sabato 26 maggio 2018

Rose, spine e cuori infranti


Qualche cosa nella rosa incarna il concetto stesso di bellezza, persino di felicità. Il suo profumo inteso ma gentile, il suo colore delicato te ne ricordano la provvisorietà, perché fra qualche giorno, troppo pochi, perderà i suoi petali e si trasformerà in un cespuglio di spine. E l’aria fresca e profumata si corromperà nella faticosa afa grassa dell’estate, mentre il cinguettio si arrenderà al ronzare delle mosche e delle zanzare. E così, mentre apri la porta nel mattino, sospeso sull’orlo del dolore, mentre la ferita che sta sanguinando è ancora troppo fresca perché tu ti possa rendere conto dell’entità danno, mentre non sei ancora al tappeto ma sai che succederà, sai che fra troppo poco ti sommergerà, vorresti aggrapparti a questi momenti, poterti fermare per sempre a questo istante di mattina, mentre il cane agita le gambette come un cartone animato per correre al prato, mentre non soffri ancora (troppo) fame, rimpianto e desiderio, mentre vedi quello che ti aspetta ma ancora non ci sei davvero dentro. Quando ti svegli solo nel letto, ma ci vuole qualche attimo prima che affiori la consapevolezza ed il ricordo. E te ne stupisci ancora, non ci sei abituato ma già sai che dovrai arrivare ad accettarlo, tuo malgrado. E ti vedi disteso immerso nel niente, stupido, nel calore, nella noia senza prospettive. O persino peggio, a muoverti come se niente fosse, fingendo che nulla sia accaduto, che le cose semplicemente siano così. Quando la ferita alla fine diventa una cicatrice.