domenica 27 dicembre 2009

Santo Stefano


Il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, è terra di nessuno.
Ricordo più di un 26 dicembre di tanti anni fa, da solo in Guardia Medica in campagna per 21 ore consecutive. C'era la neve (un paesaggio di commovente bellezza, e più era bello più ti commuovevi a guardarlo da solo) e tutto il Natale era definitivamente finito. I negozi chiusi, i bar chiusi, i ristoranti chiusi. Rischiavi seriamente di restare a digiuno. Gli unici contatti con il genere umano: telefonate di persone che stavano male. Magari perché avevano fatto indigestione. (Triste).

Ricordo invece di una Guardia Medica nella notte di San Valentino. Da solo in pizzeria, fui invitato ad una tavolata di ragazze in festa. Che poi si rivelarono essere infermiere. Quella fu una guardia più divertente della media.

NB: la foto è autentica. Riuscite ad intravvedere il riflesso della targhetta da "medico in visita" sul parabrezza? Provate per un attimo a pensare ai medici di guardia come persone...

giovedì 24 dicembre 2009

snow


“Quella mattina lo svegliò il silenzio… aperse la finestra: la città non c’era più, era stata sostituita da un foglio bianco”. “Andò a lavorare a piedi; i tram erano fermi per la neve. Per strada, aprendosi lui stesso la sua pista, si sentì libero come non s’era mai sentito. Nelle vie cittadine ogni differenza tra marciapiedi e carreggiata era scomparsa, veicoli non ne potevano passare, e Marcovaldo, anche se affondava fino a mezza gamba ad ogni passo e si sentiva infiltrare la neve nelle calze, era diventato padrone di camminare in mezzo alla strada, di calpestare le aiuole, d’attraversare fuori delle linee prescritte, di avanzare a zig-zag. La città nascosta sotto quel mantello chissà se era sempre la stessa o se nella notte l’avevano cambiata con un’altra? Chissà se sotto quei monticelli bianchi c’erano ancora le pompe della benzina, le edicole, le fermate dei tram o se non c’erano che sacchi e sacchi di neve?” (da Marcovaldo, di Italo Calvino)

Venerdì è stata una bellissima nevicata. Una vera, grande nevicata è quanto di più efficace per riavvicinare l'uomo al suo vero io, almeno altrettanto quanto riesce a mettere in crisi la sghemba società industriale in cui ci siamo imprigionati.
Caso ha voluto che proprio la stessa sera in cui ha preso a nevicare anziché andare a dormire con le galline io avessi programmato di uscire con una rappresentanza degli amici che avevo da scapolo; il che mi ha permesso di assistere allo spettacolo incantato del paesaggio notturno imbiancato dalla neve mentre i fiocchi illuminati dalla luce dei lampioni cadevano larghi e fitti. Roba da voler camminare nella neve fino a rimanere intirizziti…
La mattina dopo in città bambini vestiti alla meglio da piccoli sciatori con l’abbigliamento dell’inverno precedente, accompagnati soprattutto dai papà - a casa dal lavoro perché era sabato - sciamavano sulla coltre bianca verso una discesa dietro il Pubblico Passeggio, improvvisata e gratuita pista dove slittini di ogni forma e colore, dalla padella al bob olimpionico, disegnavano le tracce delle discese.
I papà si presentavano e chiacchieravano, i bambini si sfidavano, qualcuno rotolava, faceva a pallate o provava ad organizzare un uomo di neve.
Niente televisione, niente videogames, niente abbonamenti per impianti di risalita, niente centri commerciali, niente marketing. Nessuno vendeva e nessuno comprava. Solo un po' di neve, sole, freddo, discese, capitomboli, sorrisi e piccole grida.
Più tardi, a chi tiene accesa la tv, i tg avrebbero raccontato con voce affranta di un’emergenza gelo, un’emergenza neve, un’emergenza ferrovie (dimenticandosi comunque dell’emergenza mal governo). A me invece la neve piace ancora.

sabato 19 dicembre 2009

uno e Trino


Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
Di tutti i Libri sui Misteri della Creazione il più esauriente e convincente che ho trovato a tutt'oggi è Trino di un giovane Carlo Giulio Altan, 270 tavole di cui avevo una lontana memoria su Linus e che ho ritrovato oggi, forse non a caso, alla vigilia del Santo Natale, ristampato da Gallucci Editore .
Trino, Dio unico e tre (anche se questo fatto tende a confonderlo un po') ha la barba candida, un triangolo sulla testa e un orologio al polso. Ha carta bianca per creare il Mondo e la Vita che poi dovrà amministrare. Quello che finalmente scopriamo è che la Creazione gli è stata commissionata e che ha sei giorni per portarla a termine. Il settimo giorno si riposerà (era stato tentato in un primo momento a fermarsi di giovedì, ma poi ha pensato che non voleva lavorare la domenica).

Non avendo direttive specifiche all'inizio Trino è un po' confuso, senza piano e strategia, e si concentra soprattutto sui pesci. Si intoppa un po' sul granchio, che viene brutto ma insomma, meglio non gli viene, prenderlo così o non se ne fa nulla. Poi diventa sempre più esperto e arrivano la pecora, l'oca, il leopardo, il tacchino, tutte creazioni sempre più efficienti e pratiche (servono a dare la lana, il paté, la pelliccia e l'ultimo va a ruba a Natale, anche se per il resto dell'anno resta fermo in magazzino). Anche se la sua ambizione sarebbe di creare qualcosa a sua immagine e somiglianza…

sabato 12 dicembre 2009

in concerto


Stento a togliere Soft Machine Fourth dallo stereo dell'auto mentre imbocco l'autostrada A21 per raggiungere l'appuntamento con il concerto di Peter Hamill di questa sera. Elton Dean, Hugh Hopper, Mike Ratledge e Robert Wyatt ci stanno dando dentro ed è un peccato interromperli. Ma devo ripassare: non mi sento abbastanza preparato e mi sono registrato un CD con i pezzi che Peter Hammill ha suonato un paio di sera fa a Roma secondo la scaletta gentilmente inviatami dall'ottimo Simone Cavatorta.
Mi sento un po' stanco: ieri sera ho assistito al concerto di un buon gruppo amatoriale di Lodi, che si è esibito in un locale credo dell'Alabama con chili obbligatorio (nel senso che per vederli bisognava mangiare…), e alla mia età i tempi di recupero cominciano ad essere lunghetti. Per fortuna non ho bevuto molto a causa della inquietante presenza di un paio di carabinieri di ronda che si annoiavano facendo avanti ed indietro lungo una deserta statale padana, e non avrei voluto far loro da diversivo. Si sa che in questo folle mondo fuori controllo bere due bicchieri è ormai omologato allo stupro. La band era quella dei Big Sur, bravi a eseguire cover di una lontana west coast anche se con un repertorio poco coraggioso (con un chitarrista solista così dovrebbero suonare i Grateful Dead non gli Eagles). E poi ieri sera erano orfani della cantante Elisa, il che rendeva lo show un po' come ascoltare i Big Brothers senza Janis Joplin…
Questa sera sono diretto a Seriate, nome che mi incute un po' di timore. L'atavico timore di essere assalito dagli Unni all'autogrill. Ed in effetti a quest'ora della sera la periferia moderna attorno al teatro Gavazzeni ha affinità con quella in viveva l'Alex di Arancia Meccanica.
Ma nel teatro è un'altra musica. Arrivo con molto anticipo perché non ho il biglietto (come se si fosse mai sentito un sold out di Peter Hammill). Il pubblico è per la gran parte composto di pacifici ragazzi degli anni sessanta (e cinquanta). Ce n'è uno in tenuta da bancario, non avrà avuto il tempo di passare a casa a cambiarsi. Due cinquantenni eleganti si sono ritrovati qui per una botta di vita: uno ha visto altre volte Hammill in concerto, il suo amico ha invece un vago ricordo dei vinili dei Van Der Graaf. Qualcuno è l'attuale evoluzione di un liceale in eskimo degli anni settanta, con i capelli brizzolati ancora più sul lungo che corto. Bellissime le loro compagne, ancora le stesse dell'epoca, con i capelli argentati e la borsa indiana. Mi sento a mio agio. C'è anche qualche rocker un po' più giovane con maglietta con le scritte e capelli raccolti in coda di cavallo. Qualcuno ha portato la fidanzata giovane e la rassicura: "ma che musica fa?" "vedrai, ti piacerà". Di fianco a me qualche cosa di affine ad una giornalista è molto profumata, ma non è patchouli. Errore. Qualcuno si è dato appuntamento da mezza Italia e si abbraccia commosso. Io sono solo perché il mio socio Camillo mi ha dato buca all'ultima momento. Ma lui non ha dischi di Peter Hammill in casa.
Si intuisce che dietro alle apparenze siamo tutti emozionati. Sappiamo che stiamo per assistere ad un rito, non fosse che per l'importanza che ha avuto la voce di Peter Hammill nella nostra vita. E non sono pochi ad essere convinti che PH sia uno dei geni della musica del nostro secolo.
Negli ultimi minuti non si parla più, siamo tutti seduti in silenzio sulle nostre poltroncine di velluto rosso ad aspettare che lo sciamano arrivi. Sul palco una luce bianca illumina un pianoforte a coda, una chitarra acustica ed un leggio.
Quando entra, all'improvviso, ha davvero qualche cosa di non terreno, Peter, sottile, leggero, in abito di lino azzurro, con un sorriso gentile ed una chioma candida. Ma il concerto lo racconto altrove.

