Sono stato a vedere Crazy Heart, il film oscar sulla storia di un musicista americano country la cui carriera è al tramonto e la cui vita va a rotoli ma viene salvata da un amore.
Sono entrato al cinema per Jeff Bridges, o meglio per Jeff Drugo Lebowsky, come si chiamava il suo indimenticabile personaggio ne Il Grande Lebowsky dei fratelli Coen. Qualcuno (Paolo Vites) ha fatto notare come Drugo abbia avuto un’influenza su una quantità di noi, che siamo arrivati - immagino inconsciamente - a farci crescere il pizzetto come lui (e come il sergente Lorusso di Mediterraneo): il vero beautiful loser, quello che è scivolato dal mainstream della vita ma pur da perdente continua a essere un personaggio di scintillante bellezza, uno che alla fine non è in vendita a nessun prezzo.
È probabile che siamo in molti a sentirci un po' così giunti al mezzo secolo.
Per tornare a Crazy Heart sono entrato nel cinema pieno di pregiudizi: verso la musica country (credo che oggi potrei sopportare giusto Steve Earle o Dwight Yoakam), verso Hollywood e verso una trama scontata come una cambiale. Sulla trama non mi sbagliavo (e neanche su Hollywood); anzi, il film è ancora più didascalico e fastidioso nell’affrontare il babau puritano dell’alcolismo, che è sempre stato una demonio per gli anglosassoni e purtroppo oggi lo è diventato anche da noi, dove per un paio di birre prima di guidare ti assimilano ad uno stupratore (Drugo, di qualcosa!).
Però ci sono delle cose gradevoli. Jeff Bridges, che a sessant’anni assomiglia un po’ troppo a Nick Nolte, ma insomma è pur sempre lui. I dialoghi, che sono insolitamente realistici per uno script di Hollywood. Le (poche) scene on the road. Ma soprattutto la vita routinaria di chi vive di musica senza essere in vetta alle classifiche e le scene dei concerti, le migliori che a memoria mia siano state girate in un film, quasi emozionanti.
Anche il finale è meno zuccheroso di quanto temessi (ma neanche poi tanto divertente). Non comprerò la colonna sonora del film, ma Jeff come cantante non se la cava male, e Ryan Bingham (che canta sui titoli di coda) anche meglio (1).
Non è il migliore film su un musicista che sia mai stato girato - ne ricordo per esempio uno sui Temptations visto di notte alla TV. Ma comunque è uno dei film migliori che si possa vedere in una sala di questi tempi. Però mi domando perché Hollywood faccia così fatica a girare film sulla gente comune invece di inventarsi fiction su superfumetti, pistoleri, banditi, vampiri, donne in menopausa. Basterebbe leggere i testi delle canzoni del rock & roll.
(nota 1: preferisco comunque riascoltarmi Your Country di Graham Parker)