giovedì 14 dicembre 2017
Coney Island
I miei tempi si stanno sbriciolando, sciogliendosi come neve al sole, inghiottiti dal nulla che avanza. E purtroppo non passera poi troppo tempo prima che non ci sia più neanche più nessuno a ricordarli [anche per questo mi piacerebbe scriverne una testimonianza, in un paio di libri intitolati Blue Motel e I furiosi anni settanta].
Nulla del mondo che mi circonda è più in sintonia con la mia sensibilità. O quasi.
Mentre passeggiavo per il centro, la mia attenzione è stata attirata da un manifesto, una locandina cinematografica (erano lustri che non accadeva, suppongo dai tempi di Eyes Wide Shut...). Una foto perfettamente coerente con la mia sensibilità, la mia esperienza, la mia mitologia, il mio gusto, le mie aspettative. Una bella donna, provocante, di fronte alla finestra di quello che sembra essere un piccolo appartamento vecchio stile di NYC, da cui si vede la ruota del luna park di Coney Island. In automatico nelle mie orecchie attacca a suonare una colonna sonora dei Blasters, o se preferite dei Mink DeVille o dei Drifters.
E poi me ne accorgo: è il nuovo film di Woody Allen. Non a caso, un santi dei miei giorni (ed uno dei miei tre registi preferiti). Grande Woody, fino a che sei uno dei vivi andrò a vederlo. Fosse anche il più brutto dei tuoi film, parlerà ancora la mia lingua.
venerdì 21 luglio 2017
il nostro disco che suona
“una rotonda sul mare
il nostro disco che suona…”
Sapete quella cosa, “il nostro disco...” di solito è la canzone che imperversava in una certa stagione, che ci porta alla mente un preciso momento, una certa estate, una certa spiaggia, un certo amore.
Non so voi, ma io ho una canzone che mi ricorda ogni amore che ho vissuto. Ogni donna importante -nel bene o nel male - che ha attraversato la mia vita.
A volte è la canzone che ascoltavamo assieme. Altre è perché sono le parole a raccontarmi di lei.
Ricordo da ragazzo, avevo lasciato una ragazza e poi, come succede, l’avevo rimpianta. Era un disco di Bruce uscito in quei giorni a ricordarmi di lei:
“Una volta ho sognato che eravamo ancora assieme io e te
a casa in quei club dove andavamo
eravamo in piedi al bar ed era difficile sentirsi parlare
la band suonava forte e tu gridavi qualche cosa al mio orecchio
mi hai tolto la giacca mentre il batterista contava il quattro
mi hai preso la mano e mi hai portato sulla pista
mi hai abbracciato e hai cominciato a ballare lentamente
mentre ti stringevo stretta ho giurato di non lasciarti mai andare…”
L’ho fatto anch’io una volta un sogno così, sulla mia fidanzata americana, la mia rock & roll girl, e nel sogno ho pensato che non l’avrei mai lasciata andare.
Ma l'ho lasciata andare. Non sempre siamo all'altezza dei nostri sentimenti.
La canzone del Primo Amore era di Chris Rea:
“I just wanna be with you
No matter what they say
Just wanna be with you
Every night and every day
Cold nights, dark days
I wanna be with you”
come pure quella che mi ha ricordato di lei a lungo, dopo averla persa:
“il tempo passa, e ogni lacrima asciuga
e le notti da solo diventano stranamente accettate
e mentre gli anni passano, come dice la vecchia canzone
il dolore con il tempo se ne va, non può durare per sempre...
...ma poi un amico, da stupido, fa il tuo nome
giorni di sole, notti ebbre
tu che sorridi e mi dici che va tutto bene
com'è fredda, fredda la pioggia a sentir nominare il tuo nome
perdonami per favore
se stringo le spalle per non mettere a disagio gli amici
non è che invecchiando sia diventato più freddo:
sono diventato bravo a nascondere
quello che sento senza confidarmi
ma è sempre lo stesso
quando sento il tuo nome”
La mia "rock & roll girl" amava Bruce Springsteen e soprattutto Tom Petty. Il nostro album era Tunnel Of Love, ma la nostra canzone era di Bryan Adams, il singolo “Please Forgive Me”. La prima volta che l'abbiamo sentita era alla radio. Ho accostato l'auto e l'abbiamo ascoltata in silenzio, guardandoci negli occhi. Quando l'amore brucia come il fuoco è difficile non avere nulla da farsi perdonare.
“ancora mi sento come la prima notte assieme
mi sento come il nostro primo bacio
va meglio baby
la prima volta che i nostri occhi si sono guardati
sento la stessa sensazione
solo molto più forte
voglio amarti ancora
la tua fiamma è ancora accesa?