martedì 8 dicembre 2009

Ikea istruzioni per l'uso


Una esperienza personale.

step 1: viaggio in A1 sotto la pioggia. Fra camion che si sorpassano e BMW con dispensa di superare i 180 km/h, che Super Mario Kart al confronto è roba da pensionati.

step 2: parcheggio. Imprecazioni blasfeme.

step 3: identificazione del nome del mobile da assemblare.

step 4: ricerca nel magazzino dell’imballaggio che porti il suddetto nome. Il comodo display touch screen segnala il punto preciso dove trovare il pezzo. Nel mio caso il responso è: "chiedere al personale".

Sullo scaffale è appiccicato un avviso: "Attenzione, pezzo pesante. Non esitare a chiedere aiuto al personale".
Detto e fatto: "Scusi, devo caricare questo pezzo"
Risposta: "Faccia pure"

step 5: comoda cassa rapida self service. Responso: "attendere l'assistenza dell’addetto (idiota!)"

step 6: cercare di caricare da solo un pezzo lunghezza TIR su una berlina di classe B. Il simpatico carrello si rifiuta di collaborare allontanandosi sulle sue rotelle. Non c'è modo di bloccarlo neanche con le minacce. La zeppa in legno non è prevista dal catalogo Ikea.

step 7: Super Mario Kart II il ritorno.

step 8: scaricare. Come il punto 5, ma non c'è più il simpatico carrello su cui caricare il pesantissimo imballaggio.

step 9: aprirsi una birra dopo aver consegnato il tutto a domicilio? Macché. Il bello arriva adesso: il montaggio.

step 10: ora del film in prima visione su Sky. Interrompere l'inconsapevole vicino di casa (già in pantofole in procinto di gustarsi la suddetta birra) per chiedere il suo aiuto.

step 11. Notte inoltrata. Rimirare la propria creazione con lo stesso orgoglio con cui Michelangelo ha osservato il David dopo l’ultimo colpo di scalpello.

step 12: i feltrini! Ricordarsi dei feltrini subito dopo aver messo in posizione la scultura, pardon, il mobile. Che pesa come la scultura.
Sono soddisfazioni. Quella atavica scarica di testosterone del maschio che provvede a costruire con le proprie mani la casa della propria famiglia. Probabilmente la stessa che prova anche il passero appena terminato il nido.

step 13: ll giorno dopo. Colpo della strega. Applicare cerotto anti-infiammatorio.


martedì 1 dicembre 2009

fumetti


A sei anni, in occasione della promozione della prima elementare, ebbi in regalo l'abbonamento a Topolino. Sto parlando del Topolino degli anni sessanta, secondo solo a quello dei decenni precedenti. Fu un regalo azzeccatissimo: ho il ricordo di un me piccolo (e bello) seduto su un gradino a leggere queste incredibili storie mentre gli altri bambini perdevano tempo a cercare di colpire con un pallone la porta di un garage.
Amavo le indagini di Topolino, soprattutto quelle un po' dark in cui assieme al suo tonto partner Pippo e al posto dell'inefficiente commissario Basettoni dava la caccia al genio criminale un po' paranormale di Macchia Nera. Oppure le incredibili traversie di un Paperino inviato dal taccagno zio ai quattro angoli del mondo, dal Tibet alle Isole del Capo Verde, e da cui ne ritornava solo grazie alla collaborazione di Qui Quo Qua. Ma i miei personaggi preferiti erano, già allora, gli outsider: lo stonato Paperoga che nel backstage si faceva le canne prima di andare in scena; Nonna Papera e Ciccio che, come scrisse un altro nato nel 57, Claudio Bisio, nel suo trattato Quella Vacca di Nonna Papera, era certamente affetto da cretinismo delle valli; Dinamite Bla, precursore di Un Tranquillo Week-end di Paura; e un incontenibile Sherlock Bondes, (Paper Bond, ndr), un'oca sicuramente interpretata da Peter Sellers, che non si ricorda più nessuno, ma proprio nessuno. Non è che me la sono immaginata dopo aver letto una storia di Paperoga?
Amelia la strega che ammalia, che viveva proprio sul Vesuvio; Maga Magò, Brigitta, Filo Sganga; Paperetta Yè Yè ovvero il 68 che arriva anche a Topolinia; Gastone... Gastone no, non lo potevo soffrire.
A Topolino si affiancò presto nelle mie letture Il Corriere dei Piccoli, una testata storica dei fumetti nata come foglio del Corriere della Sera per i piccoli lettori, ma alla fine degli anni sessanta ancora più storica, perché pubblicava le firme più prestigiose dei fumetti belgi e francesi, vale a dire la migliore scuola di fumetti di tutti i tempi: Lucky Luke, i Puffi (che erano altra cosa dai Puffi della TV, anche dal punto di vista linguistico), Gaston Lagaffe (cosa darei per leggere oggi una storia di Gaston!), Ric Roland, Luc Orient e i suoi incredibili alieni, Michel Vaillant e le straordinarie storie di automobili da corsa (indimenticabile la fiction della 24 ore di Le Mans), Dan Cooper, Bruno Brazil... e naturalmente gli italiani come Hugo Pratt (Corto Maltese), Jacovitti (Cocco Bill e Zorry Kid), Valentina Mela Verde, il cui fratello aveva un Moto Guzzi Dingo Cross come avrei avuto io.

(Fra i fumetti minori, che si compravano d'estate in buste economiche, qualcuno si ricorda di Nonna Abelarda, Tiramolla e Geppo il povero diavolo?)

Il fumetto del "periodo di mezzo", cioè all'epoca della scuola media, fu Alan Ford. C'erano anche i supereroi Marvel: i fantastici quattro, l'uomo ragno e daredevil, ma non mi dicevano molto. Nulla di più di Superman e Batman, che avevo sempre letto solo di sfuggita, magari dal barbiere. Alan Ford non fu un successo istantaneo, dei primi numeri si seppe solo con la forza del passa-parola, fino a diventare alla fine un fenomeno di costume.
Alan Ford era qualche cosa di radicalmente nuovo. Oggi può sembrare ingenuo, ma allora l'atteggiamento politicamente non corretto della rivista, che dipingeva persone straccione e profondamente disoneste (un'immagine fedele dell'Italia), l'umorismo leggero e non calcato, e l'avventura di squadra (del gruppo TNT) erano qualche cosa di non visto prima. E poi chi non si ricorda di Superciuck?

Avvicinandomi ai 14 anni la mia epoca dei fumetti stava per concludersi, anche se mi aspettava ancora un passo importante nella formazione dell'ometto che sarei diventato. Una rivista a fumetti tutta diversa da quelle che avevo letto sino ad allora, qualche cosa che non solo non ti vergognavi di acquistare ma anzi esibivi come dimostrazione di appartenenza ad un certo gruppo culturale. Sto parlando di Linus, la straordinaria rivista diretta da OdB che era antologia di tutto un underground americano a noi inedito, come l'incredibile Lil' Abner o il caustico Doonesbury, e di fumetti "adulti" europei come quelli di Andrea Pazienza ma soprattutto Valentina di Guido Crepax.
Valentina aggiungeva alle pagine dei fumetti un ingrediente a me del tutto nuovo: l'erotismo, che fino ad allora avevo vissuto solo inconsapevolemte (ma con emozione) nelle pubblicità Polistil di Paola Pitagora in hot-pants (con le lunghe gambe avvolte in calze di lana colorata) sulla quarta di copertina di Topolino.
Valentina ed il suo erotismo ci facevano sentire vergini di fronte ad un mondo ricco di promesse che si apriva davanti a noi. Di Valentina siamo stati un po' tutti fidanzati e non credo che nessun autore abbia mai saputo disegnare l'eros in modo altrettanto efficace. Da Valentina ai primi numeri di Playboy il passo fu breve, ma sufficiente ad archiviare il periodo dei fumetti nella mia vita.
Peccato davvero non averli conservati. Perché in mezzo a tanta spazzatura non ristampano quei ricordi come strenna natalizia?

lunedì 30 novembre 2009

il padrino


Dice che a parlare della Mafia si fa fare brutta figura all'Italia. La mafia non è un problema, ma lo è chi ne parla. Allo stesso modo si svilisce la figura di una nazione criticando il suo leader. Il problema non è quello che fa, ma che lo si vada a raccontare in giro.

