mercoledì 25 dicembre 2013
Racconto di Natale: lucido da scarpe
Da che io mi ricordi tutte le volte che mi lascia la ragazza io mi lucido le scarpe. No, non è un gesto ossessivo-compulsivo o scaramantico. Semplicemente guardo le mie scarpe, tutte quante, le metto in fila magari sul balcone, prendo la scatola dei lucidi, sempre la stessa da trent'anni, scelgo le spazzole per i vari colori, neutro, marrone, testa di moro, nero, e mi metto al lavoro. Non lo faccio di proposito. Sono lì che sto lucidando le scarpe una dopo l'altra e realizzo: è finita anche questa storia. Ecco perché mi è venuta voglia di lucidarmi le scarpe. Immagino sia come un tentativo di tenermi occupato iniziando un'opera di ricostruzione della mia vita, partendo dalle scarpe. Mi è successo una volta persino in America. Ero lì, sugli scalini di casa in un viale alberato nei giorni della Indian Summer, l'inizio dell'autunno, che gli alberi sono coperti di foglie rosse della bellezza di una poesia, e di fianco a me era seduto il suo bellissimo bambino di sei anni, felice di imparare da me come si lucidano le scarpe, quando ho realizzato che era finita anche quella storia. Per fortuna non mi capita molto spesso di dovermele lucidare, tutte quante. Ma sono piuttosto bravo a farlo. Forse ho imparato dalla Nonna Maria, che quando la andavo a trovare da ragazzo mi guardava le scarpe e mi diceva: dammele, che te le lucido. Alla fine ti ci potevi specchiare dentro. Oppure alla Scuola Allievi Ufficiali. Ti davano loro il materiale, la spazzola ed il lucido, e tu dovevi tenerti gli anfibi lucidati a specchio come in un film di Stanley Kubrick. Peccato che poi da ufficiale gli anfibi non me li abbiano fatti mettere neppure una volta.
Così questa mattina di Natale ero sul balcone, nella nebbia, a lucidarmi le scarpe. E ho capito.
martedì 24 dicembre 2013
Racconto di Natale: the making of Long Playing (una storia del rock)
Il mio racconto di Natale è su come ho scritto il libro «Long Playing una storia del Rock».
Bel racconto! direte voi, stai solo maldestramente cercando di farti pubblicità, tante grazie di niente, il racconto se non ti dispiace te lo leggi tu.
No, davvero, non sto facendomi pubblicità. Cioè, se andate a comprare il libro mi fate piacere, perché ho una certa lista di desideri da biffare, ma questo racconto non è marketing per il libro. Long Playing non l'ho scritto per avere un prodotto da vendere. L'ho scritto perché dovevo assolutamente raccontare questa storia. L'ho scritto perché è la mia testimonianza giurata. La musica Rock è stata decisiva nella mia vita e determinante nel plasmare la mia personalità. Mi ci sono perfino ribattezzato Blue sulla copertina di Blue Valentine di Tom Waits.
La storia della nostra musica, che poi è la storia dei nostri musicisti, dei generi, delle scene, delle vite di chi cantava, di chi c'era attorno e di chi ascoltava, l'ho sempre voluta scrivere. Solo che prima ne conoscevo solo un pezzetto, e poi un po' di più, ma mai l'ho saputa tutta come ora. Così l'ho scritta adesso, che la musica rock non interessa più a nessuno. Magari a scriverla negli anni novanta mi ci comperavo un Duetto Alfa Romeo usato...
(leggi tutto su BEAT)
domenica 22 dicembre 2013
La macchina della tua vita
Immagina che trovi la macchina della tua vita. La macchina che hai sempre sognato e che ora il destino del tutto inaspettatamente ti mette in mano. Una fuoriserie senza uguali che non cambieresti con nulla al mondo. Che ci dormi la notte con le chiavi sotto il cuscino. Che stai per ore ad ammirarla in garage mentre la lucidi. Una macchina che tratti come mai nessuna prima. La macchina che ti rende felice.
