C’è. L’Isola che non c’è. Per esserci c’è. Solo che non è facile trovarla, neanche se si sa dov’è. Perché le coordinate puntano allo spazio e al tempo. Cioè, l’isola è in un certo posto, ma anche in un certo momento. Se arrivi al posto giusto ma nel momento sbagliato, non c’è niente da fare, l’isola non la trovi.
Lo so perché ci sono stato. All’Isola che non c’è.
Per esempio, tanti anni fa, con il primo amore. Io avevo appena finito il Corso Allievi Ufficiali medici di complemento a Costa San Giorgio a Firenze... (sembra assurdo, ma a ripensarci oggi persino il Corso AUC a Costa San Giorgio, sul Giardino dei Boboli e a 25 anni era l’Isola che non c’è).
Comunque non è quello che volevo raccontare: dicevo, ho appena finito i settanta giorni di Corso, è Natale e ho 15 giorni di licenza prima di prendere incarico come sottotenente medico nella mia caserma (che poi era il distretto militare a Pagano, Milano, negli anni ottanta: mica male). Ho questa nuova fidanzata, giovane e dolce, non sapevo ancora che sarebbe stata il Primo Amore, ed io la sto raggiungendo in auto per passare assieme i quindici giorni. È nevicato parecchio, c’è neve letteralmente dappertutto, ma ora il sole splende nell’aria frizzante del mattino; io oltrepasso questo piccole ponte innevato e di fronte a me appare questa casetta, un cagnetto nero che mi corre incontro (Lucky) e sugli scalini è seduta lei, sorridente, che mi aspetta.
Neanche Francis Ford Coppola l’ha mai girata una scena così.
Quella era l’Isola che non c’è. Ci sono tornato a quella casa, tante volte negli anni, ma l’isola non c’è più.
E ancora, sempre neve, una bufera di neve in autostrada e noi due che cerchiamo di arrivare a Milano. Per la neve esco a Casalpusterlengo (che il casello veramente è quasi a San Colombano) e, in mezzo a tutti questi fiocchi di neve che scendono fitti fitti dal cielo, per qualche motivo mi dirigo invece verso Pavia. Pavia sotto la neve, o nella nebbia, è molto romantica. Sia sul lungo Ticino, come nella darsena del Naviglio o nella piazza del centro dove è crollata la torre. E così, completamente di sorpresa, senza programmarlo, eccoci a rincorrerci infreddoliti nel centro imbiancato di Pavia, giovani e felici. Eravamo approdati all’Isola che non c’è.
Non che l’Isola si trovi solo con l’Amore. Ricordo che mi piaceva scoprire in bibicletta il basso lodigiano, lungo i suoi tanti corsi d’acqua, e c’erano volte in cui era davvero magico. Magico era stato scoprire Pizzighettone, lungo l’Adda, con i suoi ponti sul fiume, le cascate, le case matte, i lampioni del borgo vecchio, il villaggio operaio. Anche li avevo intercettato l’Isola.
(Anche la mia Carolina di cinque anni sa accompagnare all’Isola che non c’è, non c’è che da tenerla per mano).
Ma “spazio-tempo”: questa sera non ero ancora sazio dei chilometri macinati in questa giornata di sole sulla Guzzi Stelvio bianca (che infatti si chiama Bianca-Neve). Così all’ora del tramonto mi sono presentato, un po’ mogio, davanti al Ponte di Pizzighettone. Molto bello, come sempre, ma l’isola non c’era.