I Dieci Comandamenti hanno un grande incipit:
“Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Grande come il
ta ta ta ta della V Sinfonia di Ludwig Van Beethoven: non c’è un crescendo, si parte direttamente dal bis. Da come ce l’hanno venduto nelle ore di dottrina, questo comandamento dovrebbe significare che esiste un solo Dio. Non a caso nella Chiesa Cattolica il comandamento è stato esemplificato dal Credo, che recita:
“Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. Ma a leggerne le parole, il “Primo” ci racconta proprio il contrario, e
“Non avrai altro Dio” lo dichiara con chiarezza: lascia perdere gli altri dei, non adorarli ma adora me.
In un regime di monopolio il primo comandamento non avrebbe senso di esistere. E così interpretato è molto più aderente alla realtà dei fatti. Un Dio che ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza lo avrebbe di certo messo al centro dell’Universo: l’universo medioevale, con la terra al centro, le stelle fisse ed il sole che gli gira attorno. Bene faceva la Chiesa a difenderne l’idea da eretici come il Galilei, perché se già in un universo eliocentrico la centralità umana viene intaccata, che ne resta in uno in cui il Sole stesso è un minuscolo granello periferico di polvere in una galassia minore spersa in quello che potrebbe rivelarsi uno degli infiniti universi possibili? L’immagine e la somiglianza perderebbero decisamente peso.
Invece ecco che Dio non è tutti gli dei, ma il nostro dio, la divinità di coloro che gli assomigliano e che vivono qui, ovunque il “qui” possa essere. Gli altri mondi possono tranquillamente avere i propri dei, compresi Marte e Alpha Centauri, non è più la nostra giurisdizione, perché noi riconosciamo e rispettiamo il nostro. Un dio che non ha problemi a dividere il mondo con Manitou, né con gli dei degli Indù, dei Buddisti, dei Taoisti, dei Marxisti e dei Pagani. Ognuno ha il suo, degno di rispetto. Ma questo è il Dio dei Dieci Comandamenti. Un Dio anche meno arrogante di uno che pretenda l’unicità, più umano: a sua immagine e somiglianza, appunto.
La complicazione insorge con quello a cui il primo comandamento non fa cenno. Prosegue infatti il Credo:
“…credo in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”.
Quest’idea della Trinità rappresenta in effetti una complicazione, ma è resa inevitabile dal fatto che la religione in oggetto si chiama proprio “Cristianesimo”, prendendo cioè il nome da Cristo, il figlio di Dio, e distinguendosi con questo dalle altre religioni monoteiste che discendono dagli stessi Dieci Comandamenti, ma che cristiane non sono. Nei tempi lontani in cui si stabilivano i dogmi della religione cristiana, ha prevalso l’idea che il Cristo, che ha dato origine al Cristianesimo, non fosse un semplice profeta, ma fosse proprio Dio esso stesso. Ma poteva dunque Dio scendere in Terra, per essere niente meno che ucciso dagli stessi uomini da lui creati a sua immagine e somiglianza? Sì e no: era Dio, perché il cristianesimo è monoteista, ma il Grande Vecchio non ha lasciato vacante il suo posto in cielo per 33 anni; Gesù era figlio di Dio, un Dio raddoppiato generato e non creato. Presente già dall’inizio, prima di tutti i secoli.
Anche questa, a farci caso, è una complicazione, perché Gesù è il Redentore. Il suo ruolo sarebbe dunque stato quello di fare da redentore ad una umanità sin da prima della sua creazione. Dunque da prima del peccato originale, che perciò era stato previsto da Dio ancor prima che creasse Adamo ed Eva. Ma avrebbero potuto il primo uomo e la prima donna evitare di commettere un peccato che il loro creatore stesso aveva già previsto? E se viene a mancare il libero arbitrio, viene a mancare anche il peccato, e con esso la necessità di redenzione.
Più semplice sarebbe stato lasciare confinato Cristo al ruolo di profeta, di semplice inviato celeste, magari di Re degli Arcangeli (e per alcuni cristiani non cattolici, per esempio i Testimoni di Geova, è in effetti così). Ma evidentemente non è stato possibile negare il posto di CEO al creatore della start up, ed è comprensibile.