Mi adeguo: la Mafia non esiste. È una invenzione della fiction.
Io nulla vidi. Non c'ero, e se c'ero dormivo.
Sono o non sono un patriota?

venerdì 27 novembre 2009

lo sceicco del Dubai


Il funzionamento dell'economia è molto al di la della mia comprensione. Mi dicono che a Dubai sono così ricchi che hanno costruito l'albergo più bello del pianeta, il grattacielo più alto della galassia, l'aeroporto più fico dell'universo. Hanno costruito una spiaggia sintetica con la pista da sci.
"Li vuoi vedere?" No, grazie, non mi interessano affatto, sono un ragazzo dai gusti semplici, io.
Poi mi dicono che adesso non hanno i soldi per pagarli. Bene, penso io, così la prossima volta ci stanno più attenti.
"No guarda, quello che non hai capito è che l'intera economia mondiale può collassare perché loro hanno finito i soldi costruendo i garage".

Fatemi capire: pago io i debiti di Dubai?
Se io avessi acquistato una Porsche Carrera e non avessi i soldi per pagare le rate, ci penserebbe il Dubai? No, perché a Dubai la mia banca, proprio la mia, ha prestato i soldi, mentre a me se ne guarderebbe bene.
È questa l'economia globale? È questo di cui discutono ai G8?

martedì 24 novembre 2009

blogger


Perché una persona normale dedica quotidianamente con entusiasmo il suo tempo ad aggiornare una mezza dozzina di blog senza guadagnarci un soldo?

(a) perché non è poi così normale

(b) perché ama scrivere

(c) per trovare sfogo da una grigia quotidianità che non lo realizza

(d) per comunicare con persone intellettualmente più vivaci della media

(e) perché coltiva la segreta speranza di accumulare abbastanza materiale da cui trarre un giorno il suo "libro" che lascerà una piccola traccia del suo passaggio nell'umanità

(f) tutte le precedenti

mercoledì 18 novembre 2009

ellissi


Gli antichi romani costruirono una quantità di strade che correvano in linea retta dalla città di partenza a quella di arrivo. Tracciate con la riga. Sono la via Appia, la via Flaminia, la via Aurelia, la via Cassia, e tante altre fino, naturalmente, alla via Emilia. Queste strade si sono conservate rettilinee per più di duemila anni. Attraversavano e lambivano campi, paesi, fiumi, case, osterie. Gente.
Almeno fino ad oggi, quando i tecnici dell’Anas hanno cominciato a detestare le linee rette, e a curvarle nella ellittica forma di una fionda che conduca il viaggiatore (cioè l’automobilista, ché altro viaggiatore non è previsto) verso l’autostrada, la tangenziale, la metropoli, la zona residenziale, al massimo il centro commerciale.
C’è stato un tempo in cui partendo da Piacenza si arrivava in linea retta a Parma, e da lì, sempre per linea retta, a Reggio, Modena, Bologna fino a Rimini e il Mar Adriatico. Oggi all’altezza di Fidenza una ellissi circondata da un guard-rail ti fionda dolcemente ma inesorabilmente e senza appello su una tangenziale, che ti conduce comodamente e gentilmente all’autostrada A1.

«Mi scusi, signora tangenziale, c’è un errore»
«Perché, dove sta andando?»
«Ma, non so, a Parma?»
«Dunque io la porto alla A1, l’autostrada del Sole»
«No grazie, vorrei fare la via Emilia»
«Perché? È matto forse? Piuttosto prenda almeno una tangenziale».

Questa più o meno è la filosofia delle strade di oggi: rotte aeree sradicate dal territorio, che ti portano da una città all’altra sorvolando inutili e antiquate «fly-over zone», regioni senza un perché. In città si lavora, in provincia ci sono i quartieri residenziali, tutto il resto serve per trasferirsi, naturalmente con l’auto.

giovedì 12 novembre 2009

cinema #3 : i preferiti


ho provato a mettere “nero su bianco” i miei film preferiti. Un’impresa impossibile, anche perché molti film “preferiti” sono film minori da vedere magari una volta sola, ma gustosissimi, come può esserlo un film con Walter Matthau o Jean Paul Belmondo.
Inoltre me ne sono probabilmente dimenticati una quantità: non sono nemmeno riuscito a creare un minimo di ordine nella lista, che fosse diverso da quello in cui mi sono venuti in mente...
Significativi, invece, il primo e l’ultimo, che sono il primo e l’ultimo capolavoro che ho visto in ordine cronologico, entrambi del mio regista preferito a 18 anni come a 49: Stanley Kubrick.

PS: aggiungete i vostri titoli nei commenti...

Stanley Kubrick: Arancia Meccanica

Billy Wilder: A qualcuno piace caldo
Jack Nicolson: L'ultima corvè
Martin Scorsese: Taxi Driver
Cher: Stregata dalla luna
Harvey Keitel: Smoke
Jim Jarmusch: Dead Man
Quantin Tarantino: Pulp Fiction
Neil Jordan: In compagnia dei lupi, La moglie del soldato
Ridley Scott: Alien, Blade Runner
Ermanno Olmi: L'albero degli zoccoli
Gabriele Salvatores: Marrakech Express, Mediterraneo
Bill Murray: Ricomincio da capo
John Landis, John Belushi: Animal House, Blues Brothers
Woody Allen: Manhattan, Hannah e le sue sorelle (e tutti gli altri)
Jean-Pierre Jeunet: Il favoloso mondo di Amelie
Nicole Kidman: The Others
John Carpenter: La cosa
Cochi Ponzoni, Aldo Maccione: Travolti da cocente destino
Fellini: Amarcord
Pasolini: Il fiore delle mille e una notte
Fernandel, Gino Cervi: Don Camillo
Bertolucci, Marlon Brando, Maria Schneider: Ultimo tango a Parigi
John Milius: Conan il barbaro
Ugo Tognazzi: Romanzo popolare, Amici miei, Venga a prendere il caffè da noi
Claude Lelouch: Un uomo una donna
Spielberg: Lo squalo
David Lynch: Velluto blu
Ingrid Bergman: Il settimo sigillo
Roman Polanski: Per favore, non mordermi sul collo
Dustin Hoffman: Il laureato
Fratelli Coehn: Il Grande Lebowsky, Fratello dove sei (e tutti gli altri)
Clint Eastwood: i Dirty Harry, Un mondo perfetto
Kevin Costner: Fandango
Wim Wenders: Paris Texas
Walter Matthau: È ricca, la sposo, l'ammazzo; Chi ucciderà Charley Varrick
Francis Ford Coppola: Peggy Sue si è sposata
Spike Lee: The Original Kings Of Comedy
i film con Walter Matthau, con Elliot Gould...
i film con Gérard Depardieu, Jean Paul Belmondo, Jean Gabin...
The Rocky Horror Picture Show
Aldo Giovanni e Giacomo: Chiedimi se sono felice

(Un pesce di nome Wanda, Ritorno al futuro, Guerre Stellari, I predatori dell'arca perduta, La febbre del sabato sera...
tutti i film degli anni settanta...
i primissimi film di Renato Pozzetto)

