Nel 1964 frequentavo la prima elementare. Un pomeriggio ero a casa, a letto con la febbre, e un compagno di classe venne a trovarmi, in visita di cortesia.
Evidentemente allora non era tenuto in così gran conto il concetto di malattia infettiva; i bambini venivano portati persino in ospedale in visita ai parenti ammalati.
L’amico non solo venne, ma non era neppure a mani vuote. Aveva un album delle figurine dei calciatori, di cui non avevo ancora mai sentito parlare (delle figurine. Dei calciatori non so) e un mazzo di figurine “doppie”, che mi regalava. In realtà ne aveva addirittura due, uno destinato a mio fratello, più piccolo di un anno.
Non ricordo chi fosse quel compagno, ma fu un bel gesto. Ricordo il profumo della colla, la lattina di Coccoina con la piccola scansia per il pennello. Ricordo me e mio fratello intenti a uno dei momenti più divertenti della nostra vita, quello di trovare lo spazio giusto nella squadra giusta ad ognuno di quei mitici calciatori degli anni sessanta.
Quell’anno al campionato di calcio arrivò al primo posto la squadra dell’Inter, che vinse il campionato per quattro anni di seguito, oltre a vincere in quel 1964 anche la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale. Inevitabile che fra i ragazzi del 1957 la gran parte decidesse di tifare l’ Inter. Mio fratello scelse invece la Juventus, perché era la squadra di mio padre (che era presidente di una squadra amatoriale di terza categoria). A conti fatti avrà avuto più soddisfazioni calcistiche lui.
Non mi appassionai mai al calcio. Naturalmente a scuola partecipavo alle trattative “celò, celò, manca!” con i compagni, ma di calcio vero, niente. Se si giocava in cortile con la palla, c’era sempre qualche befana pronta ad affacciarsi al balcone per farci smettere.
Penso di aver visto solo due partite allo stadio, entrambe noiose. Un Inter-Juve a San Siro, zero a zero, neanche un gol, ed una umiliante Piacenza-Vicenza, dove la squadra della mia città subì una quantità di gol ad opera di Paolo Rossi. Gol che io nemmeno vidi perché passeggiavo annoiato fra gli spalti. Alla TV ricordo Italia-Messico in bianco e nero; era estate, ero al mare a Forte dei Marmi, pomeriggio e bandiera tricolore cucita dalla sarta, soffrimmo e perdemmo. Ma anche un’Italia-Germania 4 a 3, la partita del secolo, avevo 12 anni.
Mano a mano che dall’Inter sparivano gli eroi delle mie figurine (Sarti, Burgnich, Facchetti, Mazzola, Suarez, Boninsegna...) persi ogni residuo interesse anche per la squadra. Al massimo si compilava la schedina a due colonne il sabato.
Al Liceo, per qualche curiosa coincidenza, in classe erano tutti come me: a nessuno fregava un fico secco del calcio, anzi, proprio dello sport. Niente Giochi della Gioventù, niente discussioni sulle partite. Ascoltavamo invece Pop Off e Alto Gradimento alla radio, e organizzammo una gita in treno per vederci, mezza classe, Ultimo Tango a Parigi al cinema (e una delegazione più ristretta, la settimana dopo rifece il tragitto per Quel Gran Pezzo dell’Ubalda). Erano tempi in cui ci interessavano più Carmelo Bene ed Edvige Fenech della Nazionale di calcio.
Una volta ci misero con le spalle al muro, costringendoci a presentare una squadra per una partita del campionato scolastico. Noi della III E dello Scientifico contro una classe dell’Itis. Loro avevano la maglia regolamentare, credo blu, noi non ricordo, forse sì (il nostro colore era il granata, come il grande Torino) ma più probabilmente no.
Scegliemmo di malavoglia il ruolo, io presi il portiere, perché non avevo voglia di correre. Lasciai entrare in rete 13 pallonate - riuscivo a scansarmi appena per tempo da quelle cannonate (di cuoio) a tutta forza. Qualcuno salvò l’onore con il gol della bandiera, ma non ricordo chi fu. Onore a te. Uscimmo così subito e senza rimpianti da quel torneo, per non presentarci mai più su un campo di calcio.
Sono appassionato di due ruote, e anche d’automobili di quegli anni, ma non mi è mai passato per la mente di subirmi la telecronaca di un moto GP. Ho goduto invece più di una volta della proiezione del film Le Mans con Steve McQueen.
Dello sport mi piace il lato romantico, non quello competitivo. Gianni Brera e le sue epiche narrazione di mitici giocatori, e di Giri d’Italia in rosa. La Mille Miglia, Enzo Ferrari, la 24 ore di Le Mans, le storie dei giorni di gloria delle grandi squadre, il fascino delle divise di una volta: quella granata, la nerazzurra, Genoa, Samp, Fiorentina, Palermo, Spal, Lanerossi... Insomma, la storia.