Di qui l’idea, difficile da comprendere ma coerente con il richiesto atto di fede, della
Trinità: Dio è uno e trino. Uno è Dio, il Creatore, di cui il fedele non avrà altro. Il secondo è Cristo, che nonostante abbia apparentemente svolto un ruolo per soli 33 anni, di cui attivi forse solo 3, è Dio dall’inizio alla fine. Il terzo spigolo della Trinità è costituito, com’è noto, dallo Spirito Santo.
Ecco, lo spirito santo è stato per me un forte oggetto di scetticismo, e forse il primo elemento di dubbio fin dai tempi dello studio (ai miei tempi obbligatorio) della dottrina. Perché se il ruolo di Cristo era comunque esaltato dalla straripante forza e simpatia del personaggio, quello dello spirito santo mi pareva davvero molto limitato per la promozione che gli era toccata. In pratica mi pareva che lo spirito santo avesse svolto giusto il compito di trasportare il seme divino sulla terra. Una specie di Dio della Fertilità, nel sincretismo cristiano. In questo il contraltare di Maria,
“Notre Dame”, la Dea della fertilità. Che però, vale la pena di notare, a differenza dello spirito santo non è ascesa alla divinità, e nei dogmi è rimasta un essere umano, anche a costo della contraddizione di un dio generato da un umano.
Insomma, uno dei semi che da ragazzo ha germogliato il mio agnosticismo, per non dire un franco ateismo, è stato proprio il ruolo dello spirito santo nella Trinità.
Fino a quando di recente non ho avuto un’epifania, ed ho capito di essermi sbagliato di grosso a non rendermi conto che dei tre, lo Spirito Santo non era il minore, ma addirittura il più importante. D’altra parte,
“gli ultimi saranno i primi”, n’est-ce-pas?
È stato proprio il primo comandamento a mettermi sulla strada della comprensione, un giorno che un po’ a disagio in giacca e cravatta assistevo alla cresima di mia figlia nella chiesa che era stata, da bambino, anche la mia, e che come tale mi trasmetteva un po’ di quella mistica necessaria a riflettere sul sacri misteri.
Devo ammettere che questo Dio non più unico ma personale della mia interpretazione del primo comandamento mi risultava molto più vicino, e smontava molte delle obiezioni che la ragione contrappone alla divinità. Anche dal punto di vista del marketing (e non c’è dubbio che il cristianesimo sia stata una religione di grande successo), la figura di Dio è decisamente efficace. La più popolare è naturalmente quella di Gesù Cristo, la cui immagine potrebbe senza vergogna essere indossata su una t-shirt alla pari di un Che Guevara, e la cui storia è stata raccontata e romanzata in tutte le salse, dalla Via Crucis a Jesus Christ Superstar, senza mai invecchiare.
Ma anche Dio, nella sua imponente figura barbuta dai capelli bianchi e fluenti, assiso nel trono a la Charlton Heston (immagine mutuata, c’è da riconoscerlo, a Giove sull’Olimpo) ha un suo indubbio fascino.
Lo Spirito Santo invece non ha un’immagine. Non è televisivo, e non si presta ad essere trasportato in processione. Non ha un confine, non ha un ruolo ritagliato, come quello del Creatore o del Redentore. Perché lo Spirito Santo costituisce l’idea stessa di
Deità: lo Spirito Santo è la Divinità. Che tutto pervade, come la Forza. La Deità che nulla osta a contenere anche le altre religioni, dal Buddismo al Taoismo, dai Pagani ai mondi extraterrestri.
Lo Spirito Santo non ha dogmi, non ha regole irrazionali e proibizioni destinate a farsi obsolete con il passare degli anni. È al di sopra delle emozioni e dei piccoli sentimenti, nulla pretende e non giudica nessuno. Non costringe ad atti di fede né a dar credito a leggende; anzi, non costringe proprio nessuno a credere. Puoi essere taoista, puoi essere ateo, puoi essere pagano venerando l’alba ed il tramonto, il mare e la montagna, il sole e la luna, ed ancora lo Spirito Santo rappresenterà tutto questo e ancora ne sarà sopra.
Lo Spirito Santo rappresenta la Deità al di sopra della nostra Umanità.