Stanley Kubrick: Eyes Wide Shut

giovedì 5 novembre 2009

Hollywood


Una volta un appassionato di motori fondava la FIAT nella sua officina. Un appassionato di musica troppo stonato per cantare creava una casa discografica e la chiamava “Virgin Records”. Un appassionato di cartoni animati fondava la Disney.
Ai nostri giorni non funziona più così. Non è più un appassionato di musica a decidere di mettere assieme un’etichetta discografica ma se ne occupa un amministratore delegato laureato ad Harvard, che l’anno scorso era a capo di una multinazionale di saponette e l’anno prossimo sarà il CEO di un’azienda telefonica. Lo stesso si può dire per le Major che producono i film di Hollywood (cioè quelli che proietteranno nei nostri cinema e sulle nostre televisioni).
È un meccanismo che spiega tante cose.
La musica ha attraversato gli straordinari anni sessanta e i grandi anni settanta, per poi arenarsi quando la sua distribuzione è diventato mercato per le Multinazionali. Lo stesso può dirsi del cinema, che è passato dai miti degli anni settanta alla foschia di oggi.
Perché? Perché la testa d’uovo che decide non si limita a “registrare” i movimenti artistici che nascono giù in città. No, per lui il pubblico è mercato, e le persone clienti. Esegue ricerche di mercato per scoprire quale musica vuole ascoltare il pubblico, inventa artisti e produttori per creare questa musica, radio per trasmetterla, riviste per parlarne e catene di negozi per venderli.
Quando i dischi non vendono, non gli viene il dubbio di avere sbagliato metodo. Al contrario, crea sistemi di protezione ai dischi (“non vendo perché mi piratano”, pensa); raddoppia i prezzi passando dal LP al CD, e sogna rifarlo inventando un nuovo formato DVD-audio che non una persona all’universo vuole comprare; acquista le stazioni radio e non trasmette altro che i suoi dischi; crea catene di negozi che vendono i suoi dischi; insomma ricorre a tutta l’arroganza del Monopolio.

La stessa sorte è toccata alla settima musa, l’Arte delCinema, che non è più neppure Artigianato ma l’Industria del Cinema. La testa d’uovo indaga quale film possa piacere al “mercato”: il film non nasce più dalla fantasia di uno scrittore, uno sceneggiatore o un regista, ma viene modellato da stampi predefiniti a misura delle indagini di mercato.
C’è spazio solo per tre o quattro modelli prefabbricati a cui adattare la forma del nuovo prodotto e lo sprazzo di fantasia è concesso solo ai primi venti minuti del film.

Sceneggiatura: ho un film su una ragazza madre che fa la lap dance in un night club. Bello spunto, è interessante scavare nelle motivazioni di una ragazza che per sbarcare il lunario balla nuda, e sbirciare la sua vera vita dietro alle apparenze. Macché, cosa avete capito: la ballerina assiste ad un omicidio e l’assassino cercherà di farla fuori, i poliziotti non le danno retta tranne uno a cui a un certo punto tolgono il distintivo. Arrivano nell’ordine: il finale d’azione, il colpo di scena, e il tutti felici appena prima dei titoli di coda.
Sceneggiatura tipo B: è il film sulla mafia italo americana con De Niro o Al Pacino o Joe Pesci.
Tipo C, il complotto politico ai danni (oppure ad opera) del presidente degli Stati Uniti (con Gene Hackman, che fa il Presidente o il Cattivo o il Presidente cattivo).
Tipo D: i due professionisti di New York oppure (in alternativa) di Los Angeles (a NYC lui è George Clooney, ad LA è Richard Gere) che si odiano ma poi si innamorano, poi succede una cosa che lei lo odia, allora lui le fa un “discorso” in pubblico sui buoni sentimenti allora si amano.
Il tipo E , molto in voga fra i teen: c’è un cacciatore di vampiri, oppure un cacciatore di lupi mannari, oppure un cacciatori di alieni, oppure un cacciatore di giapponesi, oppure un cacciatore di terroristi, oppure un cacciatore di nazisti (o se proprio siamo alla frutta un cacciatore di uno psicopatico che prima di uccidere gli telefona per dargli un indizio e poi alla fine vuole uccidere sua moglie che è rimasta in casa da sola) che si sparano e si tagliuzzano per tutto il film fino alla scena finale con il colpo di scena (il cattivo non era morto morto, si rialza ma comunque poi lo ammazzano meglio).

Schemi di film che non mettono a disagio lo spettatore che va al cinema al sabato sera, con parti che non solo ha già visto ma, per maggiore sicurezza, sono recitate anche dagli stessi attori. Così siamo sicuri che anche il pubblico più ritardato capisca.

Non c’è spazio per il cinema alternativo. Se per errore riesce a intrufolarsi con successo un film “diverso” gli si crea un sequel che riprenda le regole d’oro.

E il Cinema Italiano? Ancora più semplice, gli schemi si riducono a due o tre: il format con gli interpreti isterici, già girato per la tv; il film dell’agenzia di viaggi per le vacanze estive ed invernali; la pubblicità del mulino bianco, tagliata a filo per la nomination.

Se c’è “crisi” si lasciano chiudere i cinema indipendenti e si aprono multisala all’interno di centri commerciali, e non si proietta altro: prendere o lasciare.
Stessa logica per la pubblicazione dei DVD: se vuoi vedere “Venga a prendere il caffè da noi” con Tognazzi ti attacchi al tram, però c’è Die Hard da I a IX in omaggio con il videoregistratore.
I film sono già girati anche per essere venduti alle TV, sono sicuro che seguano tempi preconfezionati studiati per gli spazi pubblicitari. Anche per la pubblicità non c’è problema, le riviste di cinema appartengono al distributore, e quotidiani e telegiornali non parleranno che del film (non si chiama barare ma pubblicità redazionale) e delle “polemiche” preconfezionate ad hoc dall’ufficio stampa.


venerdì 30 ottobre 2009

il giorno dei morti



Il giorno dei morti ci si mette il cappotto, perché l'aria si è fatta fredda ed è arrivata la nebbia. Il giorno dei morti si guardano sulle tombe quelle foto tonde con piccoli volti in bianco e nero di un tempo che non c'è più, che sorridono lontani perché a loro niente importa più. E quando esci dal cimitero non vedi i campi perché la bruma copre anche il sole.
Mia nonna che leggeva il quotidiano solo se lo teneva disteso sul tavolo del pranzo; e leggeva praticamente solo la pagina dei morti come se fosse stata facebook per vedere se ci fosse qualcuno che conosceva. E io che me ne ridevo, perché avevo sei anni.
Reif che con i suoi occhi innocenti correva a rincorrere qualsiasi cosa gli lanciassi, completamente felice solo perché io ero li.
E il mio cappottino, che sentivo pesante perché era il primo giorno che lo mettevo.

giovedì 29 ottobre 2009

anta ++


Ci sono due date in cui non trovo molto da festeggiare: il 31 dicembre ed il compleanno. Però se le ignori del tutto poi ci resti male...

lunedì 26 ottobre 2009

NO, WE CAN'T


Chissà perché, il mio inguaribile ottimismo mi aveva spinto ancora una volta a credere che una scintilla avrebbe potuto innescare anche da noi la Rivoluzione Liberale, e che anche gli itagliani potessero cambiare. Invece niente: il Popolo di santi poeti & navigatori non si smentisce mai. Adesso da una parte abbiamo la Macchina del Potere Economico degli Amici, dall'altra quella delle Cooperative Rosse. Entrambe pronte a schiacciare ogni dissenso. Da nessuna parte spazio per il Common Man.

E dire che paradossalmente con il suo piccolo 15% Ignazio Marino sarebbe stato l'unico potenzialmente in grado di competere con PDL + Lega alle elezioni politiche. Bersanetor è l'uomo del Partito, il successore di naturale di Occhetto e d'Alema. A perdere le elezioni.

domenica 25 ottobre 2009

Basta che funzioni


Non so se chi scrive le recensioni per i film lo faccia ancora per passione o se sia solo un impiegato mercenario. Non so neppure se il film, di cui avevo letto bene, sia davvero noioso o se così mi sia parso perché Woody Allen l'ho visto troppo e l'ho amato troppo per apprezzarne questa continua ricapitolazione.
Perché Basta che Funzioni non è un film di Woody Allen, ma un film su Woody Allen. C'è anche un attore che non è lui ma che recita la sua parte, e per la sceneggiatura hanno preso tutte le sceneggiature dei film precedenti, li hanno messi in un tritadocumenti e hanno incollato quello che è venuto fuori. Ci sono le scene dei vecchi film recitate da questo finto Woody Allen, ma proprio le stesse: per esempio quella dove si sveglia urlando di notte perché ha paura di morire è identica a… era Hannah e le sue sorelle?.

