domenica 7 marzo 2010

Alice

Il Paese delle Meraviglie (del film di Tim Burton) è bellissimo. Non la storia, ma le immagini. Già parte bene, ambientato in quell’Inghilterra Vittoriana che abbiamo imparato ad amare al cinema. Ma diventa addirittura straordinario dal momento della presentazione dell’adolescente bellezza di Alice, alla comparsa del bianconiglio, alla caduta nel buco fino alla famosa stanzetta della porticina, la chiave, la bottiglietta bevimi ed il dolcetto mangiami. E si trasforma in sinfonia all’ingresso nel Paese delle Meraviglie. Perché per me il segreto di Alice è tutto qui: il genio di Tim Burton che solletica i miei sensi mostrandomi come se sognassi ciò che ho sempre solo immaginato o vissuto in bozza nei disegni di Disney. Il paese delle Meraviglie è meraviglioso. La storia è nulla, i personaggi tutto: il Bianconiglio, lo Stregatto, il Brucaliffo, lo straripante Cappellaio Matto, la Regina Rossa, e persino l’airone rosa che fa da mazza da croquet ed il riccio che fa la palla.
La storia è stata riscritta e costituisce una sorta di ritorno a Wonderland di una Alice cresciuta, un po’ lo stesso espediente applicato anni fa ad un’altro eroe della nostra infanzia, il Peter Pan di Hook. Fino a che costituisce un espediente per giustificare il viaggio attraverso luoghi e personaggi la nuova storia funziona, poi si sviluppa banalizzando un po’ Alice attraverso lo specchio fino ad una battaglia alla Signore degli Anelli ed un deludente finale di Alice che si trasforma in astuta affarista e donna di mondo. Poco male: basta cancellare dalla mente gli ultimi minuti di film -- anche se fino alla fine contavo su Tim Burton per un colpo di scena che davo per certo ma che è mancato del tutto.

Quello che mi è mancato del cartone animato è il viaggio che Alice compiva, on the road nel Paese delle Meraviglie, e quella follia psichedelica proto-lisergica che pervadeva il film. Del libro di Lewis Carroll i giochi sulle parole e sulle poesie (anche se è splendida la poesia di parole inventate pronunciata dal Cappellaio Matto).
Del Tim Burton che mi aspettavo mi è mancata un po’ di malizia (malice) e la capacità di sorprendermi. Ma quello che ho avuto mi è bastato. Un bel sogno, ed una rapsodia per i miei occhi.

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