Così se ti senti sola, non farlo
per favore perdonami, ora so cosa fare
per favore perdonami, non posso smettere di amarti…”
Anni dopo fu Bruce Springsteen ad annunciarmi che il mio matrimonio era finito. Ero triste e deluso, ed invece di tornare a casa mi ero infilato in autostrada al tramonto, guidando senza meta verso il rosso del sole che cala. Avevo The River sull'autoradio. Era una registrazione dal vivo, quando arriva quel lungo lamento del sax di Clarence Clemons che introduce la nuova versione della canzone. Stavo per premere il pulsante di avanti veloce, forse perché quella canzone significava troppo per me per riuscire a riascoltarla. Ma non ce l'ho fatta a cambiare, e così l'ho ascoltata una volta di più.
Non avevo mai realizzato prima che parlasse di un matrimonio finito.
Ascoltiamo le canzoni modellandole sulla nostra esperienza, e per me il baricentro della canzone era Mary incinta, ed un matrimonio fra ragazzi consumato in povertà di fronte al giudice di pace:
“Then I got Mary pregnant and man that was all she wrote
And for my nineteenth birthday I got a union card and a wedding coat
We went down to the courthouse and the judge put it all to rest
No wedding day smiles no walk down the aisle
No flowers no wedding dress”
Invece quella sera sull'auto ho ascoltato Bruce cantare:
“Ora tutte le cose che sembravano così importanti
è come se fossero svanite nell'aria
Io mi comporto come se non ricordassi
Mary si comporta come se non le importasse...”
Quelle parole mi hanno fanno sobbalzare: stavano parlando di me!
Quando il nostro amore era giovane e forte
Ha detto che la notte scorsa ha letto quelle lettere
E l'hanno fatta sentire vecchia di cento anni
Sto guidando un'auto rubata
nella notte nera come la pece
e mi dico che le cose andranno a posto
ma sono in viaggio nella paura
che in questa oscurità io possa scomparire...”
La canzone più triste sulla fine di un matrimonio, ha le parole di De Gregori:
“...e cancello il tuo nome dalla mia facciata
e confondo i miei alibi e le tue ragioni
i miei alibi e le tue ragioni...
Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo
e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro
ancora i tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo
li puoi nascondere o giocare con chi vuoi...
E quando io senza capire ho detto sì
hai detto è tutto quel che hai di me
è tutto quel che ho di te…”
Un amore successivo, quasi di contrabbando, era marchiato da un cajun tradizionale della Louisiana, cantato allo stesso tempo in inglese ed in francese:
“Ma jolie, how do you do?
Mon nom est Jean-Guy Thibault-Leroux
I come from east of Gatineau
My name is Jean-Guy, ma jolie
J'ai une maison a Lafontaine
Where we can live, if you marry me
Une belle maison a Lafontaine
Where we will live, you and me
Oh Louise, ma jolie Louise
Tous les matins au soleil
I will work 'til work is done
Tous les matins au soleil
I did work 'til work was done...”
Ha un finale triste. Come la nostra storia, che è finita male, ancora con le parole di Bruce Springsteen, fra le più dure che lui ha scritto - forse per una donna che non ha saputo conservare con cura l'amore che aveva trovato:
“Lei spegne la TV e se ne va a letto senza una parola
pensando a come tutto è stato sprecato
e come sono stati buttati i loro sogni…
…e un uomo giusto è difficile da trovare”
Una volta ho incontrato l'anima gemella. Ma entrambi siamo stati incapaci di esserne all'altezza. Non avevamo una canzone nostra, cantavano tutte di noi. Ma alla fine, quando l'ho incrociata di nuovo per caso, è stato buffo scoprire che per entrambi era una canzone cantata da Keith Richards che ci faceva pensare l'uno all'altro.
Non la stessa canzone.
La mia diceva:
“Mi ricordo quando ti sfioravo le mani
ogni volta mi emozionavo
sei la più bella cosa che ricordi della mia vita
io e te avevamo tutto
ed anche se non è durata, ne è valsa la pena
you and me, baby, we had it all”
Keith Richards è un romantico (anche se la canzone è un classico del country americano, nessuno l'ha mai cantata come lui). Invece la canzone che a lei parlava di me era più prosaica:
“Non hai niente su di me
You ain't got nothing on me”
Perché, comunque la giri, per quanto tu sia felice e fortunato, alla fine va sempre sprecata in Amore Nero:
“Ti ho dato il mio cuore un bel giorno
e non ha più fatto ritorno
in cambio mi hai dato erbe amare
ed io le ho volute mangiare
Dei miei occhi hai preso il bagliore
uno specchio per vederti migliore
in cambio mi hai dato il veleno
di un dolce di spine ripieno
E c'ho creduto come una preghiera
che un amore è una primavera...