Ma forse non è neanche questo: forse è che quell'insopportabile vecchio finto Woody Allen, un mostro di antipatia, non dice solo le cose che diceva Woody Allen vero. Dice anche quelle che dico io, compreso il post che ho già scritto per capodanno e che è in attesa di pubblicazione.
Vuoi dire che mi sto antipatico?


P.S. da vedere assolutamente:
Amore e Guerra (Love and Death) (1975) e anche quelli prima...
Io e Annie (Annie Hall) (1977)
Manhattan (1979)
Zelig (1983)
Broadway Danny Rose (1984)
Hannah e le sue sorelle (Hannah and Her Sisters) (1985)
Harry a pezzi (Deconstructing Harry) (1997)

martedì 20 ottobre 2009

Volevo fare il regista


Da bambino avevo un rito domenicale. Dopo il pranzo di famiglia in campagna (anolini in brodo e cappone ripieno) andavo in città con mio nonno, che portava il mio stesso nome, e si andava al cinema. Non so esattamente perché mio nonno andasse al cinema, probabilmente per il piacere di stare con me, perché appena le luci si spegnevano lui chiudeva gli occhi e si addormentava. Così il film lo sceglievo io, per lui era lo stesso. All’epoca non si entrava al cinema all’inizio del film, si entrava in qualsiasi momento e lo si guardava fino a quello stesso punto. Una frase che sentivi dire nelle poltrone vicino era: “ecco, siamo entrati qua” e poi “permesso, permesso” uscivano. Ma siccome mio nonno dormiva, io non lo svegliavo e ne approfittavo per vederne un extra, una ripetizione in un’epoca in cui l’home cinema non era neppure immaginato.
In questo modo ho visto centinaia di film, forse dagli otto anni ai tredici. A quattordici ho cominciato a frequentare il cinema con gli amici, prima i film con Terence Hill e Bud Spencer, poi Laura Antonelli, Alain Delon e infine Fellini (Amarcord) e Pasolini (Il Fiore delle Mille e una notte) e Stanley Kubrick (Arancia Meccanica).
Avevo deciso che dopo il Liceo sarei andato a Roma alla Scuola di Regia, e sui banchi di scuola scrivevo una sceneggiatura: avevo letto quella dell’ “Uomo che cadde sulla terra” e la scimmiottavo con molto impegno. Franco lo ricorderà perché l’obbligai a sorbirsi il risultato finale (si vendicò con una critica severa...)
Poi mi sono iscritto a Medicina, ma la passione per il cinema non si è spenta.
Andavo a “vedere un film” e non “al cinema” tanto per andare, è diverso (magari con l’eccezione di qualche volta che sono entrato solo per baciare una ragazza) e non sono mai riuscito a restare fino in fondo se un film proprio non mi piaceva: come sanno gli amici, mi sembrava di esprimere al regista il mio dissenso uscendo dopo il primo tempo del suo film.
Con gli amici progettavamo di “rigirare” gli script di Andy Warhol senza aver mai visto gli originali, ma nessuno di noi aveva una cinepresa.
Solo in tempi (relativamente) recenti sono arrivate le telecamere, le telecamere digitali, i Macintosh, i DVD rescrivibili e la possibilità di diventare registi casalinghi, ma ormai l’illusione di poter girare un film vero era venuta meno.
Ho registrato film degli amici e dei miei viaggi, con una cura maniacale che mi prende anche mesi per montare un solo film, ed ora giro i film di e per Carolina.
Perché ve lo racconto? Per far capire che non ho scritto il post “Hollywood” per qualunquismo, ma per troppo amore. Per un cinema che non c’è più.

martedì 13 ottobre 2009

circonvallazioni e tangenziali


Circonvallazioni e tangenziali non sono sinonimi. Le circonvallazioni sono larghi viali, su cui si viaggia a cinquanta chilometri all’ora, circondate da cespugli, alberi forse, e poi piste ciclabili, intervallate da larghe rotonde fiorite. Sto pensando alle belle circonvallazioni che si vedono in Irlanda, in Inghilterra, in Germania, in Francia, qualcuna persino in Italia.
Le tangenziali sono tratti di territorio sequestrati, circondati da guard rail metallici, su cui le macchine corrono a novanta all’ora (ma spesso anche al doppio), che come Attila portano degrado a perdita d’occhio dove passano. Niente biciclette, niente cavalli, niente ciclomotori, niente carretti.
Provate a camminare sotto un viadotto: trovate degrado, sporcizia, puzza tristezza; cascine abbandonate, case di povera gente.

Circonvallazioni e tangenziali sono due modi di vedere la città, il traffico, il mondo, la vita.
Le prime appartengono a chi vorrebbe attraversare gli Appennini in moto, in bicicletta, a piedi forse.
Le seconde a chi corre da Milano a Roma con l’alta velocità, a chi fa “casello casello” da casa al mare e ritorno, a chi sorvola la “fly over zone” da New York a Los Angeles perdendosi la Route 66. A chi raddrizza le curve delle strade per andare più veloce, a chi abbatte gli alberi secolari che fanno ombra ai bordi delle strade perché sono pericolosi per gli automobilisti (avete mai visto un albero precipitarsi contro un’auto?).
Spero in un futuro con poche auto, tante stazioni ferroviarie, tanti tram e tante rotonde in fiore.

lunedì 5 ottobre 2009

Win For Life

“mamma mia! sei appena tornata a casa e sei già al computer?”

“seconde te, la signora Manzoni diceva a suo marito ‘mamma mia, Alessandro, sei già al computer?’ mentre lui scriveva i Promessi Sposi?”

Era venerdì un attimo fa, un sabato del villaggio tutto da vivere, e dopo un attimo è di nuovo lunedì, il giorno più insopportabile della settimana.
Oddio, so che la settimana sarà più breve del previsto, sarà di nuovo venerdì e ancora troppo presto lunedì. , Natale, l’ultimo dell’anno,Pasqua, ferragosto... I capelli grigi, l’artrosi, la vista più corta.
Che fregatura bruciarsi i giorni rimasti compiendo ogni giorno il lavoro usato, quasi a scontare un ergastolo per qualche crimine che non ci si ricorda di aver commesso.

Ma oggi ho avuto un’idea. A me piace, non so se a voi piace. Creiamo una fondazione. Chiamiamola, per esempio, “fondazione Blue Bottazzi”. Lo scopo della Fondazione è quello di raccogliere i fondi per pagarmi diciamo tremila euro al mese perché io possa scrivere il blog. Io aggiorno quotidianamente i miei quattro, cinque o sei blog senza essere distratto da un lavoro o da necessità mondane, e la fondazione mi fornisce di che sopravvivere. Non sono un ragazzo esoso, non indosso scarpe costose, non voglio una villa a Forte dei Marmi e non guiderei mai una Ferrari. Mi basta scrivere i miei post, fare un po’ di turismo in moto e crescere Carolina. Magari in una casetta di campagna tutta rossa. Per questa cifra vi scrivo anche un paio di libri.
Allora, si fa?

P.S.: mi hanno detto di questa nuova lotteria che fa proprio al caso mio, si chiama Win For Life perché si vince una rendita di quattromila euro mensili per la bellezza di vent'anni. Vuoi vedere che è la volta che compro il mio primo biglietto della lotteria?

mercoledì 30 settembre 2009

ieri, 29 settembre


Ieri, 29 settembre... (“seduto in quel caffé, io non pensavo a te...”)

Se l’avete riconosciuta, vuol dire che siete vecchi. Vecchi abbastanza da ricordare il 1967. Tutto doveva ancora succedere.
Questi ovviamente erano solo l’Equipe 84 (non ho nostalgia del bit italiano, che banalizzava in chiave leggera le canzoni di una musica rock che diventava adulta), ma la canzone era firmata da un giovane Lucio Battisti, l’unico tentativo di rivoluzione della musica leggera italiana (musica leggera che per altro non fu capace di farsi influenzare da Battisti, come invece il beat britannico dai Beatles e il rock USA da Dylan).

