A sei anni, in occasione della promozione della prima elementare, ebbi in regalo l'abbonamento a
Topolino. Sto parlando del Topolino degli anni sessanta, secondo solo a quello dei decenni precedenti. Fu un regalo azzeccatissimo: ho il ricordo di un me piccolo (e bello) seduto su un gradino a leggere queste incredibili storie mentre gli altri bambini perdevano tempo a cercare di colpire con un pallone la porta di un garage.
Amavo le indagini di Topolino, soprattutto quelle un po' dark in cui assieme al suo tonto partner Pippo e al posto dell'inefficiente commissario Basettoni dava la caccia al genio criminale un po' paranormale di
Macchia Nera. Oppure le incredibili traversie di un Paperino inviato dal taccagno zio ai quattro angoli del mondo, dal Tibet alle Isole del Capo Verde, e da cui ne ritornava solo grazie alla collaborazione di Qui Quo Qua. Ma i miei personaggi preferiti erano, già allora, gli outsider: lo stonato
Paperoga che nel backstage si faceva le canne prima di andare in scena; Nonna Papera e Ciccio che, come scrisse un altro nato nel 57, Claudio Bisio, nel suo trattato
Quella Vacca di Nonna Papera, era certamente affetto da cretinismo delle valli; Dinamite Bla, precursore di
Un Tranquillo Week-end di Paura; e un incontenibile
Sherlock Bondes, (
Paper Bond, ndr), un'oca sicuramente interpretata da Peter Sellers, che non si ricorda più nessuno, ma proprio nessuno. Non è che me la sono immaginata dopo aver letto una storia di Paperoga?
Amelia la strega che ammalia, che viveva proprio sul Vesuvio; Maga Magò, Brigitta, Filo Sganga; Paperetta Yè Yè ovvero il 68 che arriva anche a Topolinia; Gastone... Gastone no, non lo potevo soffrire.
A Topolino si affiancò presto nelle mie letture Il Corriere dei Piccoli, una testata storica dei fumetti nata come foglio del Corriere della Sera per i piccoli lettori, ma alla fine degli anni sessanta ancora più storica, perché pubblicava le firme più prestigiose dei fumetti belgi e francesi, vale a dire la migliore scuola di fumetti di tutti i tempi: Lucky Luke, i Puffi (che erano altra cosa dai Puffi della TV, anche dal punto di vista linguistico), Gaston Lagaffe (cosa darei per leggere oggi una storia di Gaston!), Ric Roland, Luc Orient e i suoi incredibili alieni, Michel Vaillant e le straordinarie storie di automobili da corsa (indimenticabile la fiction della 24 ore di Le Mans), Dan Cooper, Bruno Brazil... e naturalmente gli italiani come Hugo Pratt (Corto Maltese), Jacovitti (Cocco Bill e Zorry Kid), Valentina Mela Verde, il cui fratello aveva un Moto Guzzi Dingo Cross come avrei avuto io.
(Fra i fumetti minori, che si compravano d'estate in buste economiche, qualcuno si ricorda di Nonna Abelarda, Tiramolla e Geppo il povero diavolo?)
Il fumetto del "periodo di mezzo", cioè all'epoca della scuola media, fu Alan Ford. C'erano anche i supereroi Marvel: i fantastici quattro, l'uomo ragno e daredevil, ma non mi dicevano molto. Nulla di più di Superman e Batman, che avevo sempre letto solo di sfuggita, magari dal barbiere. Alan Ford non fu un successo istantaneo, dei primi numeri si seppe solo con la forza del passa-parola, fino a diventare alla fine un fenomeno di costume.
Alan Ford era qualche cosa di radicalmente nuovo. Oggi può sembrare ingenuo, ma allora l'atteggiamento politicamente non corretto della rivista, che dipingeva persone straccione e profondamente disoneste (un'immagine fedele dell'Italia), l'umorismo leggero e non calcato, e l'avventura di squadra (del gruppo TNT) erano qualche cosa di non visto prima. E poi chi non si ricorda di Superciuck?
Avvicinandomi ai 14 anni la mia epoca dei fumetti stava per concludersi, anche se mi aspettava ancora un passo importante nella formazione dell'ometto che sarei diventato. Una rivista a fumetti tutta diversa da quelle che avevo letto sino ad allora, qualche cosa che non solo non ti vergognavi di acquistare ma anzi esibivi come dimostrazione di appartenenza ad un certo gruppo culturale. Sto parlando di Linus, la straordinaria rivista diretta da OdB che era antologia di tutto un underground americano a noi inedito, come l'incredibile Lil' Abner o il caustico Doonesbury, e di fumetti "adulti" europei come quelli di Andrea Pazienza ma soprattutto Valentina di Guido Crepax.
Valentina aggiungeva alle pagine dei fumetti un ingrediente a me del tutto nuovo: l'erotismo, che fino ad allora avevo vissuto solo inconsapevolemte (ma con emozione) nelle pubblicità Polistil di Paola Pitagora in hot-pants (con le lunghe gambe avvolte in calze di lana colorata) sulla quarta di copertina di Topolino.
Valentina ed il suo erotismo ci facevano sentire vergini di fronte ad un mondo ricco di promesse che si apriva davanti a noi. Di Valentina siamo stati un po' tutti fidanzati e non credo che nessun autore abbia mai saputo disegnare l'eros in modo altrettanto efficace. Da Valentina ai primi numeri di Playboy il passo fu breve, ma sufficiente ad archiviare il periodo dei fumetti nella mia vita.
Peccato davvero non averli conservati. Perché in mezzo a tanta spazzatura non ristampano quei ricordi come strenna natalizia?