giovedì 6 ottobre 2011
wheels for the mind
Ho acquistato il mio primo computer, un Apple IIc, nel 1985. Senza di lui la mia vita non sarebbe stata la stessa.
mercoledì 5 ottobre 2011
pizza da asporto
Nel paese vicino a casa mia, lungo il fiume dove la pianura diventa collina, c’è una piccola pizzeria “da asporto”. È una pizzeria in piena regola, con la pizza sull’insegna luminosa, con il forno a legna, un’ottima pizza e una gestione familiare; lui giovane e cotto dal fuoco impasta davanti al forno, lei giovane e vivace prende gli ordini e sforna le pizze. Non c’è lo spazio per i tavoli, la gente ordina per lo più al telefono e poi viene a ritirare. Piatte, ben cotte e croccanti, le pizze nel tragitto verso casa si raffreddano e prendono un po’ del sapore del cartone, ma rimangono buone quanto basta per avere ogni sera la fila di clienti. In un angolo c’è il frigorifero con la Coca Cola, l’acqua minerale e la birra, bottiglia piccola e bottiglia grande. I clienti parcheggiano le automobili alla meglio lungo il bordo della strada e aspettano avanti al banco gli ultimissimi minuti di cottura.
C’è il papà con in braccio la figlia (perché lui è appena tornato dal lavoro e non si vedono da tutto il giorno) e la madre che si capisce che è il comandante della barca perché quando lui sceglie da bere cerca l’approvazione negli occhi di lei. Magari la bimba ha le trecce o i fiocchetti, il maschietto più grande ha la maglia della squadra da calcio e sta spiegando qualche cosa con molto entusiasmo con la voglia di essere ascoltato, e magari ce n’è anche uno ancora in fasce che non parla ancora, perché di solito sono famiglie giovani e a volta anche carine. Specie lei, che non ha ancora perso la voglia di piacere. Hanno deciso di getto che questa sera si mangia pizza, perché lui è in ritardo o magari invece in anticipo, perché un casino ha impedito di cucinare o perché c’è un piccolo blues della giornata da cancellare con una pizza napoletana ed una birra gelata. Scendono da auto modeste, utilitarie che spesso avrebbero raggiunto il momento di essere cambiate. Ma sono sorridenti perché sono una famiglia, che è una squadra nella società, il nucleo di quello per cui la natura ci ha messo al mondo, la “ragione in cui credere”.
Sono in qualche modo un’isola di sicurezza nel torrente della vita, un Fort Apache di fronte alle difficoltà. Magari sarebbero anche più felici se non ci fossero preoccupazioni sul pagamento del mutuo, se il lavoro fosse più sicuro e meno noioso, se potessero fare una vacanza più lunga e se potessero alzarsi un’ora più tardi al mattino. Le cose andrebbero meglio se l’azienda non delocalizzasse la produzione in Cina e se al governo ci fossero meno ladri.
Io a prendere la pizza ci vado da solo perché Carolina è l’unica bambina al mondo che ha deciso che la pizza non le piace, e quando siamo assieme preferisce che sia io a cucinare in casa mentre lei apparecchia la tavola con cura tutta femminile. Però anche da solo mi piace guardare le squadre delle famiglie che arrivano, mi piace ascoltare la cosa che la bambina in braccio ha da raccontare al papà, mi piace se lui e lei hanno una piccola tenerezza nel tornare in auto. E penso a come mi sia impossibile capire chi a questo amore semplice preferisce rinunciare, per sete di potere, per fame di denaro, per bisogno di lusso, perché vuole l’amante di rappresentanza, la sportiva di moda, la borsa della boutique che costa più dello stipendio di un operaio, perché vuole andare nella spiaggia esclusiva in Versilia e si brucia la vita tirando cocaina, cercando di fottere gli altri, facendosi il sangue cattivo, in un girone di amanti, puttane, puttanieri, falsità e tradimenti.
Che poi chi lo sa, che delusione sarebbe seguire la storia della famigliola di lì a dieci anni, per scoprire come le speranze siano andate disilluse, come il bambino con i riccioli sia diventato un drogato o che qualcuno ha tradito, aprendo la porta di Fort Apache e lasciando entrare il nemico.
Però nel crepuscolo mi piace parcheggiare vicino a quella pizzeria e curiosare in quel minuto della vita degli altri. È un film, quello della gente comune, che preferisco decisamente a quelli dei supereroi.
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