...per una notte di vino
pagherò cento giorni d'aceto”
P.S.: è applicabile anche un altro finale, che si meriterebbe da solo un post. È di David Bowie:
‘Tis a pity she was a whore
‘Tis my curse, I suppose
martedì 30 maggio 2017
Una forgia e una falce
Un minuto fa avevo le finestre aperte
e c’era il sole. Tiepide brezze
attraversavano la stanza.
(L’ho scritto anche in una lettera.)
Poi, sotto i miei occhi, si è fatto buio.
Il mare ha cominciato a incresparsi
e le barche da diporto che erano a pesca
hanno virato e sono rientrate, una flottiglia.
Il tintinnabolo sotto al portico è caduto
di colpo sotto una raffica. le cime degli alberi
tremavano. Il tubo della stufa cigolava e sbatteva
trattenuto dai tiranti.
Ho detto: Una forgia e una falce”.
Certe volte parlo da solo, così.
Nomino certe cose:
argano, gomna limo, foglia fornace.
Il tuo volto, la tua bocca, le tue spalle
ora sono per me inconcepibili!
Che fine hanno fatto? E’come se
li avessi sognati. I sassi che abbiamo portato
a casa dalla spiaggia se ne stanno lì
sul davanzale a raffreddarsi.
Torna a casa. Mi senti?
I miei polmoni sono pieni del fumo
della tua assenza.
(Raymond Carver)
e c’era il sole. Tiepide brezze
attraversavano la stanza.
(L’ho scritto anche in una lettera.)
Poi, sotto i miei occhi, si è fatto buio.
Il mare ha cominciato a incresparsi
e le barche da diporto che erano a pesca
hanno virato e sono rientrate, una flottiglia.
Il tintinnabolo sotto al portico è caduto
di colpo sotto una raffica. le cime degli alberi
tremavano. Il tubo della stufa cigolava e sbatteva
trattenuto dai tiranti.
Ho detto: Una forgia e una falce”.
Certe volte parlo da solo, così.
Nomino certe cose:
argano, gomna limo, foglia fornace.
Il tuo volto, la tua bocca, le tue spalle
ora sono per me inconcepibili!
Che fine hanno fatto? E’come se
li avessi sognati. I sassi che abbiamo portato
a casa dalla spiaggia se ne stanno lì
sul davanzale a raffreddarsi.
Torna a casa. Mi senti?
I miei polmoni sono pieni del fumo
della tua assenza.
(Raymond Carver)
Nirvana
Evan Williams, co-fondatore di Twitter, ha dichiarato al New York Times: “Pensavo che quando ad ognuno fosse stato possibile esprimersi liberamente e scambiare idee ed informazioni il mondo sarebbe diventato automaticamente un posto migliore. Mi sbagliavo”.
Nelle sue parole mi sono specchiato. Quando negli anni ottanta abbiamo scoperto il computer personale, eravamo sicuri che avremmo migliorato il mondo. “Ruote per la mente” era il motto di Apple Macintosh. Fu Steve Jobs, il profeta del XX secolo, a dire: “La TV spegne la mente, il computer la accende”.
Una volta la TV non era un posto cattivo. La gente era ignorante quanto lo è oggi, ma gli standard della TV erano elevati. C’erano film di qualità, c’erano sceneggiati memorabili, c’era Bandiera Gialla (o come si chiamava), c’erano i programmi di Renzo Arbore…
Poi è arrivata la pubblicità.
La pubblicità è la mano sinistra del capitalismo, è il male assoluto. Addio “Non è mai troppo tardi”: la pubblicità corteggia l’ignoranza, la fomenta, la nutre, perché è l’ignoranza la benzina del consumo. La pubblicità esalta i clic, la massa, il popolo bue. La pubblicità vuole che la gente sia orgogliosa della propria ignoranza, che dileggi la conoscenza e la cultura, che ne provi addirittura diffidenza.
Un manipolo di indomabili, negli anni novanta siamo fuggiti dalla TV per rifugiarci sulla rete. Era un buon posto: la condivisione della conoscenza, la comunicazione, liste di discussioni con persone colte e preziose. Poi, come l’anima nera dietro il nulla che mangia il mondo, la pubblicità ci ha raggiunto anche sul web. Il web 2.0, l’hanno battezzato. E ha reso la rete un posto maleodorante, dove si naviga fra spazzatura, falsità, opinioni, frastuono, ignoranza ed arroganza.
Abbiamo scoperto - dolorosamente - che non è parlando tutti che si arriva alla verità. Che la democrazia non è (ancora) la soluzione definitiva a tutti i problemi.
Leggo che sotto il web esiste un deep web oscuro. Non potremmo avere anche un Alto Web, luminoso, un posto dove la pubblicità non è permessa, dove le pagine sono pulite, dove le persone sono migliori? Non per tutti, per carità, un giardinetto per la sparuta minoranza che non smette di credere.
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