Su Anni Rock ho pubblicato un elenco di dischi usciti nel 1967:

45:
Pink Floyd > Arnold Layne; See Emily Play (Columbia EMI)
Jimi Hendrix > Purple Haze; Foxy Lady (Polydor)
Beatles > Strawberry Fields Forever; Penny Lane; All You Need Is Love (Parlophone)
Rolling Stones > Ruby Tuesday; We Love You; She's A Rainbow (Decca)
Who > Substitute; The Kids Are Allright
Turtles > Happy Together
Wilson Pickett > Everybody Needs Somebody to Love

LP:
Pink Floyd > The Piper At The Gates Of Dawn (Columbia EMI)
Jimi Hendrix > Are You Experienced (Polydor)
Beatles > Sgt. Pepper (Parlophone)
The Who > Sells Out (Track)
Cream > Disraeli Gears (Reaction)
Doors (Elektra)
Velvet Underground > And Nico (Verve)
Traffic > Mr. Fantasy (Island)

giovedì 24 settembre 2009

la stella d'oro serie azzurra


Un paio di anni fa ho preso la decisione di non leggere più romanzi. Penserete che non è una grande comunicazione quella che vi faccio: in giro c’è un sacco di gente che di romanzi non ne legge mai e senza neanche averlo deciso. Ma il fatto è che dall’età di sei anni sono sempre stato un lettore accanito.
Come regalo della promozione in prima elementare ebbi l’abbonamento a Topolino, quello mitico degli anni sessanta, ed ho vividi ricordi di me seduto su un gradino a leggere le avventure del commissario Basettoni mentre gli altri bambini “perdevano tempo” a giocare con le figurine o a passarsi un pallone (forse per questo molti anni dopo ho apprezzato tanto la lettura di “Quella vacca di Nonna Papera” di Claudio Bisio). Da allora non ho mai smesso di divorare libri. Adoravo dei libricini della Mondadori chiamati Stella d’Oro, divisi in due serie, azzurra per letture fino a dieci anni e rossa per bambini più grandi. Inutile dire come la serie azzurra fosse di gran lunga più interessante. Ho un ricordo di me bambino a Forte dei Marmi sdraiato sotto l’ombrellone a leggere i racconti di Edgar Allan Poe anziché giocare con le biglie dei ciclisti.

In tutti quegli anni non ho mai imparato a “gestire” la lettura di un libro. Invece di tenermi un capitolo al giorno, sono uno di quei lettori che arrivati alla fine del capitolo decidono di leggere ancora la prima pagina del successivo. Poi finisco anche quello e sbircio la prima pagina del successivo ancora, fino a perdere l’intera notte (e a rimpiangere il sonno perduto ed il libro finito il mattino seguente).

Ora che la mia carriera di lettore è "finita" potrei dire che il mio romanzo che ho preferito leggere potrebbe essere “La Morte a Venezia” di Thomas Mann e in generale tutta la mia letteratura preferita è stata romantica e d’atmosfera, quella mitteleuropea di Arthur Schnitzler (Il ritorno di Casanova), Sàndor Màrai, Arlen Roth (la Cripta dei Cappuccini), forse anche Herman Hesse.
I due scrittori che amo sopra gli altri non sono però tedeschi o austriaci, bensì i due grandi affabulatori del XX secolo, due racconta-storie di quelli che non ti stancheresti mai di ascoltare: Piero Chiara, con le vicende che si svolgono lungo le rive del suo malinconico Lago Maggiore, e Georges Simenon, scrittore così bravo che non puoi fare a meno di figurartelo mentre scrive i suoi quattrocento romanzi con la penna stilografica, direttamente in bella copia e senza rileggerli.
Mi piace che si racconti di "posti", persi in un tempo in cui erano carichi di fascino, che si tratti di Venezia, Mantova, Vienna, Luino o Parigi.

Ma la vita è troppo breve e le cose da fare sono troppe. Stendersi sul lettino ai bordi di una piscina con un romanzo nuovo e null’altro da fare può sembrare un programma allettante, ma non è più gratificante lo stesso pomeriggio passarlo a giocare con la propria figlia? O se la figlia non ha voglia di giocare con noi, che ne dite di un giro in moto, scalare una montagna, fare una merenda in provincia? Fra leggere e vivere, alla mia età preferisco vivere.

Non è che sia riuscito davvero a non leggere più: leggo meno romanzi. Mi piace leggere storie sul web (almeno quanto mi piace scrivere storie sul web). Blog di persone.
Il tempo che spendo al computer è quello che guadagno non guardando la TV. Come ha detto Steve Jobs, “la gente davanti alla televisione spegne il cervello, di fronte al computer lo accende”. E pare che di questi tempi non ci sia bisogno di altre persone con il cervello spento.


P.S: a proposito di lettura, mi è piaciuto inaugurare una Antologia di Blog in cui segnalare quotidianamente le cose migliori che leggo nella blogosfera. Se anche a voi piace leggere on line, vi farà piacere trovare qualche indicazione stradale...

venerdì 18 settembre 2009

autisti estivi


Negli States gli automobilisti scorrono tutti a 90 km/h come su un tapis roulant, nelle loro due, quattro, otto corsie che siano. L’unica difficoltà che pone la guida oltreoceano è quella di cambiare corsia senza essere centrati da un truck lungo come un trans europe express. Noi popolo italico abbiamo troppa fantasia per una simile omologazione e ci piace correre nei modi più diversi, dagli autisti canuti che viaggiano in statali perfettamente sgombre a sessanta chilometri all’ora, alla BMW che in autostrada ci sorpassa dalla corsia di destra a centosettanta chilometri orari.
Ma in estate, nelle giornate più afose, queste varietà di comportamenti è esaltata da una ulteriore variabile: l’aria condizionata. E così capita che mentre correte perfettamente deumidificati ascoltando Mozart dall’autoradio, a 20° gradi centigradi lungo una savana cocente dove sull’asfalto la calura fa apparire tremolanti miraggi all’orizzonte e nei campi circostanti i cannoni sparino inutilmente l’acqua sporca dei canali per dissetare i campi, dobbiate attaccarvi ai freni per non tamponare una impolverata A112 il cui autista, stordito dalla calura, viaggia con i vetri completamente abbassati ed il braccio del tutto fuori dal finestrino steso lungo la portiera alla bella velocità di quaranta chilometri orari. Del resto come biasimarlo? Provate ad abbassare i vetri e vedrete che insostenibile velocità vi sembreranno 40 km/h...
L’autista - lucertola cotto al vapore dell’umidità è molto più pericoloso di quello impegnato in una personale sfida rallistica: può fermarsi di botto per osservare un campo, girare a sinistra senza mettere la freccia come infilare la retromarcia in autostrada se si accorge di essere passato oltre la propria destinazione.
O persino, è successo, infilare la tangenziale contromano e non schiantarsi prima di aver percorso almeno dieci minuti in contromano senza essere sfiorato dall’ombra del dubbio.

Vorrei dedicare il post di oggi a quelli che...

quelli che appendono l’alberello magico allo specchietto retrovisore
quelli che sorpassano da destra
quelli che entrano a tutta velocità nelle rotonde
quelli che guidano come se avessero subito un ictus e poi ti accorgi che stanno parlando al cellulare
quelle che guidano appese al volante senza appoggiarsi allo schienale
quelli che tengono l’intero braccio appeso fuori dal finestrino
quelle che il bambino è in piedi fra i sedili
quelli che in città vanno a 40 all'ora ma prima della curva toccano i freni (perché se ne vedono tante di auto ribaltate agli incroci...)
quelli che sulla statale vanno a 60 all'ora
quelli che sulla statale vanno a 160 all’ora
quelli che non si fermano alle strisce pedonali
quelli che al semaforo rallentano e rallentano fino a che diventa rosso
quelli che lampeggiano in autostrada

con l’augurio che si estinguano al più presto.

martedì 1 settembre 2009

Buon Anno!


Già: "buon anno!" perché è l’anno nuovo non inizia al primo gennaio, che è un giorno proprio identico al 31 dicembre.
Il nuovo anno inizia al primo lunedì di settembre, dura fino a luglio e si sospende in agosto.
È non lo accogliamo festeggiando come idioti ubriachi, scombinati e rumorosi, ma riflettendo nel nostro intimo, tirando qualche somma e organizzando qualche proposito.

