sabato 24 novembre 2012
Autori indipendenti
Il grande nulla, dopo cinema, tv e dischi, è giunto alle librerie. In libreria non si vendono più libri, a meno di essere votati all’estinzione come il dodo. In libreria si vendono oggetti di moda fatti di carta, una sorta di souvenir adatti soprattutto ai piccoli regali, oggetti non destinati alla lettura (almeno non oltre il primo capitolo) ma all’arredamento di tavolini e librerie, dai titoli che evocano sfumature di grigio, cucina cool per l’happy hour, dolcetti di cioccolato, architettura nel mondo, biografie VIP, 50 anni di Rolling Stones, le frivolezze del rock. La letteratura non esiste più e dunque non serve distribuirla. I libri in generale non vengono più scritti da un autore, ma da una redazione, un pool di ghost writers dopo un braistorming con il commercialista, e si lanciano sul mercato come oggetti di moda tramite il giusto salotto televisivo, per essere divorati il giorno successivo e infine digeriti, seppelliti e dimenticati.
Se la libreria è ormai per lo shopping, chi legge deve rivolgersi piuttosto all’acquisto per posta (su Amazon) o in elettronico (su kindle e apple store). In teoria nel formato e-book trovi tutto e sempre, anche di notte insonne nel tuo letto. In pratica invece almeno dalle nostre parti le case editrici non sono ancora convinte del mezzo virtuale, che bypassa la distribuzione controllata. Anche perché a guardarci bene per un libro venduto in digitale, la casa editrice a cosa serve? Senza doversi far carico della stampa su carta e della distribuzione, rappresenterebbe poco più di un pappone che in cambio di un piccolo anticipo all’autore affamato si tiene tutto il resto, compresi i diritti.
Scrivere un libro oggi è impresa dalle scarse prospettive, se non si conosce la persona giusta nell’ufficio giusto della casa editrice giusta. Senza la “conoscenza” non c’è più neanche la speranza di farsi leggere il manoscritto, figurarsi di vederselo stampare. Ma anche a libro stampato manca ancora tutto il percorso della distribuzione fino ai banchi della libreria e magari le vetrine: il distributore difficilmente si fa carico di acquistare una quintalata di pagine di uno sconosciuto da portare alle migliaia di librerie dello stivale. Preferisce lavorare sui titoli sicuri, quelli che vengono presentati da Fazio, e per il resto limitarsi agli ordini. Ma chi potrebbe ordinare un libro di cui non conosce nemmeno l’esistenza e perciò condannato all’oblio sin dalla nascita?
La distribuzione digitale permette di bypassare a basso costo questi ostacoli: pubblicare su kindle e su iPad è possibile, sia pure con qualche contorsione tecnica, ed un libro elettronico su amazon o su apple store non va esaurito e non deve essere trasportato. La promozione è lasciata alla creatività ed alla abilità dell’autore (e dell’editore elettronico), alla sua capacità di farsi notare su canali alternativi come il web, FaceBook, YouTube, i blog ed il passa-parola. Un vero percorso underground di contro-cultura, percorribile non per raccomandazioni ma per contenuti. Se si ha un messaggio, si troveranno le orecchie che lo ascoltino.
Certo per un autore avere in mano un proprio libro profumato della stampa della casa editrice importante è gratificante per l’ego. Ma le frustrazioni iniziano subito dopo averlo infilato in libreria ed aver regalato ai parenti e agli amici intimi le dieci copie messe a disposizione dall’editore. Il guadagno difficilmente va molto oltre l’anticipo e magari un primo assegno. Anzi, senza i bollini SIAE che certificano le copie vendute non ci va mai. Dopo un paio di mesi scompare dalle librerie, per non tornarci neanche quando ne trarrebbe giovamento, per esempio in occasione della recensione su un quotidiano, o per il tour del gruppo di cui nel nostro libro si parla. Un caro amico ha avuto un libro sugli Stones stampato da un grosso editore, e un paio d’anni fa per Natale era nelle vetrine della catena dei negozi di quel marchio. Ma già quest’anno in cui gli scaffali si sono riempiti di libri per i 50 anni della band di Jagger e Richard, il suo libro non c’era. Non è stato ristampato e lui non può farci niente, perché i diritti non sono nelle sue mani.