Una volta ti si spegne per strada, ma la fai riparare e continui ad amarla. Un’altra volta ti lascia a piedi in autostrada, ma tu affronti tutti i disagi del caso e torni ad usarla. Devi iniziare a cambiare il tuo stile di guida, perché certe cose la mettono in crisi. Devi stare attento a non toccare certi pomelli, perché altrimenti si ferma. Devi imparare ad assecondare tutte le sue idiosincrasie.
Tutte le volte il meccanico ti garantisce che non succederà più, ma poi ti si ferma in alta montagna, poi al mare , poi in città…
Alla fine senza preavviso ti butta fuori strada. Che fai? La macchina che ami. La cambi.
venerdì 6 dicembre 2013
Blue Jasmine Woody Allen
La cose, si sa, cambiano, e da un certo punto in avanti hanno la tendenza a cambiare in peggio, se è vero che la gente passa la maggior parte del proprio tempo a rimpiangere gli happy days, quando era giovane e faceva chissà cosa. Per questo è bello attaccarsi alle abitudine rimaste. Un disco di Bob Dylan, un concerto degli Stones sono echi di un tempo che va ad esaurirsi. La stessa cosa vale per i film di Woody Allen. È da Manhattan in avanti che consumo il rito di "andare al cinema a vedere" il film nuovo di Allen.
È confortante che abbia potuto rinnovare l'abitudine anche ieri sera. Nonostante vada per gli ottanta (anni) il registra newyorchese è ancora spesso capace di sorprendermi. Se "Basta che funzioni" mi aveva irritato, "Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni" era gradevole e "Midnight In Paris" addirittura è uno dei miei preferiti. Lo scorso anno "To Rome With Love" era proprio brutto e rancoroso, come se Allen avesse voluto fare un dispetto alla città (ma cosa gli avranno fatto gli italiani?), "Blue Jasmine" mi è piaciuto. Tanto che all'uscita dal cinema, ed ancora quest'oggi, mi ritornavano alla mente i suoi personaggi, come sempre succede quando un film ha un suo peso specifico.
Come sempre la parte buona del film di Allen è il fatto che racconta storie di persone. Mentre tutto il resto del cinema di Hollywood è diventato una sottocultura tutta basato su fumetti, effetti speciali, storie di omicidi, rapine, fantascienza ed assurdità al cui confronto le soap opera sono letteratura.
Come sempre bella l'ambientazione (questa volta San Francisco) e belli i personaggi. A differenza della sua abitudine Allen non ci concede il lieto fine ed invece di chiudersi sui consueti toni lievi, buffi e speranzosi ci lascia invece con un'amarezza in bocca.
A parte la morale più elementare (i buoni vincono ed i cattivi perdono) è difficile tracciare la simbologia del nuovo film come non è evidente prevederne il finale, tanto che questa storia di ricchi infelici e poveri contenti lascia con la domanda se Allen non ci stia in realtà raccontando una vicenda che conosce. Nessun personaggio è veramente del tutto positivo o negativo ed ognuno (o quasi) ha se non le sue giustificazioni almeno le sue motivazioni. Forse gli unici due personaggi ingiustificabili sono... no, non posso svelarvelo (uno è il dentista, l'altro il diplomatico alla ricerca di una first lady da presentare in pubblico).
Allen ha dichiarato che non intende smettere di fare film fino alla fine della sua vita, e mi (e gli) auguro che sia davvero così il più a lungo possibile, visto che i risultati non gli mancano.
Ma è inevitabile pensare che ad una certa età ogni lavoro potrebbe essere l'ultimo e sarebbe allora lecito sperare in un gran finale, un'opera conclusiva che faccia da testamento spirituale, una sorta di amarcord. Anche se già sappiamo che raramente è così (penso a Lou Reed, che se ne è andato con un disco così debole come Lulu, ma in effetti sono tanti i capolavori da riascoltare che possiamo ben dichiararci comunque soddisfatti).
Iscriviti a:
Post (Atom)