E mentre facciamo propositi per l’anno nuovo cerchiamo di non farci influenzare dalla sindrome del “primo ottobre” e cerchiamo di goderci questi mesi di Vendemmiaio, Brumaio e Frimaio, fra i più belli e sottovalutati dell’anno.

giovedì 27 agosto 2009

sulla strada



Jack Kerouac. Sulla Strada. È il titolo sulla copertina di una pila di Oscar Mondadori che fronteggia su uno scaffale del centro commerciale dove mi sono rifugiato in cerca di aria condizionata e di fast food. Anche se la copertina non è più la stessa, e persino l'editore, è un titolo che mi porta lontano.
Non solo perché On The Road è la bibbia di una generazione che quando Jack Kerouac scriveva queste pagine autobiografiche negli anni cinquanta era ancora da venire: la generazione rock, il '68, il movimento hippie, tutti noi "venuti dopo", diversi dai nostri padri.
Non solo perché la copertina riporta l'annotazione "con un saggio di Fernanda Pivano", quanto mai attuale nei giorni della sua scomparsa.
Ma soprattutto perché mi riporta ai giorni in cui lo lessi, nel lontano 1976, nelle giornate calde in cui preparavo, o meglio dovrei dire "avrei dovuto preparare", l'esame di maturità. Un esame così poco sentito che invece di mandare a memoria testi di fisica e matematica leggevo senza fretta le pagine di una vecchia edizione di questo libro con una copertina verde, più perché già allora fosse un mito che per convinzione. All'esame uscii malamente, e devo probabilmente la mia promozione solo alla mia buona conoscenza della lingua inglese, ma non passarono che poche ore dalla pubblicazione dei voti nella bacheca del Liceo che già mi trovavo io stesso "on the road" su una spaziosa vecchia Peugeot bianca per un mio viaggio iniziatico attraverso la Francia, dove mi sentii molto boehemienne a dormire in un sacco a pelo sui marciapiedi di Parigi e a passeggiare per Montmatre (ma ricordo che la prima sera finii in un cinema a vedere Histoire d'O con Corinne Clery, da noi censurato), e attraverso lo stretto della Manica fino all'East di Londra, dove mi recai in pellegrinaggio alla ricerca del primo negozietto della Virgin Records, che allora era un'etichetta di rock d'avanguardia in procinto di firmare un contratto ai Sex Pistols.
Viaggiavamo io e un amico con una tenda ed un grosso zaino militare comprato ad un mercatino, in cui feci compiere tutto il viaggio con me alla mia copia del libro di Kerouac. A Londra abbandonammo l'idiota proprietario della Peugeot, raggiungemmo la Cornovaglia e l'East End (la fine estrema del mondo prima dell'Oceano), baciai una ragazza così graziosa che in seguito ebbe l'onore di fare la modella sulla copertina di una rivista (no, non Playboy) e tornammo carichi di dischi in treno. Ricordo anzi che invece di arrivare a casa decisi di scendere, notte tempo, in un paesino della Val di Susa...

Così oggi sto rileggendo Sulla Strada. Non l'avevo più fatto da allora. Devo confessare che non ricordo praticamente nulla, nemmeno quanto fosse straordinariamente coinvolgente. Anche perché quando lo leggevo allora i nomi degli stati e delle città da NYC a San Francisco non mi dicevano nulla, mentre oggi li ho visti praticamente quasi tutti. Ma la cosa che più mi ha sorpreso è che molte cose che leggo in quelle pagine pensavo di averle pensate io. Per esempio, quante volte mi è capitato di raccontare "ho dormito così profondamente che al risveglio non riuscivo neppure a ricordare chi fossi... e quando mi è venuto in mente ci sono restato male".

Beh, Jack scrive: "mi svegliai che il sole stava diventando rosso; e quello fu l'unico preciso istante della mia vita, il più assurdo, in cui dimenticai chi ero - lontano da casa, stanco e stordito per il viaggio, in una povera stanza d'albergo che non avevo mai visto, colsibilo del vapore fuori - e guardai il soffitto alto e screpolato e davvero non riuscii a ricordare chi ero per almeno quindici assurdi secondi".

È la stessa sensazione che ha provato mia moglie quando, vedendo per la prima volta Marrakech Express, si accorse che metà delle frasi che ripeto non sono mie ma di quel film. E spero che non legga On The Road, per scoprire che anche l'altra metà non è mia...


sabato 15 agosto 2009

non c'è più il ferragosto di una volta


“È stata un'estate splendida qui a sud delle Alpi e ogni giorno, da due settimane a questa parte, sentivo il recondito timore della sua fine, quel timore che per me è aggiunta e condimento segreto di tutto ciò che è bello. Temevo soprattutto ogni accento di temporale perché dalla metà di agosto in poi un temporale può facilmente degenerare, durare giorni, e poi l'estate è finita anche se il tempo si riprende. 

Proprio qui nel sud è quasi una regola che l'estate venga messa in ginocchio da un simile temporale, che debba trovare una molta repentina, fiammeggiante e convulsa. Poi, quando gli spasmi del temporale sono passati, quando i lampi, i tuoni, gli scrosci di tiepida pioggia si sono via via smorzati, un mattino o un pomeriggio fa capolino dalle nubi un cielo fresco e tenero di un colore radioso pregno d'autunno...”

(Hermann Hesse)

sabato 1 agosto 2009

Passo della Cisa

Da bambino arrivare al mare non era un semplice trasferimento com'è adesso, ma era una vera e propria avventura di per sè. Mio padre caricava la famiglia e si partiva per una via Emilia affollata di camion fino ad arrivare a Fornovo e da li dare l'assalto agli interminabili e ruvidi tornanti della Cisa, dove spesso si era fermi in coda dietro a camion puzzolenti di gasolio incastrati in curva (che qualche volta rinculavano sotto il peso del carico di marmo). Gli indimenticabili momenti topici del viaggio erano tre: la sosta sul Passo, con la scalinata verso la chiesetta; il pellegrinaggio alla statua di Pinocchio a Pontremoli, segno che la parte selvaggia del viaggio era terminata, ed infine il profumo di mare in prossimità della Versilia.
Per questo amo questo Pinocchio di quell'amore ingenuo, semplice e totale con cui i bambini sanno amare dal proprio cuore...

P.S: perché in Versilia il profumo di mare non lo sento più?

giovedì 16 luglio 2009

Azzurro


Una domenica di mezza estate, da solo: l'estate quella vera, con l'afa, il sole a picco e le cicale...
Mi metto in moto all'orario sbagliato e senza un costrutto, tanto che invece di cercare il fresco delle colline, a pranzo mi ritrovo nella piatta Pianura Padana, lungo il Po, ad un ristorante con un pergolato lungo il grande fiume. Il cielo è bianco per l'umidità, le cicale friniscono assordanti, la coscienza si assopisce mentre i camerieri si danno un gran da fare per servire le famiglie in gita. Di fronte ad un profumato piatto di gnocchi al pomodoro, anche non volendo non posso fare a meno di origliare i discorsi e le vite degli altri.
Da qualche parte dietro di me un bambino deve aver mangiato la videocassetta di un cartone animato che racconta di una banda di animali dello zoo in fuga su un'isola africana, e la recita in modo fedele battuta per battuta. Ad un altro tavolo due coppie che hanno fatto conoscenza al mare, immagino in qualche villaggio turistico, si sono già dati appuntamento qui oggi. Due fidanzati si sorridono. Indossano le stesse ciabatte di gomma, azzurre e bianche. Se sono sposati, sembrerebbe un matrimonio riuscito.
Una nuora rassegnata accompagna al bagno la suocera con la cataratta, che teme un gradino nascosto.
Bevo il caffè, rinuncio a chiudere la giacca e inforco la moto. Davanti ai miei occhi l'immagine di un viale deserto tremola per il caldo. È un momento così suggestivo che invece di fuggire la canicola, mi butto per le piccole strade comunali della bassa, attraversando paesini dimenticati con lunghe strade di casette rosa, azzurre, bianche. Ogni tanto incontro una bella villa di inizio novecento lasciata andare in rovina; fioriscono invece orribili casette bifamiliari da geometra. Beata ignoranza.
Dovrei essere malinconico, ed invece mi sembra di essere felice. È grave?

giovedì 28 maggio 2009

L'Italia è fatta, restano da fare gli italiani (1861)


Piove a dirotto in autostrada, entro in un'area di servizio con mia figlia. Ci sono auto parcheggiate ovunque, purché fuori dagli spazi autorizzati. Due SUV occupano gli spazi pedonali per entrare, la gente è ammassata in maniera disordinata attorno alle casse ed al banco del bar spintonandosi gli uni gli altri... una bella metafora del nostro paese, non c'è da stupire che si voti Mr. B: è l'arte di arrangiarsi contro il modello sociale occidentale...