Io ho avuto stampati tre libri a cavallo del ’90, tre titoli di informatica per due prestigiose case editrici, oggi entrambe scomparse (e almeno della seconda, che mi ha pagato pochissimo, non sento affatto la mancanza). Poi, in epoca web, scrivo portando avanti da più di una decade una quantità di blog. Di recente ho acquistato un MacBook Air, ho caricato un programma adatto alla scrittura creativa e ho messo nero su bianco il titolo di quattro libri - ed almeno di tre non sono lontano dalla fine. Eleonora ha pubblicato negli anni duemila ben otto libri, molti dei quali sono già fuori catalogo. Ha già pronti nuovi titoli molto promettenti: un romanzo divertente sulle esperienze (le disavventure?) di tre ragazze italiane a Londra, un libro sulle donne del rock e un diario sulla propria esperienza (di certo fuori dal comune) nel mondo del rock. Siccome ha una forte creatività li ha anche battezzati con tre titoli che da soli sono garanzia di successo. Sebbene trovare un editore tradizionale sarebbe gratificante, stiamo immaginando di tentare una via più originale: farci da editori da soli, facendoci carico di tutta la parte relativa alla distribuzione, che non sarà certamente una passeggiata ma che ci vedrà assai più motivati di quanto lo possono essere degli estranei. Stiamo immaginando una casa editrice indipendente, una casa di autori. Una distribuzione in e-book attraverso tutti i canali di una certa presenza, come kindle, iPad e si valuterà quali altri. E anche una distribuzione cartacea in un numero limitato attraverso canali di acquisto per posta (sto pensando naturalmente ad Amazon.it): oggi esistono stamperie on demand che non obbligano a ordinare diecimila copie da stipare in cantina, ma anche solo cento alla volta, per rispondere alle necessità momento per momento. La promozione avverrà totalmente via web, sfruttando FaceBook e la rete dei blog e delle riviste digitali dei tanti creativi che popolano la rete, un passa-parola di utenti di prim’ordine. Va da sé che il pubblico non è quello della TV della domenica pomeriggio, ma non è effettivamente a quelle persone che si rivolgono le nostre pagine, quanto piuttosto a quella generazione a cui manca la “contro-cultura” di una volta. Per esempio i born in the fifties, sixties e seventies che acquistano i dischi. Chi lo sa, da un successo “locale” magari si potrà trattare anche con qualche catena per una distribuzione più vasta: chissà se a Feltrinelli interesserebbe distribuire le nostre edizioni? Personalmente vedo più in la, perché la nostra mission non è di far soldi vendendo saponette, ma stampare quei libri che noi stessi avremmo voglia di leggere. E allora quanti autori underground conosciamo a cui proporre questa via di distribuzione una volta rodata e oliata? Penso a Zambellini, a Vites e a tanti altri.
Gli ostacoli non mancheranno. Per esempio ci servirà almeno un grafico e un informatico, perché stranamente la strada per pubblicare un e-book è cosparsa di pietre (penso al magnifico Aldus PageMaker con cui era così semplice lavorare nei primi anni del desktop publishing, e mi domando perché non stia comparendo nulla di simile per agevolare questa nuova rivoluzione). Poi penso alla burocrazia fiscale nazionale: partite iva, commercialisti, dichiarazioni dei redditi, soldi che escono quando ancora non ne sono entrati - mentre i contributi se li pappano i truffatori legati ai partiti politici. Ma alla fine: you cannot win if you do not play! Se Woz e Jobs sono partiti finanziandosi con la vendita di una calcolatrice tascabile Hewlett Packard usata, beh, questa volta dobbiamo provarci anche noi…
È tutto? Non ancora, perché mettere limiti alla creatività? Si sa che le riviste sono in crisi e che vivono solo di contributi statali. Ma dove sono le riviste che a me piacerebbe leggere? Dove sono i Gong, i Muzak, le riviste della mia “cultura” che io non trovo, quelle che non parlano dei tre tenori o che non si riferiscono a Patti Smith chiamandola: “la poetessa del rock”? Magari un bel pool di quegli scrittori di Milano, di Torino, di Roma, di Palermo potrebbero essere interessati a provarci. E qualcuno potrebbe anche aver voglia di leggere una rivista, magari tutta elettronica, scritta con in mente il lettore e non i pubblcitari… Che dite, siete con noi? Siete con… (no, il nome della “casa editrice che non c’è” non posso svelarlo ancora…)
di Blue Bottazzi
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3 commenti:
grande blue. e grazie per la citazione
keep ready, punto su di te per diventare ricco...
Molti spunti interessanti, in tante cose mi ci ritrovo, io che ho a che fare con questo mondo da anni e che ho pubblicato quattro libri. Sono stato anche fortunato alla fine, ho lavorato se non altro con "amici", instaurando rapporti che mi hanno per lo meno permesso di non avere strascichi e scazzi vari (comprese le questioni ecomiche). Non tenderei però a mitizzare e-book, amazon, editoria digitale ecc. perchè alla fine molte dinamiche restano uguali, che si tratti di cartaceo o di internet.
Un cosa però mi sento di drila: librerie che resistono e che sono luoghi di incontro e di cultura ci sono ancora (a dispetto dei supermarket del libro che vendono gadget piuttosto che libri), non facciamole sparire del tutto ;-)
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