Quello fu un inverno molto… letterario. Ricordo di me e
Eleonora nella nostra casetta a
Woodstock, Valtrebbia, mentre fuori le foglie degli alberi ingiallivano, cadevano, e infine tutto veniva ricoperto di neve, seduti fianco a fianco battere parole su parole sulle nostre tastiere. Avevamo Mac, Air, iPad più o meno dappertutto e portavamo avanti due o tre progetti alla volta. Seduti al mattino nella sala da pranzo, che avevamo arredato con mobili provenzali alla buona, oppure alla sera nel sottotetto che chiamavamo la redazione e che pareva un ufficio della New York di Chandler. Dappertutto c'era cornici con fotografie di noi in moto, e soprattutto dappertutto c'erano libri e scatole di dischi con appiccicate delle etichette come "Dylan" o "Groove". C'era sempre un disco a girare sullo stereo, e quando finiva uno di noi si alzava per cambiarlo. Di solito c'era un metodo: per esempio se suonava Blood On The Tracks, potevi giurare che il disco successivo sarebbe stato Desire, e poi Street Legal. Lo stesso con gli Stones o i Beatles, o Charles Mingus o Miles Davis. Solo Who e Costello (che pure mi piacevano parecchio) stavo attento a metterli solamente quando ero a casa solo, perché vederla cantare le loro canzoni mi rendeva geloso. Eleonora conosce a memoria i testi di ogni canzone di Dylan, dei Beatles e degli Who. E immagino anche degli Stones. Gli Stones hanno su di lei un potere afrodisiaco. La vita ha un potere afrodisiaco su di lei, ma i dischi degli Stones le davano proprio urgenza di fare l'amore. Scrivevamo, cucinavamo, mangiavamo e facevamo l'amore. Spesso, a lungo e con furore. E poi si ricominciava. Quando parlavamo di musica eravamo complementari: io parlavo delle canzoni, lei delle persone. Non c'era musicista che non avesse, direttamente o indirettamente, conosciuto, intervistato, con cui non avesse fatto colazione o magari persino flirtato. Cercavo di evitare la gelosia di quest'ultimo pensiero evitandoli nella programmazione discografica, ma con qualche mostro sacro era pressoché impossibile. In ogni caso facevo del mio meglio per non darlo a vedere, mantenendo il mio comportamento superiore, egocentrico ed arrogante alla Hemingway di Woody Allen; al massimo lasciavo cadere con indifferenza qualche giudizio critico al vetriolo, che lei non si curava di raccogliere. Non ero così bravo a nascondere, evidentemente. Mentre fuori tirava un vento gelido dentro c'era sempre qualche buon profumo, di lesso, di arrosto, di cotechino o di torta. Lei cucinava con perizia, io con creatività. Non girava alcol perché Eleonora per qualche motivo era totalmente astemia. Fra tutto quello che riuscii a farle conoscere non ci fu mai il piacere per un sauvignon prezioso, uno champagne di personalità, un fresco rosé, un profumato rosso invecchiato oppure giovane e vivace. Non beveva neppure birra: fingeva, portava il bicchiere alle labbra ma non ne lasciava scendere neanche una goccia. Io ho imparato nella Francia del sud ad amare il Pastis, sopratutto come aperitivo, di cui verso una o due dita in fondo ad un bicchiere che poi allungo con acqua fresca, e che sorseggio rilassandomi o cucinando o spilluzzicando pezzi di grana o fette di salame. Comunque meglio così: bevevo meno anch'io. Allora si scriveva entrambi per la stessa testata, una rivista di stereo che si era riciclata al rock da che era arrivato il nuovo direttore, quel Max Stèfani che aveva incrociato il passato di entrambi e che era in un certo senso stato fra gli inventori del giornalismo musicale nel nostro paese. È anche un ottimo scrittore lui stesso, dalla scrittura onesta e diretta, ma era troppo pigro per farlo abbastanza spesso. Comunque da quella rivista si guadagnava poco o niente, ed entrambi avevamo i nostri lavori. Lei giornalista della cultura su un quotidiano, aveva già pubblicato un bel po' di libri, alcuni dei quali avevano anche venduto bene ma i cui guadagni si limitavano sempre agli anticipi e a qualche assegno spedito in ritardo. Il nostro progetto era una casa editrice indipendente nostra, e stavamo scrivendo i libri da pubblicare. Io avevo scritto i quattro titoli di quelli che dovevo realizzare, e ne aggiornavo un paio alla