La seconda repubblic(hin)a è un disastro. Quando nel 1992 il terremoto di Tangentopoli portò al crollo dei partiti tradizionali, in molti sperammo che fosse giunto il momento per il nostro Paese di entrare a far parte del mondo occidentale. Al contrario 14 anni dopo, mentre tutto il resto del mondo, occidentale e non, progredisce, l’ Itaglia si consuma. Le nostre strade sono piste bucherellate, i ponti crollano e quasi non ci si ne accorge, le nostre città cariate, i mezzi pubblici impraticabili, le ferrovie pidocchiose, le stazioni ferroviarie posti pericolosi o semplicemente luridi. La sanità non serve più a curare malati ma a generare vassallati.
L'economia è allo sbando, la corruzione è la norma e alla luce del sole. La stampa portavoce di qualche potere. I nostri politici sono nani e ballerine, tanto a destra quanto a sinistra, tanto al centro quanto alla periferia.

A scanso di equivoci: credo che Mr. B rappresenti l'immagine standard dell'italiano con il mandolino, l’italiano tarallucci e vino: l'italiano vero.
Viene votato perché l'italiano vuole essere come lui, ricco e senza il peso del dubbio.
Viene votato per semplificazione, perché le persone semplici vogliono credere ad un mondo in cui saranno personalmente più ricchi, e non vogliono vedere che stanno diventando in realtà più poveri. Vogliono credere in Mr. B così come credono in Padre Pio e nel metodo-di-bella.
Viene votato perché i due anni di governo Prodi sono stati tremendi, altrettanto illiberali e privi di etica, ma anche tesi a strangolare chi lavora e a favorire l'economia di partito.
Viene votato perché dall'altra parte non c'è il modello liberale ma il potere economico alle cooperative del partito.
Viene votato perché anche in ogni Comune, in ogni Regione, in ogni Provincia, per quanto minuscolo o per quanto grande, ci sono solo amministratori che vogliono arraffare.
Viene votato perché gli inceneritori e la diossina li vogliono sia la destra che la sinistra, basta appaltare.
Viene votato perché alle domande non risponde Mr. B così come non rispondeva Mr. P.

Abbiamo fatto regola del peggio delle attitudini degli italiani.
Mi domando se ci sia una via d’uscita.

venerdì 8 maggio 2009

Africa


Stavo viaggiando nel deserto con la mia Guzzi Stelvio bianca e pensavo: "sto vivendo un'esperienza indescrivibile, di quelle che ti riempiono l'anima". Ma poi una dolorosa fitta di consapevolezza mi ha attraversato il petto: credevo di vivere, in realtà stavo già ricordando. Ero già tornato ed ancora non lo sapevo. Ed infatti eccomi qui. Con una domanda esistenziale: esiste il presente?

Qui il racconto del viaggio. Qui alcune fotografie

martedì 5 maggio 2009

Poutpourry


    Autostrade francesi
Quale popolo civile può continuare a interrompere il proprio viaggio in autostrada ogni manciata di chilometri per gettare della moneta in un imbuto in un casello messo di traverso alla strada? È quello che i francesi continuano inspiegabilmente a fare da sempre. Ogni dieci minuti in auto scoppia il marasma della ricerca di 1 € 50 o 2 € 50 per non bloccare irrimediabilmente il traffico dall’est all’ovest della Francia. 
E quando con la moneta contata scopri che il maledetto imbuto non accetta le monete da 5 centesimi, è forte la tentazione di lasciarsi andare a becero campanilismo e canti xenofobi.

    Autostrade italiane
Di contro le autostrade francesi, se si viaggia con un sacchetto di monete, sono molto più rilassanti di quelle italiane perché tutte le auto viaggiano nel rispetto dei limiti di velocità e nessuno si sogna di sorpassare da destra. Passato il sacro italico confine invece ci si trova iscritti alle mille miglia, con i favoriti che lampeggiano per segnalare che non hanno veramente il tempo per il traffico e le code, e gli outsider che zigzagano fra le corsie. È davvero così difficile ritirare la patente a chi non se la merita?

    Euro
La moneta unica mostra la sua comodità in vacanza. Ricordate i tempi in cui bisognava fare i conti di quanta valuta cambiare ancora all’ultimo giorno? Il rovescio della medaglia è che ti rendi dolorosamente conto di quanto spendi. Ormai ognuno può inventarsi i prezzi che vuole: 23 euro per un piatto di tagliatelle, da 170 a 301 € 50 (virgola 50 centesimi, merci) per dormire, 62 per affittare le biciclette (all’Auchan ne compri nuove a meno).

    Parchi naturali
Sulla bellissima isola di Porquerolles non possono circolare le auto. Ma non è una regola svizzera (a Zermatt girano solo slitte trainate da cavalli e qualche bus elettrico), è una regola francese. I turisti arrivano in barca, ma i locali girano in auto così scassate e puzzolenti come non se ne trovano neanche a Cuba: Citroen Mehari scolorite, Fiat Panda taroccate, furgoni dalla fumata nera e qualche motocicletta di altri tempi. Non so se la regola è che i residenti possono possedere una auto, o se il permesso valga solo per chi la possedeva negli anni sessanta, prima che fosse istituito il Parco Naturale. Con le tagliatelle a 23 euro pensavo girassero tutti in Maserati. Ma a pensarci meglio forse è proprio quello il motivo per cui i residenti non possono permettersi di cambiare auto.

    La cucina
Già abbiamo compiuto l’eresia sul post Grandeur, dichiarando che in Francia si mangia male, ma proprio male. Nel sud della Francia ho mangiato dall’ignobile (tagliatelle al polpo - scotte e insipide e polipo brasato nel vino rosso) al male (i ristoranti del territorio) al noioso (una nouvelle cousine senza emozione). A onor del vero è però anche capitato di mangiare bene (la fantasia del Alycastre a Les Porquerolles) e benissimo (il paté e la carne del Les Arnelles in Camargue). Mai a buon mercato.

    Le moto
A Saint Tropez pensavo che avrei trovato moto modaiole, invece la regola pare essere “usati pluridecennali”: vecchie moto giapponesi ed Harley fuori produzione. Così come le auto sono BMW rosse e nere di quinta mano. Les Saint Maries de la Mer attira invece transatlantici: Harley Davidson Electra Glide con la retromarcia, BMW con sidecar e Honda Golden Wing con il rimorchio per i bagagli. Ma allora non è più pratica l’auto? Ovunque il casco è ancora un optional.
 

martedì 28 aprile 2009

Dei Pagani


Una delle idee con cui è più difficile venire a patti per un animale intelligente come l’uomo è quella della morte. Non è facile accettare l’idea di morire “per sempre”. Probabilmente è proprio in quel sempre che sta la nostra incapacità di comprendere: potremmo forse accettare al contrario l’idea di vivere “per sempre”?
Il sempre in effetti è un po’ lungo.  
Da questa vertigine origina la nostra esigenza di divinità. Se dovessimo usare la conoscenza dovremmo definirci atei: nessuno di noi, infatti, sa nulla di Dio. Nessuno a Dio ha mai parlato, e Dio non mai ha parlato a nessuno, sia che si trattasse di imperatori, papi, dalai lama, rabbini, saggi o sciocchi, ricchi o poverelli. Temo di non aver mai conosciuto una persona che creda veramente in Dio: qualcuno che non temesse la morte e non piangesse la morte dei suoi cari, anziché gioire del loro arrivo al paradiso, il luogo della eterna beatitudine.

Se usassimo la logica, dovremmo definirci agnostici.

Se usassimo il cuore, scopriremmo la nostra necessità di religiosità e misticismo.  
Una necessità che non arriva al punto di farmi inventare un Dio a mia immagine e somiglianza. Mi limito a celebrare questa divinità, che non conosco e non posso conoscere, nella mistica del cielo e del mare, del vento e delle montagne. Come i primi popoli, come gli antichi Greci, come gli indiani d’America.

(PS: alla mia generazione di illuministi sembrava che la religione - con tutto ciò che nella storia ha comportato - fosse arrivata al capolinea. Certo, c’era ancora la DC, ma dieci anni fa sembrava essere stata spazzata via anch’essa dal vento della storia, per lasciarci un’Italia laica, come nel 1870. Ma alcuni avvenimenti hanno dimostrato che non è così. Naturalmente lo shock del 11 settembre 2001. Ma anche l’agonia del Papa santo, nella primavera del 2005, ha mostrato quale spiegamento di mezzi e di mass media sia in grado di muovere la Chiesa Cattolica. Quando Giovanni Paolo II è morto, tutti i quotidiani hanno titolato a lutto. Nessuno che abbia scritto: “il Papa è in Paradiso, con Dio e gli Angeli”
Ma allora Dio è proprio come Babbo Natale: non ci crede più nessuno! Però a mostrare di crederci c’è un bell’interesse...)