“in questi luoghi pieni di bellezza spirituale
chi ha fede prega
chi non ce l’ha contempla
chi è deficiente scrive il proprio nome” (*)
Premesso che se uno è un coglione in città lo è anche in montagna... e che scio da quando avevo 11 anni...
L’alpinista è silenzioso. Guarda la montagna senza parlare, e quando parla lo fa di argomenti tecnici: una vetta, una parete, un passaggio.
Andare per rifugi, ghiacciai, vette o anche sentieri ci trasporta in un altro “luogo” della nostra persona, e cancella, per il tempo che passiamo in quota, l’eco della nostra vita quotidiana. Credo che in questo stia il fascino della montagna e il benessere che ci dona.
Lo sciatore parla, in continuazione. Sghignazza, schiamazza, racconta a non finire di sè, sugli impianti di risalita e nelle baite, dei propri sci, della propria auto, del proprio lavoro.
Il fatto che la pista si trovi in montagna è incidentale, lo sciatore ci trasporta la propria vita, deturpando la montagna, perché cerca di renderla simile alla propria città, dai ristoranti dove mangia alle discoteche dove balla.
Ho visto paesi di montagna che potrebbero essere un quartiere di Milano, e tangenziali che proiettano dall'autostrada all'impianto di risalita.
Ho visto un posto allucinante: una baita lungo una pista da sci, con musica “disco” all’aperto e idioti che ballavano sui tavoli. Il gestore ha scritto: questo rifugio è come una film dei Vanzina. Verissimo: solo che lui non lo dice come una critica.
Purtroppo gli sciatori si fanno anche derubare volentieri, e per questo chi vive in montagna non ha difficoltà a vendere la propria identità e a rovinare il proprio ambiente.
Per carità, non c’è niente di male nello sciare, anzi, mia figlia si diverte come mi divertivo io. Però, il turista sciatore, che pena...