mie; le misi in fila, contandole e infilandole nel portafogli con teatralità, fra l’antipatia di tutti. Era un’atmosfera inusuale: io l’unico con l’umore alle stelle, gli altri infastiditi e scontrosi.
Fu una forte emozione, e una gran serata, ma non cercai mai di riviverla; da allora non giocai mai più alle carte per denaro, neanche una volta. Anche se credo di aver promesso la rivincita per la settimana successiva, nessuno del mio gruppo si presentò (e meno che mai io). La serata di poker era uscita dalle nostre abitudini.

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