volta, anche se le recensioni per la rivista di Stèfani mi portavano via abbastanza del tempo disponibile. Uno era un libro di storie del rock che mi portavo dietro da sempre (dallo stesso sempre da cui scrivo di rock, cioè fino da ragazzino) e anche se come la tela di Penelope non terminava mai, migliorava di molto di giorno in giorno. Avevo sempre avuto la capacità di assorbire dall'ambiente esterno e da tutto ciò che leggevo, e se la scrittura di autori come George Simenon mi avevano gettato nello sconforto della consapevolezza di non essere all'altezza, altri culturalmente più vicini come Nick Kent o Lester Bangs mi avevano aperto molte porte nella mente. Il genio di famiglia era però Eleonora. Lei è un vero animale da show-biz. È il tipo che, nonostante l'aspetto da vip britannica, da mod o da rocker a seconda della mise, tiene un basso profilo. Come certi musicisti che vedi traballare dietro il palco e poi salire e trasformarsi in superstar, lei può sembrarti tranquilla, incerta, persino imbarazzata o intimidita, e poi parte a dirigere il proprio programma alla TV o una presentazione o un'intervista, ed improvvisamente si muta in tigre: decisa, fantasiosa, aggressiva, dirige ogni evento da gran direttore d'orchestra, senza risparmiarsi attacchi e polemiche con la rincorsa di un rinoceronte. La stessa cosa con la scrittura. Davanti ad una tastiera non perde neanche un attimo a riflettere. Inizia immediatamente a scrivere e va avanti ininterrottamente fino a che dichiara: finito! Tu leggi e basisci, per la precisione e la forza delle sue parole. Il mio obiettivo fin dall'inizio era di diventare il suo editore. Anche lei stava scrivendo almeno quattro titoli. Uno di traduzioni di un autore inglese piuttosto depresso, un romanzo leggero e divertente su una ragazza italiana a Londra, una storia romanzata delle donne del rock (Eleonora è tanto femminile quanto femminista) ed una revisione di quella sua biografia che aveva intitolato Magic Bus. La prima edizione era stato il suo primo libro ed era definitivamente troppo edulcorata e censurata e così andava rivista con più coraggio e sfrontatezza. Lei aveva anche un talento per i titoli, ed i suoi libri avevano titoli che li avresti acquistati anche se le pagine fossero state bianche.
Quell'inverno con pochi soldi e tanta passione nella romantica e calda casetta a Woodstock, Val Trebbia, fu il nostro bozzolo.
(Blue Bottazzi 2020 - biografia) ;-)
1 commento:
Caro Blue, ho letto con attenzione il capitolo del tuo libro in uscita nel 2020.
Da quello che scrivi appare evidente lo stato di grazia che stai attraversando in questo periodo.
Tutto ti appare esageratamente positivo, più le cose sono normali, più ti sembrano straordinarie.
In questi anni ti ho seguito sul blog (sempre meno su quello musicale, ma questo è un altro discorso).
Ci hai reso partecipi delle tue peripezie sentimentali, facendocele vivere in prima persona, e dandoci lo spunto per ragionare sulle nostre.
Mai però ti ho visto così coinvolto emotivamente e mentalmente.
Facile dire che si tratta di quella giusta, dopo tanti tentativi.
In realtà io credo che la capacità di amare sia al massimo alla nostra età, e se si ha la fortuna di trovare qualcuno che può accettare questa "sovracapacità" si arriva a toccare il cielo con un dito.
Naturalmente questo può succedere anche con la donna di sempre, che riesci a vedere sotto una luce diversa.
E' quello che sta capitando a me.
Il problema è che questa "sovracapacità" porta a valutare tutte le persone con un metro di giudizio diverso, rivolto più alla sfera emotiva ed affettiva che non a quella razionale.
Bello e intenso, indubbiamente, ma anche pericoloso.
Non tornerei indietro, naturalmente, perchè questo stato di grazia anche per me vale la pena di essere vissuto con la massima intensità.
Ma la vita reale non è fatta solo di sentimenti,e soprattutto ha delle regole.
Quindi bisogna poi fare delle scelte.
E le scelte, come è noto possono comportare rimorsi o rimpianti.
Credo sia meglio avere rimpianti.
E così ho fatto.
Un abbraccio, spero di vederti presto.
p.s. uso un'altra identità, ma tu hai capito chi sono
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